QUARESIMA, QUESTIONI SULLA QUARESIMA
I primi che pensarono a digiunare si sottoposero a quel regime dietro prescrizione del medico, per aver fatto indigestione?
La mancanza d'appetito che sentiamo quando siamo malinconici fu forse la prima origine dei giorni di digiuno prescritti dalle religioni malinconiche?
Gli ebrei presero forse l'abitudine di digiunare dagli egiziani, di cui imitarono tutti i riti, fino alla flagellazione e al capro espiatorio?
Perché Gesù digiunò quaranta giorni nel deserto, dove fu trasportato dal diavolo, dal Knathbull? San Matteo osserva che dopo quella quaresima egli ebbe fame; dunque non aveva avuto fame, durante quella quaresima?
Perché nei giorni d'astinenza la Chiesa romana considera un delitto mangiare animali terrestri, e un'opera buona farsi servire sogliole e salmoni? Il ricco papista che avrà avuto sulla sua mensa cinquecento franchi di pesce sarà salvato; e il povero, che muore di fame, se avrà mangiato quattro soldi di carne salata, sarà dannato?
Perché, per mangiare uova, bisogna chiedere il permesso al proprio vescovo? Se un re proibisse al suo popolo di mangiare uova, non passerebbe per il più ridicolo dei tiranni? Quale strana avversione hanno i vescovi per le frittate?
Chi potrebbe mai credere che tra i papisti vi siano stati dei tribunali tanto idioti, vili e barbari da condannare a morte dei poveri cittadini che non avevano commesso altro delitto che quello d'aver mangiato carne di cavallo di quaresima? Il fatto, purtroppo, è più che vero: ho tra le mani una sentenza del genere. Ma quel che è davvero incredibile è il fatto che i giudici, autori di simili sentenze, si sian creduti superiori agli irochesi.
Preti imbecilli e crudeli, a chi ordinate la quaresima? Ai ricchi?... si guardano bene dall'osservarla. Ai poveri? fanno quaresima tutto l'anno. Lo sventurato contadino non mangia quasi mai carne e non ha di che comperare pesce. Pazzi che siete, quando mai correggerete le vostre assurde leggi?
RELIGIONE
Questione prima
Il vescovo di Gloucester, Warburton, autore di una delle più dotte opere che siano state mai scritte, si esprime così, a pagina 8 del tomo I:
«Una religione, una società che non sia fondata sulla credenza in una vita futura, dev'essere sostenuta da una Provvidenza straordinaria. Il giudaismo non è fondato sulla credenza in un'altra vita: dunque il giudaismo fu sostenuto da una straordinaria Provvidenza.»
Parecchi teologi si levarono contro di lui e, dato che non ci sono argomenti che non si possan ritorcere, ritorsero contro di lui il suo, dicendogli:
«Ogni religione che non sia fondata sul dogma dell'immortalità dell'anima e delle pene e ricompense eterne è necessariamente falsa; ora, il giudaismo non riconobbe quei dogmi; e dunque il giudaismo, lungi dall'essere sostenuto dalla Provvidenza, era, secondo i vostri stessi principi, una religione falsa e barbara che negava la Provvidenza.»
Quel vescovo ebbe altri avversari, i quali sostenevano che l'immortalità dell'anima era conosciuta dagli ebrei, sin dai tempi di Mosè, ma egli provò loro nel modo più evidente che né il Decalogo, né il Levitico, né il Deuteronomio avevano detto una sola parola su tale credenza, e che è ridicolo voler distorcere e falsare qualche passo degli altri libri (biblici) per tirarne fuori una verità non annunciata nel libro della Legge.
Monsignor vescovo, avendo scritto quattro volumi per dimostrare che la legge giudaica non proponeva né pene né ricompense dopo la morte, non seppe mai rispondere ai suoi avversari in modo soddisfacente. Essi gli dicevano: «O Mosè conosceva questo dogma, e allora ha ingannato gli ebrei, non rendendolo manifesto; o lo ignorava, e in tal caso non ne sapeva abbastanza per fondare una buona religione. E davvero, se quella religione fosse stata buona, perché poi sarebbe stata abolita? Una religione vera deve valere per tutti i tempi e per tutti i luoghi; dev'essere come la luce del sole, che illumina tutti i popoli e tutte le generazioni.»
Il prelato, per quanto fosse ispirato, faticò parecchio a districarsi da tutte queste difficoltà; ma quale sistema ne va esente?
Questione seconda
Un altro dotto, molto più filosofo, uno dei più profondi metafisici dei giorni nostri, avanza forti ragioni per provare che il politeismo fu la prima religione degli uomini e che si cominciò col credere a parecchi dei prima che la ragione fosse illuminata abbastanza da riconoscere un solo Essere supremo.
Io oso credere, invece, che dapprima si sia cominciato col riconoscere un solo Dio e che in seguito la debolezza umana ne abbia concepiti molti altri; ed ecco come immagino la cosa.
È indubbio che ci furono villaggi, prima che si costruissero grandi città e che tutti gli uomini vissero divisi in piccole repubbliche, prima di riunirsi in grandi imperi. È naturale che un villaggio, terrorizzato dal tuono, afflitto per la perdita delle sue messi, osteggiato dal villaggio vicino, rendendosi conto ogni giorno della propria debolezza, immaginando dappertutto un potere invisibile, si sia ben presto detto: «C'è qualche essere sopra di noi che ci fa del bene e del male.»
Mi pare impossibile che abbia potuto dire: «Ci sono due poteri.» Perché ammetterne più d'uno? In ogni genere di cose si comincia dal semplice, poi si passa al complesso e spesso si ritorna al semplice, in virtù d'illuminazioni superiori. Procede così lo spirito umano.
Quale essere si sarà per primo invocato? Il sole? La luna? Non credo. Esaminiamo quel che accade nei bambini, che sono pressappoco quel che sono gli uomini ignoranti. Essi non sono colpiti né dalla bellezza né dall'utilità dell'astro che vivifica la natura, né dai soccorsi che ci presta la luna, né dalle variazioni regolari del suo corso; non ci pensano, ci son troppo abituati. Non si adora, non si invoca, non si vuol placare che quel che si teme; tutti i bambini guardano il cielo con indifferenza; ma se scoppia un tuono, tremano e vanno a nascondersi. I primi uomini hanno agito senza dubbio nello stesso modo. Soltanto delle menti filosofiche possono aver osservato il corso degli astri, e averli fatti ammirare e adorare; ma dei contadini semplici e rozzi non ne potevano sapere abbastanza per abbracciare un così nobile errore.
Un villaggio si sarà dunque limitato a dire: «C'è una potenza che tuona, che grandina su di noi, che fa morire i nostri bambini: plachiamola; ma in che modo placarla? Noi siamo riusciti a calmare con piccoli doni la collera di persone adirate; facciamo dunque piccoli doni a questa potenza. Bisogna anche darle un nome» Il primo nome che viene in mente è quello di capo, di padrone, di signore: e dunque questa potenza vien chiamata «mio Signore». Questa è probabilmente la ragione per cui i primi egiziani chiamarono il loro dio Knef; i siriaci, Adonai; i popoli vicini, Baal o Belus o Melek o Moloch; gli sciti, Papee: tutte parole che significano «signore», «padrone».
Quando fu scoperta l'America, la si trovò divisa in una moltitudine di piccole popolazioni, che avevano tutte il loro dio protettore. Gli stessi messicani e peruviani, che pur erano grandi popoli, adoravano un solo dio: gli uni, Manco Capac, gli altri il dio della guerra. I messicani davano al loro dio guerriero il nome di Huitzilopochtli, come gli ebrei avevan chiamato il loro signore Sabaoth.
Non fu affatto per ragioni superiori e di cultura che tutti i popoli cominciarono a riconoscere una sola divinità. Se fossero stati filosofi, avrebbero adorato il dio di tutta la natura e non quello di un villaggio; avrebbero preso in esame quei rapporti infiniti di tutti gli esseri, che provano l'esistenza di un essere creatore e conservatore. Ma essi non esaminarono niente: essi sentirono. Qui sta il progresso del nostro debole intelletto. Ogni villaggio sentì la sua debolezza e il bisogno d'un potente protettore. Immaginò quest'essere tutelare e terribile, residente nella foresta vicina, o sulla montagna, o in una nuvola. Ne immaginò uno solo, perché il villaggio aveva un solo capo in guerra. Se lo immaginò corporeo, perché era impossibile rappresentarselo altrimenti. E non poteva credere che il villaggio vicino non avesse anch'esso il suo dio. Ecco perché Jefte dice agli abitanti di Moab: «Voi possedete legittimamente ciò che il vostro dio Chámosh vi ha fatto conquistare; ora dovete lasciarci godere ciò che il nostro dio ci ha dato con le sue vittorie.»
Questo discorso, tenuto da uno straniero ad altri stranieri, è davvero singolare. Gli ebrei e i moabiti avevano spodestato i nativi del paese; gli uni e gli altri non avevano altro diritto che quello della forza, e l'uno dice all'altro: «Il tuo dio ti ha protetto nella tua usurpazione; sopporta che il mio dio mi protegga nella mia.»
Geremia e Amos domandano, l'uno all'altro: «Quale ragione ebbe il dio Malcom d'impossessarsi del paese di Gad?» Appare evidente, da questi passi, che gli antichi attribuivano a ogni paese un dio protettore. In Omero, si trovano ancora tracce di questa teologia.
È assai naturale che, quando l'immaginazione degli uomini s'accese e la loro mente acquistò cognizioni sia pur confuse, essi abbiano ben presto moltiplicato i loro dei, e attribuito protettori agli elementi, ai mari, alle foreste, alle fontane, alle campagne. E più avranno esaminato gli astri, più saranno stati presi d'ammirazione: come non adorare il sole, quando si adora la divinità di un ruscello? Così, fatto il primo passo, la terra è ben presto coperta di dei, e si scende, alla fine, dagli astri ai gatti e alle cipolle.
Tuttavia, la ragione è naturale che si sviluppi: il tempo fa sorgere finalmente dei filosofi, i quali capiscono che né le cipolle, né i gatti e nemmeno gli astri hanno ideato l'ordine della natura. Tutti questi filosofi babilonesi, persiani, egiziani, sciti, greci e romani ammettono un Dio supremo remuneratore e vendicatore.
Essi dapprima non lo dicono ai popoli: perché chiunque avesse denigrato gatti e cipolle davanti alle vecchiette e ai preti sarebbe stato lapidato; chiunque avesse rimproverato a certi egiziani di mangiare i loro dei sarebbe stato mangiato lui stesso (come infatti Giovenale racconta di un egiziano, che fu ammazzato e mangiato crudo nel bel mezzo di una disputa).
E cosa fecero allora? Orfeo ed altri istituiscono dei misteri che gli iniziati giurano, con esecrabili giuramenti, di non rivelare mai: e il principale di essi è l'adorazione di un solo Dio. Questa grande verità si propaga in metà della terra: il numero degli iniziati diventa immenso. È vero che l'antica religione sussiste sempre; ma, dato che non è contraria al dogma dell'unità di Dio, la si lascia sussistere. E perché abolirla? I romani riconoscono il Deus optimus maximus; i greci hanno il loro Zeus, loro Dio supremo. Tutte le altre divinità non sono che esseri intermedi: si innalzano eroi e imperatori alla dignità di dei, cioè di beati, ma è sicuro che Claudio, Ottaviano, Tiberio e Caligola non furono considerati i creatori del cielo e della terra.
Insomma, sembra provato che, ai tempi di Augusto, tutti coloro che avevano una religione, riconoscevano un Dio superiore, eterno, e molti ordini di dei secondari, il cui culto fu in seguito chiamato «idolatria».
Gli ebrei non erano mai stati idolatri; perché, sebbene ammettessero dei malakhim, degli angeli, esseri celesti d'ordine inferiore, la loro legge non imponeva che queste divinità secondarie avessero presso di loro un culto. Essi adoravano gli angeli, è vero: e si prosternavano, quando li vedevano; ma, siccome questo non capitava spesso, non c'erano né un cerimoniale né un culto legale stabilito per loro. I cherubini dell'arca non ricevevano omaggi. È certo che gli ebrei adoravano apertamente un solo Dio, come la folla innumerevole di iniziati lo adoravano in segreto nei loro misteri.
Questione terza
Fu quando il culto di un Dio supremo era ormai universalmente accolto da tutti i saggi, in Asia, in Europa e in Africa, che nacque la religione cristiana.
Il platonismo diede un grande contributo all'intelligenza dei suoi dogmi. Il Logos, che in Platone significava la saggezza, la ragione dell'Essere supremo, divenne, per noi cristiani, il Verbo, e la seconda persona di Dio. Una metafisica, profonda e superiore all'intelletto umano, costituì un santuario inaccessibile, in cui la religione fu inviluppata.
Non ripeteremo qui come Maria venne in seguito dichiarata madre di Dio, come si stabilì la consustanzialità del Padre e del Verbo, e la processione del Pneuma, organo divino del divino Logos; due nature e due volontà risultanti dall'ipòstasi; e, infine, la manducazione superiore: l'anima nutrita, come il corpo, delle membra e del sangue dell'Uomo- Dio, adorato e mangiato sotto le specie del pane, presente agli occhi, sensibile al gusto e tuttavia annientato. Tutti i misteri furono sublimi.
Fin dal II secolo si cominciò a cacciare i demoni in nome di Gesù. Prima li si cacciava in nome di Jehovah, o Jhaho: san Matteo narra che, avendo detto i nemici di Gesù ch'egli cacciava i demoni in nome del principe dei demoni, egli rispose: «Se è per mezzo di Belzebù che io caccio i demoni, per mezzo di chi li cacciano i vostri figli?»
Non si sa in qual tempo gli ebrei abbiano riconosciuto come principe dei demoni Belzebù, che era un dio straniero; ma sappiamo (ed è Giuseppe Flavio che lo riferisce) che a Gerusalemme c'erano degli esorcisti incaricati di cacciare i demoni dal corpo degli ossessi, ossia di uomini colpiti da malattie singolari, attribuite allora, in gran parte della terra, a geni malefici. Si cacciavano dunque, questi demoni, mediante la vera pronuncia del nome di Jehovah, oggi perduta, e con altre cerimonie oggi dimenticate.
Tale esorcismo in nome di Jehovah o degli altri nomi di Dio era ancora in uso nei primi secoli della Chiesa. Origene, disputando contro Celso, gli dice (n. 262): «Se, invocando Dio, o giurando per lui, lo si chiama il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, si adempiranno certe cose con quei nomi, la cui natura e forza sono tali che i demoni si sottomettono a chi li pronunzia; ma, se lo si chiama con un altro nome, come ad esempio Dio del mare fragoroso, questi nomi saranno senza virtù. Il nome di Israele, tradotto in greco, niente potrà operare; ma pronunciatelo in ebraico, con le altre parole richieste, e operate lo scongiuro.»
Lo stesso Origene, al n. 19, dice queste interessanti parole: «Ci sono nomi che hanno naturalmente una loro virtù, come quelli di cui si servono i saggi fra gli egiziani, i maghi in Persia, i brahmani in India. Quel che si chiama magia non è un'arte vana e chimerica, come pretendono gli stoici e gli epicurei; né il nome di Sabaoth, né quello di Adonai furono fatti per esseri creati; ma essi appartengono a una teologia misteriosa che si riferisce al Creatore; di qui deriva la virtù di tali nomi, quando li si combina e pronunzia secondo le regole ecc.»
Origene, scrivendo così, non esprime il suo parere; non fa che riferire l'opinione universale. Tutte le religioni allora conosciute ammettevano più o meno la magia; e si distinguevano la magia celeste e la magia infernale, la necromanzia e la teurgia: tutto era prodigio, divinazione, oracolo. I persi non negavano i miracoli degli egiziani, né questi i miracoli dei persi; Dio permetteva che i primi cristiani fossero persuasi degli oracoli attribuiti alle Sibille, e perdonava loro anche alcuni errori niente affatto importanti, che non corrompevano la sostanza della religione.
Un altro fatto degno di nota è che i cristiani dei primi due secoli avevano in orrore i templi, gli altari e i simulacri. Lo afferma Origene (n. 374). Tutto poi cambiò con la disciplina, quando la Chiesa ebbe un ordinamento stabile.
Questione quarta
Una volta che una religione sia legalmente stabilita in uno Stato, i tribunali si preoccupano subito d'impedire che si rinnovino la maggior parte delle cose che si praticavano in tale religione, prima che fosse pubblicamente accettata. I fondatori si riunivano in segreto, a dispetto dei magistrati: ora non si pemettono che le pubbliche assemblee sotto gli occhi della legge, e tutte le associazioni che si sottraggono alla legge vengono proibite. La massima antica era che è meglio obbedire a Dio che agli uomini; ora vige la massima opposta: ossia che obbedire alle leggi dello Stato è obbedire a Dio. Prima non si sentiva parlare che di ossessioni e possessioni, il diavolo era allora scatenato sulla terra: oggi il diavolo non esce più dall'inferno. I prodigi, le predizioni erano allora necessari: ora non sono più presi in considerazione. Un uomo che predicesse nelle pubbliche piazze delle calamità sarebbe portato al manicomio. I fondatori ricevevano segretamente il denaro dei fedeli: oggi, un uomo che raccogliesse denaro per disporne senza essere autorizzato dalla legge, finirebbe in tribunale. Così non ci si serve più di nessuna delle impalcature che son servite ad innalzare l'edificio.
Questione quinta
Dopo la nostra santa religione, che è indubbiamente la sola buona, quale sarebbe la meno cattiva?
Non sarebbe forse la più semplice? Non sarebbe quella che insegnasse molta morale e pochissimi dogmi? che tendesse a rendere giusti gli uomini, senza renderli assurdi? che non ordinasse di credere a cose impossibili, contraddittorie, ingiuriose per la Divinità e dannose al genere umano, e non osa minacciare pene eterne a chi si attenesse al senso comune? Non sarebbe quella che non imponesse di credere in Dio per mezzo di carnefici e non inondasse la terra di sangue per dei sofismi incomprensibili? quella in cui un equivoco, un gioco di parole o due o tre documenti falsificati non facessero un sovrano e un dio di un prete spesso incestuoso, omicida e avvelenatore? quella che non sottomettesse i re a questo prete? e insegnasse solo l'adorazione di un Dio, la giustizia, la tolleranza e l'umanità?
Questione sesta
Si è detto che la religione dei gentili era in molti punti assurda, contraddittoria e dannosa; ma non le è stato imputato più male di quanto ne compì e più sciocchezze di quante ne predicò?
Perché vedere Giove toro
Serpente, cigno o altro,
Non lo trovo affatto bello,
E non mi stupisco che qualche volta se ne dubiti.
(Molière. Prologo di Amphitryon)
Indubbiamente, si tratta di invenzioni spudorate. Eppure mi si mostri, in tutta l'antichità, un tempio dedicato a Leda che si accoppia con un cigno o con un toro. In Atene o a Roma non si predicò mai nessun sermone per incoraggiare le fanciulle a far figli con i cigni del loro cortile. Le favole raccolte e abbellite da Ovidio eran forse religione? Non assomigliano piuttosto alla nostra Leggenda aurea, al nostro Fiore dei santi? Se qualche brahmano o derviscio venisse a criticarci ricordandoci la storia di santa Maria Egiziaca la quale, non avendo denaro per pagare i marinai che l'avevano condotta in Egitto, concesse, a ciascuno di loro, invece di moneta, quel che chiamiamo i suoi «favori», noi diremmo al brahmano: «Reverendo Padre, voi vi sbagliate, la nostra religione non è la Leggenda aurea.»
Noi rimproveriamo agli antichi i loro oracoli, i loro prodigi; ma, se essi ritornassero al mondo, e potessimo enumerare i miracoli della Madonna di Loreto e quelli della Madonna di Efeso, in favore di chi penderebbe la bilancia?
I sacrifici umani furono ammessi da quasi tutti i popoli, ma molto raramente praticati. Fra gli ebrei, solo la figlia di Jefte e il re Agag furono immolati: a Isacco e a Gionata venne risparmiata la vita. La storia del sacrificio di Ifigenia non è stata mai bene accertata. Fra gli antichi romani, i sacrifici umani sono rarissimi. In breve, la religione pagana fece versare pochissimo sangue: la nostra ne ha inondato la terra. La nostra è senza dubbio la sola buona, la sola vera; ma per mezzo suo abbiamo compiuto tanto di quel male che, quando parliamo delle altre, dobbiamo farlo con molta modestia.
Questione settima
Se un uomo vuole convertire alla sua religione degli stranieri o dei compatrioti, non deve forse convincerli con la più insinuante dolcezza e la più allettante moderazione? Se comincia col dire che ciò che annuncia è chiaramente dimostrato, troverà una folla di increduli; se osa dire che essi respingono la sua dottrina solo perché condanna le loro passioni, e perché il loro cuore ha corrotto la loro mente e perciò hanno una ragione falsa e orgogliosa, li muove a ribellione, li anima contro di sé e così abbatte egli stesso quel che vuol costruire.
Se la religione che annuncia è vera, il furore e l'insolenza la renderanno forse più vera? V'incollerite quando insegnate che bisogna essere miti, pazienti, benefici, giusti e adempiere tutti i doveri verso il prossimo? No, perché tutti sono del vostro parere. Perché allora coprite d'insulti il vostro fratello quando gli predicate una metafisica misteriosa? Perché il suo buon senso irrita il vostro amor proprio. Voi avete l'orgogliosa smania d'esigere che il vostro fratello sottometta la sua intelligenza alla vostra; l'orgoglio umiliato provoca la collera, la quale non ha altra origine. Un uomo che in guerra viene colpito da venti colpi di fucile, non va in collera. Ma un teologo ferito dal rifiuto di un assenso, diventa furioso e implacabile.
Questione ottava
Non bisogna forse distinguere con gran cura la religione dello Stato dalla religione teologica? Quella dello Stato esige che gli iman tengano i registri dei circoncisi, e i parroci o i pastori quelli dei battezzati; che vi siano moschee, chiese, templi, giorni consacrati all'adorazione e al riposo, riti stabiliti dalla legge; che i ministri di questi riti godano di considerazione, senza però avere nessun potere; che insegnino al popolo i buoni costumi, e che i ministri della legge veglino sui costumi dei ministri dei templi. Tale religione dello Stato non potrà mai provocare nessun disordine.
Non è così nella religione teologica; essa è la fonte di tutte le sciocchezze e di tutti i torbidi immaginabili; è la madre del fanatismo e della discordia civile; è la nemica del genere umano. Un bonzo pretende che Fo sia un dio; che sia stato predetto da certi fachiri; che sia nato da un elefante bianco; che ogni bonzo possa fare un Fo con qualche smorfia. Un talapoino dice che Fo era un sant'uomo, di cui i bonzi hanno corrotto la dottrina, e che il vero dio è Sammonocodom. Dopo cento argomentazioni e cento smentite, le due fazioni si accordano di rimettersi al Dalai Lama, che abita a trecento leghe di distanza, che è immortale e anche infallibile. Le due fazioni gli inviano una solenne delegazione. Il Dalai Lama comincia, secondo il suo divino costume, col distribuire loro la cacca che è nella sua seggetta.
Le due sette rivali la ricevono dapprima con uguale rispetto la fanno seccare al sole, e la incastonano in piccoli grani di rosario che baciano con devozione; ma, non appena il Dalai Lama e il suo consiglio si dichiarano in favore di Fo, ecco che il partito condannato getta in faccia al vice-dio i rosari, e gli vuol affibbiare cento staffilate. L'altro partito difende il suo Lama, dal quale ha ricevuto delle buone terre. Tutti e due si combattono a lungo, e quando finalmente sono stanchi di sterminarsi, d'assassinarsi, di avvelenarsi a vicenda, continuano a lanciarsi grosse ingiurie; e il Dalai Lama, il buon papà, se la ride e continua a distribuire la cacca che è nella sua seggetta a chiunque devotamente aspiri a riceverla.
RESURREZIONE
I
Si racconta che gli egiziani abbiano costruito le loro piramidi solo per farne delle tombe, e che i loro corpi, imbalsamati dentro e fuori, aspettassero che le loro anime venissero a rianimarli in capo a mille anni. Ma, se i loro corpi dovevano risuscitare, perché la prima operazione degli imbalsamatori era quella di perforarne il cranio con un trivello per trarne fuori il cervello? L'idea di risuscitare senza cervello fa sospettare (se si può usare questo verbo) che gli egiziani, da vivi, non ne avessero molto; bisogna tuttavia considerare che la maggior parte degli antichi credevano che l'anima risiedesse nel petto. E perché l'anima deve risiedere nel petto piuttosto che altrove? Perché, in effetti, quando ci sentiamo agitati da sentimenti un po' violenti, proviamo verso la regione del cuore una dilatazione o come una stretta, e questo fece pensare che stesse lì la sede dell'anima. Quest'anima fu immaginata come qualcosa di aereo: una lieve figura che andava a spasso dove poteva, finché non avesse ritrovato il proprio corpo.
La credenza nella resurrezione è molto più antica dei tempi storici. Atalide, figlia di Mercurio, poteva morire e risuscitare a suo piacimento; Esculapio restituì la vita a Ippolito; Ercole ad Alcesti; Pelope, tagliato a pezzi dal padre, fu fatto risorgere dagli dei. Platone racconta che Er risuscitò soltanto per quindici giorni.
Presso gli ebrei, i farisei accolsero il dogma della resurrezione solo parecchio tempo dopo Platone. Negli Atti degli Apostoli si legge un episodio assai singolare e degno di nota. San Giacomo e molti dei suoi compagni consigliano a san Paolo di entrare nel tempio di Gerusalemme a compiervi, benché cristiano, tutte le cerimonie dell'antica legge, «affinché tutti sappiano che ciò che si dice di te è falso e che continui ad osservare la legge di Mosè». Il che era come dire: «Va' a mentire, a spergiurare, a rinnegare pubblicamente la religione che insegni.»
San Paolo andò dunque per sette giorni nel tempio, ma il settimo fu riconosciuto. Lo si accusò d'esserci andato con degli stranieri e di averlo profanato. Ecco come si cavò d'impiccio:
«Ora, Paolo, sapendo che una parte di coloro che erano lì erano sadducei e l'altra farisei, esclamò nell'assemblea: "Fratelli, io sono fariseo e figlio di farisei; e mi si vuole condannare perché spero in un'altra vita e nella resurrezione dei morti."»
In tutta questa faccenda non si era fatto cenno alcuno sulla questione della resurrezione dei morti. Paolo lo disse soltanto per aizzare i farisei e i sadducei gli uni contro gli altri.
V. 7 «E come Paolo ebbe detto questo, nacque contesa tra i farisei e i sadducei; e l'assemblea fu divisa.»
V. 8 «Poiché i sadducei affermano che non c'è resurrezione, né angelo, né spirito; mentre i farisei hanno fede nell'una e nell'altra cosa.»
Si è preteso che il vecchissimo Giobbe conoscesse il dogma della resurrezione. Si citano queste sue parole: «Io so che il mio redentore è vivente e che un giorno la sua redenzione si eleverà su di me (o: che mi solleverò dalla polvere); che la mia pelle si riformerà, e che vedrò ancora Dio nella mia carne.»
Ma molti commentatori sostengono che con queste parole Giobbe sperava di guarire presto dalla sua infermità, di non restare fino alla morte disteso in terra, come lo era stato finora. E il seguito del passo prova a sufficienza che questa spiegazione è quella vera, perché subito dopo Giobbe grida ai suoi falsi e duri amici: «Perché dunque dite "Perseguitiamolo"?» (o: «Perché voi direte: "Perché l'abbiamo perseguitato?"»). Questo, evidentemente, significa: «Voi vi pentirete d'avermi offeso, quando mi rivedrete nella mia prima condizione di salute e di opulenza.» Un malato che dice: «Io mi alzerò,» non dice: «Io risusciterò» Voler forzare il significato di testi chiari è il modo più sicuro per non capirsi mai o, piuttosto, per essere considerati come gente in mala fede dagli onest'uomini.
San Girolamo colloca la nascita della setta dei farisei pochissimo tempo prima della nascita di Gesù Cristo. Il rabbino Hillêl sarebbe stato il fondatore della setta farisaica, e questo Hillêl era contemporaneo di Gamaliele, il maestro di san Paolo.
Molti di questi farisei credevano che soltanto gli ebrei sarebbero risorti: quanto al resto degli uomini, non valeva la pena che risorgesse. Altri sostenevano che si sarebbe risorti soltanto in Palestina e che i corpi di quanti fossero stati seppelliti altrove sarebbero stati trasportati di nascosto presso Gerusalemme, per raggiungervi le loro anime. Ma san Paolo, scrivendo agli abitanti di Tessalonica, dice loro che «il secondo avvento di Gesù Cristo sarà per loro e per lui, che ne saranno testimoni».
V. 16 «Perché, appena sarà stato dato il segnale dall'arcangelo e dal suono della tromba di Dio, lo stesso Signore scenderà dal cielo, e i morti in Gesù Cristo risusciteranno per primi.»
V. 17 «Poi, noi viventi, quelli che saremo rimasti sino allora, verremo con loro portati via sulle nuvole, a incontrare il Signore nell'aria; e così vivremo per sempre col Signore.»
Questo passo importante non prova con evidenza che i primi cristiani erano sicuri di vedere la fine del mondo, come in effetti è predetta in san Luca, fine che sarebbe venuta mentre lui era ancora vivo? Se essi non videro la fine del mondo, se nessuno risuscitò per allora, quel che viene differito non viene però perduto.
Sant'Agostino crede che i bambini, anche quelli nati morti, risusciteranno una volta raggiunta l'età di uomini maturi. Origene, Girolamo, Atanasio, Basilio non credevano che le donne, risuscitando, dovessero mantenere il loro sesso.
Insomma, si è sempre disputato su quel che siamo stati, su quel che siamo, e su quel che saremo.
II
Il padre Malebranche prova la verità della resurrezione con l'esempio dei bruchi che diventano farfalle. Questa prova, come si vede, è altrettanto fragile delle ali degli insetti con cui la mette in relazione. Certi pensatori, addestrati ai calcoli, avanzano obiezioni aritmetiche contro questa verità così ben dimostrata. Essi affermano che gli uomini e gli altri animali sono in realtà nutriti e crescono con la sostanza dei loro predecessori. Il corpo di un uomo ridotto in polvere, sparso nell'aria e ricaduto poi sulla superficie della terra, si trasforma in vegetali o frumento. Così Caino mangiò una parte di Adamo; Henoc si nutrì di Caino, Irad di Henoc, Mehuïael di Irad, Matusalemme di Mehuiael; e troviamo che non c'è nessuno di noi che non abbia mangiato una piccola porzione del nostro primo progenitore. È per questo che si è detto che siamo tutti antropofagi. Niente è più evidente dopo una battaglia: non solo ammazziamo i nostri fratelli, ma in capo a due o tre anni, li abbiamo tutti mangiati, quando si raccolgono le messi sul campo di battaglia; e anche noi saremo certo mangiati, a nostra volta. Ora, quando dovremo risuscitare, come faremo a rendere ad ognuno il corpo che gli apparteneva, senza perderne un po' del nostro?
Ecco quel che dicono coloro che dubitano della resurrezione; ma coloro che ci credono hanno risposto loro con gran competenza.
Un rabbino di nome Samai dimostra la verità della resurrezione con questo passo dell'Esodo: «Io sono apparso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe e ho promesso loro con giuramento di dar loro la terra di Canaan.» «Ora Dio, nonostante quel giuramento,» dice questo gran rabbino, «non dette loro quella terra: dunque essi, per goderne, dovranno risuscitare, affinché il giuramento sia adempiuto.»
Il profondo filosofo don Calmet trova nei vampiri una prova ben più precisa. Egli aveva visto dei vampiri che uscivano dai cimiteri per andare a succhiare il sangue della gente addormentata; ora, è chiaro che essi non potrebbero succhiare il sangue dei vivi, se ancora fossero morti: dunque, erano risuscitati: questo ragionamento è davvero convincente.
Una cosa altrettanto sicura è che tutti i morti, il giorno del giudizio, marceranno sotto terra come le talpe (a quanto dice il Talmud) per sbucare nella valle di Josafat, situata tra la città di Gerusalemme e il monte degli Olivi. Si starà assai pigiati, in questa valle; ma basterà ridurre i corpi proporzionalmente, come i diavoli di Milton nella sala del Pandemonio.
La resurrezione si compirà al suono della tromba, a quel che dice san Paolo. Sarà bene che ci siano parecchie trombe, perché il tuono stesso non si ode a più di tre o quattro leghe intorno. Potremmo chiederci quante trombe ci saranno; i teologi non hanno ancora fatto questo calcolo, ma lo faranno.
Gli ebrei raccontano che la regina Cleopatra, la quale credeva senza dubbio nella resurrezione, come tutte le dame di quei tempi, domandò a un fariseo se si sarebbe risuscitati nudi. Quel dottore le rispose che, al contario, saremo vestiti benissimo, per la semplice ragione che il grano che si semina, morto sotto la terra, risuscita poi in spighe con un abito a frange. Quel rabbino era un eccellente teologo: ragionava come don Calmet.
Ultima modifica 12.01.2009