Voltaire

Dizionario Filosofico

 

B

 

 

 

 

BABELE
BATTESIMO
BELLO
BELLEZZA
BENE
(SOMMO BENE)
BENE
(TUTTO E' BENE)
BESTIE

 

 

 

 

BABELE

 

La vanità ha sempre innalzato i grandi monumenti. Fu per vanità che gli uomini costruirono la bella torre di Babele. «Su, eleviamo una torre la cui cima tocchi il cielo e rendiamo famoso il nostro nome prima d'essere dispersi per tutta la terra.» L'impresa fu compiuta ai tempi di un tal Faleg, che aveva per quinto avo il buon Noè. L'architettura e tutte le arti ad essa connesse avevano fatto, come si vede, grandi progressi in cinque generazioni. San Girolamo, colui che vide i fauni e i satiri, non aveva visto la torre di Babele più di quanto non l'abbia vista io; ma assicura che era alta ventimila piedi. Non è poi tanto. L'antico libro Jacult, scritto da uno dei più dotti ebrei, dimostra che era alta ottantamila piedi giudaici, e tutti sanno che il piede giudaico era pressappoco lungo quanto il piede greco. Questa dimensione è ben più verosimile di quella di Girolamo. Questa torre esiste ancora; ma non è più così alta. Molti viaggiatori, della cui parola non dubitiamo, dicono di averla vista; io, che non l'ho vista, non ne parlerò più che di Adamo, mio avo, col quale non ho avuto l'onore di conversare. Ma potete consultare il Rev. P. Calmet: è un uomo di sottile intelletto e profonda filosofia: lui vi spiegherà la cosa. Io non so perché nel Genesi si dica che Babele significa «confusione». Ba, nelle lingue orientali, significa «padre», e Bel significa «Dio». Babele, dunque, è la città di Dio, la città santa. Gli antichi davano questo nome a tutte le loro capitali. Però è incontestabile che Babele vuol dire «confusione»: sia perché gli architetti furono confusi dopo aver innalzato l'opera loro fino a ottantunmila piedi giudaici, sia perché le lingue si confusero; ed evidentemente è da allora che i tedeschi non intendono più i cinesi; poiché è chiaro, secondo il dotto Bochart, che originariamente il cinese e l'alto-tedesco erano la stessa lingua.

 

 

BATTESIMO

 

Parola greca, che significa «immersione». Gli uomini, che si fan sempre guidare dai sensi, immaginarono facilmente che quel che lavava il corpo, lavasse anche l'anima. Nei sotterranei dei templi d'Egitto c'erano grandi tinozze per i sacerdoti e gli iniziati. Gli indiani, da tempo immemorabile, si purificano nell'acqua del Gange, e tale cerimonia è ancora in uso. Essa passò poi agli ebrei; i quali battezzavano tutti gli stranieri che, pur abbracciando la legge giudaica, non volevano però sottomettersi alla circoncisione. Soprattutto le donne, cui non si faceva tale operazione, e che non la subivano se non in Etiopia, venivano battezzate; era una rigenerazione: essa dava una nuova anima come in Egitto. Leggete, in proposito, Epifanio, Maimonide e la Gemara.

Giovanni battezzò nel Giordano, e battezzò anche Gesù, che non battezzò mai nessuno, ma si degnò di consacrare quest'antica cerimonia. Ogni segno è di per sé indifferente, e Dio attribuisce la sua grazia al segno che gli piace scegliere. Il battesimo fu presto il primo rito e il suggello della religione cristiana. Tuttavia, i primi quindici vescovi di Gerusalemme furono tutti circoncisi; non è invece sicuro che fossero battezzati.

Nei primi secoli del cristianesimo, si abusò di questo sacramento; niente era più comune che aspettare l'agonia per ricevere il battesimo. L'esempio dell'imperatore Costantino ne è una prova abbastanza esplicativa. Ecco come si ragionava: «Il battesimo purificava tutto: posso dunque scannare mia moglie, i miei figli e tutti i miei parenti; dopo di che, mi farò battezzare e andrò in cielo.» Come difatti accade. Questo esempio era pericoloso; a poco a poco la consuetudine di aspettare la morte per immergersi nel bagno sacro, andò in disuso. I greci conservarono sempre il battesimo per immersione. I latini, invece, verso la fine dell'VIII secolo, avendo esteso la loro religione nelle Gallie e in Germania, e vedendo che l'immersione, nei paesi freddi, poteva far morire i bambini, vi sostituirono la semplice aspersione: il che attirò loro, spesso, l'anatema della Chiesa greca.

Fu domandato a san Cipriano, vescovo di Cartagine, se quelli che si erano fatti innaffiare il corpo fossero effettivamente battezzati. Egli rispose, nella sua settantaseiesima lettera, che «molte Chiese non credevano che quegli innaffiati fossero cristiani; lui pensava, invece, che fossero tali, ma che avessero una grazia infinitamente minore di coloro che erano stati immersi tre volte, secondo l'uso».

Un cristiano era iniziato dopo essere stato immerso: prima, era semplicemente catecumeno. Per essere iniziati, bisognava avere dei garanti, dei mallevadori, che si chiamavano con un nome che corrisponde a «padrini», affinché la Chiesa si assicurasse della fedeltà dei nuovi adepti, e i suoi misteri non venissero divulgati. Ecco perché, nei primi secoli, i gentili furono, in generale, assai male informati dei misteri dei cristiani: proprio come questi lo erano dei misteri di Iside e di Eleusi.

Cirillo d'Alessandria, nel suo scritto contro l'imperatore Giuliano, dice: «Io parlerei del battesimo, se non temessi che il mio discorso potrebbe pervenire ai non iniziati.»

Nel II secolo si cominciò a battezzare i bambini; era naturale che i cristiani desiderassero che i loro figli, i quali senza quel sacramento, sarebbero stati dannati, ne fossero muniti. Si concluse infine che bisognava amministrarglielo dopo otto giorni dalla nascita, perché i bambini ebrei venivano circoncisi a quest'età. La Chiesa greca segue ancora tale uso. Tuttavia, nel III secolo, prevalse la consuetudine di non farsi battezzare che in punto di morte.

Coloro che morivano nella prima settimana erano dannati, secondo i più rigidi fra i Padri della Chiesa. Ma Pietro Crisologo, nel V secolo, immaginò il Limbo come una specie di inferno mitigato, e, propriamente, orlo d'inferno, sobborgo d'inferno, dove vanno i bambini morti senza battesimo e dove stavano i patriarchi prima della discesa di Gesù Cristo: per cui prevalse poi l'opinione che Gesù fosse disceso nel Limbo e non nell'inferno.

Si è discusso se nei deserti d'Arabia un cristiano potesse esser battezzato con della sabbia; si è risposto di no; se si potesse battezzare con acqua di rose: e si è stabilito che occorreva dell'acqua pura, ma che ci si poteva servire anche di acqua fangosa.

È chiaro che tutta questa disciplina è dipesa dalla prudenza dei primi pastori che l'hanno stabilita.

 

Idea degli unitari rigidi sul battesimo

«È evidente, per chiunque voglia ragionare senza pregiudizio, che il battesimo non è un segno di grazia conferita, né un suggello d'alleanza, ma un semplice segno di professione di fede.

«Che il battesimo non è necessario, né di necessità di precetto né di necessità di mezzo.

«Che non fu istituito da Gesù Cristo e che il cristiano può farne a meno, senza che possa risultarne per lui alcun inconveniente.

«Che non si devono battezzare né i bambini, né gli adulti, né, in genere, nessuno.

«Che il battesimo poteva essere in uso alle origini del cristianesimo per coloro che uscivano dal paganesimo, per rendere pubblica la loro professione di fede, ed esserne il segno autentico; ma che, al presente, è assolutamente inutile e del tutto indifferente.»

(Dal Dictionnaire encyclopédique, voce «Unitaire»)

 

Aggiunta importante

L'imperatore Giuliano, il filosofo, nella sua immortale satira I Cesari, mette queste parole in bocca a Costanzo, figlio di Costantino: «Chiunque si senta colpevole di stupro, di omicidio, di rapina, di sacrilegio e di tutti i più abominevoli delitti, sarà mondo e puro non appena lo avrò lavato con quest'acqua.»

Ed infatti, proprio questa fatale dottrina indusse gli imperatori cristiani e tutti i grandi dell'impero a differire il loro battesimo fino alla morte. Eran sicuri d'aver trovato il segreto per vivere da criminali e morire da virtuosi.

(Tratto dal signor Boulanger)

 

Altra aggiunta

Che strana idea, tratta dal bucato, che una brocca d'acqua lavi tutti i delitti! Oggi che si battezzano tutti i bambini, perché un'idea non meno assurda li suppose tutti criminali, eccoli tutti salvati, finché non abbiano l'età della ragione e possano diventare peccatori. Sgozzateli dunque al più presto per assicurare loro il paradiso! Questa conclusione è così giusta che ci fu una setta devota che si dava la briga di avvelenare o sgozzare tutti i bambini appena battezzati. Questi devoti ragionavano perfettamente. Dicevano: «Noi facciamo a questi piccoli innocenti il più gran bene possibile; impediamo loro d'essere cattivi e infelici in questa vita, e doniamo loro la vita eterna.»

(Del signor abate Nicaise)

 

BELLO, BELLEZZA

 

Chiedete a un rospo cos'è la bellezza, il bello assoluto, to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea: il bello è per lui una pelle nera, oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato.

Interrogate il diavolo: vi dirà che la bellezza è un paio di corna, quattro artigli e una coda. Consultate infine i filosofi: vi risponderanno con argomenti senza capo né coda; han bisogno di qualcosa conforme all'archetipo del bello in sé, al kalòn.

Assistevo un giorno a una tragedia, seduto accanto a un filosofo. «Quant'è bella!», diceva. «Cosa ci trovate di bello?» domandai. «Il fatto,» rispose, «che l'autore ha raggiunto il suo scopo.» L'indomani egli prese una medicina che gli fece bene. «Essa ha raggiunto il suo scopo,» gli dissi, «ecco una bella medicina!» Capì che non si può dire che una medicina è bella e che per attribuire a qualcosa il carattere della bellezza bisogna che susciti in noi ammirazione e piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato questi due sentimenti e che in ciò stava il kalòn, il bello.

Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si rappresentava la stessa tragedia, perfettamente tradotta, ma qua faceva sbadigliare gli spettatori. «Oh, oh,» disse, «il kalòn non è lo stesso per gli inglesi e per i francesi.» Concluse, dopo molte riflessioni, che il bello è assai relativo, così come quel che è decente in Giappone è indecente a Roma e quel che è di moda a Parigi non lo è a Pechino; e così si risparmiò la pena di comporre un lungo trattato sul bello.

 

 

BENE (SOMMO BENE)

 

Gli antichi han discusso molto sul sommo bene. Tanto valeva chiedersi cos'è il sommo blu, o il sommo intingolo, il sommo camminare, il sommo leggere ecc.

Ciascuno pone il proprio bene dove può, e ne ha quanto può, a suo modo.

Quid dem? quid non dem? Renuis tu quod jubet alter...

Castor gaudet equis; ovo prognatus eodem

Pugnis...

Il massimo bene è quello che vi diletta con tanta forza da mettervi nella totale impossibilità di sentire altro; come il male peggiore è quello che finisce col privarci di qualsiasi sentimento. Ecco i due estremi della natura umana, e questi due momenti sono brevi. Non esistono né estreme delizie né estremi tormenti che possano durare tutta la vita: il sommo bene e il sommo male sono chimere.

Abbiamo la bella favola di Crantore: la Ricchezza, il Piacere, la Salute e la Virtù si presentano ai giochi olimpici, ciascuna pretendendo il premio. La Ricchezza dice: «Il pomo tocca a me, perché con me si compra qualsiasi bene.» Il Piacere dice: «No, spetta a me, perché si cerca la ricchezza solo per avermi.» La Salute afferma che senza di lei, non può esserci piacere e che la ricchezza è inutile. Finalmente la Virtù dimostra che essa è superiore alle altre tre, perché con l'oro, i piaceri e la salute ci si può ridurre a uno stato ben miserabile, se ci si comporta male. E il pomo fu dato alla Virtù.

La favola è molto ingegnosa, ma non risolve l'assurda questione del sommo bene. La virtù non è un bene, ma un dovere; è di un genere diverso, di ordine superiore. Non ha niente a che fare con le sensazioni dolorose o piacevoli. L'uomo virtuoso, che abbia il mal della pietra o la gotta, che sia senza appoggi, senza amici, privo del necessario, perseguitato, messo in catene da un tiranno voluttuoso e in buona salute, è profondamente infelice; mentre il suo insolente persecutore che accarezza una nuova amante sul suo letto di porpora è felicissimo. Dite che il saggio perseguitato è preferibile al suo insolente persecutore; dite che amate l'uno e detestate l'altro: ma ammettete che il saggio in catene ha le furie nel cuore. Se il saggio non vuole ammetterlo, v'inganna, è un ciarlatano.

 

BENE (TUTTO È BENE)

 

Ci fu un gran chiasso nelle scuole, ed anche fra le persone che ragionano, quando Leibniz, parafrasando Platone, costruì il suo edificio del migliore dei mondi possibili, immaginando che tutto vada per il meglio. Egli affermò, nel nord della Germania, che Dio non poteva creare che un solo mondo.

Platone, almeno, aveva lasciato a Dio la libertà di farne cinque, per la ragione che non ci sono che cinque solidi regolari: il tetraedro, il cubo, l'esaedro, il dodecaedro e l'icosaedro. Ma siccome il mondo non ha la forma di nessuno dei cinque solidi di Platone, questi avrebbe dovuto permettere a Dio una sesta maniera.

Lasciamo da parte il divino Platone. Leibniz, che era sicuramente miglior geometra di lui e un più profondo metafisico, rese dunque al genere umano il servizio di mostrargli che dobbiamo essere tutti contenti e che Dio non poteva fare di più per noi, poiché aveva necessariamente scelto, tra tutti i partiti possibili, quello incontestabilmente migliore.

«E il peccato originale, dove lo mettiamo?» gli dissero. «Dove sarà possibile metterlo,» rispondevano Leibniz e i suoi amici. Ma, in pubblico, egli scriveva che il peccato originale rientrava necessariamente nel migliore dei mondi possibili.

Come! essere cacciati da un luogo di delizie, dove si sarebbe potuto vivere per sempre se non si fosse mangiata una mela; generare nella miseria dei figli miserabili che soffriranno di tutto e di tutto faranno soffrire gli altri! Come! Patire tutte le malattie, provare tutti i dispiaceri, morire nel dolore e, come rinfresco, venir bruciati per l'eternità: questa sorte sarebbe proprio la migliore possibile? Per noi non è certo una sorte invidiabile; in che modo può esserlo per Dio?

Leibniz capiva che non c'era niente da rispondere; così scrisse dei grossi libri che son tutta una contraddizione.

Negare che il male esiste, potrà essere detto per scherzo da un Lucullo, che gode ottima salute e che fa un buon pranzo con i suoi amici e la sua amante, nel salone di Apollo; ma basta che metta il capo fuor della finestra e vedrà degli infelici; o che gli venga la febbre, e sarà tale lui stesso.

Io non amo far citazioni; di solito, è una faccenda spinosa: si trascura ciò che precede e segue il passo che si cita e ci si espone a mille contestazioni. Tuttavia bisogna che citi Lattanzio, Padre della Chiesa, che nel capitolo XIII del suo De ira Dei, fa così parlare Epicuro: «O Dio vuole togliere il male da questo mondo, e non lo può; o lo può e non lo vuole; o non lo può né lo vuole; o, infine, lo vuole e lo può. Se lo vuole e non lo può, è impotenza, il che è contrario alla natura di Dio; se lo può e non lo vuole, è malvagità, il che non è meno contrario alla sua natura; se non lo vuole né lo può, è al tempo stesso malvagità e impotenza; se lo vuole e lo può (la sola ipotesi che si addica a Dio), donde viene il male sulla terra?»

L'argomento è arduo, e ad esso Lattanzio risponde nel peggiore dei modi, dicendo che Dio vuole il male, ma che ci ha dotati della saggezza che ci permette di conseguire il bene. Bisogna confessare che, in confronto con l'obiezione, questa è una risposta assai debole. Suppone infatti che Dio non possa darci la saggezza se non creando il male; e poi, che simpatica saggezza è la nostra!

L'origine del male è sempre stato un abisso di cui nessuno ha mai potuto vedere il fondo. È questo che ha ridotto tanti antichi filosofi e legislatori a ricorrere a due principi, uno buono e l'altro cattivo. Tifone era il principio del male presso gli egizi, Arimane lo era presso i persiani. I manichei adottarono, come si sa, questa teologia; ma poiché essi non parlarono mai né col principio buono né con quello cattivo, non bisogna credere loro sulla parola.

Fra le assurdità di cui rigurgita questo mondo, e che possiamo annoverare tra i nostri mali, la minore non è quella di aver supposto due esseri onnipotenti, che si combattono per stabilire quale dei due dovrà mettere una maggiore quantità di sé nel mondo, e fanno un accordo come i due dottori di Molière: concedetemi l'emetico, e io vi concederò il salasso.

Basìlide, seguendo i platonici, pretese, fin dal primo secolo della Chiesa, che Dio diede da fare il nostro mondo agli angeli della schiera più bassa, e che costoro, poco abili, fecero le cose quali le vediamo. Ma questa favola teologica va in fumo davanti alla tremenda obiezione che non è nella natura di un Dio onnipotente e saggio far costruire un mondo da architetti che non sanno affatto il loro mestiere.

Simone, che intuì questa obiezione, tentò di prevenirla dicendo che l'angelo che presiedeva alla fabbrica fu dannato per aver fatto così male il suo lavoro; ma le scottature di quest'angelo non guariscono noi.

L'avventura di Pandora presso i greci non risponde meglio all'obiezione. Il vaso, nel quale si trovavano rinchiusi tutti i mali, e al cui fondo resta la speranza, è invero una graziosa allegoria; ma quella Pandora fu foggiata da Vulcano solo per vendicarsi di Prometeo, che aveva fatto un uomo col fango.

Nemmeno gli indiani se la sono cavata meglio: Dio, creato l'uomo, gli diede una droga che gli avrebbe assicurato la salute per sempre; l'uomo caricò la droga sul suo asino, l'asino ebbe sete, e il serpente gl'insegnò una fontana; poi, mentre l'asino beveva, il serpente gli portò via la droga.

I siriani immaginarono che l'uomo e la donna, creati nel quarto cielo, si azzardarono a mangiare una focaccia, invece dell'ambrosia, che era il loro cibo naturale. L'ambrosia si esalava attraverso i pori; mentre, dopo aver mangiato la focaccia, bisognava andare al cesso. L'uomo e la donna pregarono un angelo d'insegnar loro dove si trovasse detto luogo. «Vedete,» disse l'angelo, «quel piccolissimo pianeta laggiù a circa sessanta milioni di leghe da qui? È il gabinetto dell'universo; andateci subito.» Essi ci andarono, e ci restarono. E da allora il nostro mondo fu quel che è.

Si potrà sempre domandare ai siriani perché Dio permise che l'uomo mangiasse quella focaccia e ne derivasse così per noi una quantità di mali tanto spaventosi.

Da questo quarto di cielo passo immediatamente a Lord Bolingbroke, tanto per non annoiarmi. Quest'uomo, che era senza dubbio un grande ingegno, diede al celebre Pope il piano del suo «Tutto è bene» che si ritrova, infatti, parola per parola, nelle opere postume di Lord Bolingbroke e che Lord Shaftesbury aveva già inserito nelle sue Characteristics. Leggete in Shaftesbury il capitolo sui moralisti: vi troverete queste parole:

«C'è molto da rispondere a queste lamentele sui difetti della natura. Come mai essa è uscita così impotente e difettosa dalle mani di un essere perfetto? Ma io nego ch'essa sia difettosa... La sua bellezza risulta dalle contrarietà, e la concordia universale nasce da un perpetuo conflitto... È necessario che ogni essere sia immolato ad altri: i vegetali agli animali, gli animali alla terra...; e le leggi del potere centrale e della gravitazione, che danno ai corpi celesti il loro peso e il loro moto, non saranno certo alterate per riguardo a un debole animale, che pur essendo protetto da queste stesse leggi, sarà ben presto da esse ridotto in polvere.»

Bolingbroke, Shaftesbury e Pope, loro portavoce, non risolvono il problema meglio degli altri. Il loro «Tutto è bene» vuol dire semplicemente che tutto è retto da leggi immutabili; chi non lo sa? Non ci insegnate niente, quando osservate quel che sanno anche i bambini: che le mosche sono nate per essere divorate dai ragni, i ragni dalle rondini, le rondini dalle avèrle, le avèrle dalle aquile, le aquile per essere uccise dagli uomini, e gli uomini per ammazzarsi a vicenda e per essere mangiati dai vermi e poi, almeno mille su uno, dai diavoli.

Ecco un ordine chiaro e costante tra gli animali di ogni specie: dappertutto c'è ordine. Quando nella mia vescica si forma una pietra, ciò avviene per effetto di una meccanica ammirevole: degli umori calcarei passano a poco a poco nel mio sangue, si infiltrano nei reni, passano per gli ureteri, si depositano nella mia vescica, vi si riuniscono grazie ad un'eccellente attrazione newtoniana; si forma una pietruzza, si ingrossa, io soffro mali milIe volte peggiori della morte, sempre grazie al più bell'assetto del mondo; un chirurgo, che ha perfezionato l'arte inventata da Tubalcaino, viene a piantarmi un ferro acuto e tagliente nel perineo, afferra la mia pietruzza con le sue pinzette; quella si spezza sotto i suoi sforzi per effetto di un meccanismo necessario e, in virtù di questo meccanismo, io muoio fra i tormenti più atroci. E «tutto questo è bene», tutto questo è l'evidente conseguenza di principi fisici inalterabili: sono d'accordo, ma lo sapevo, come del resto lo sapete anche voi.

Se fossimo insensibili, non ci sarebbe niente da dire su questa fisica. Ma non si tratta di questo; noi vi chiediamo se vi sono o no dei mali sensibili, e da dove provengono. «Non esistono mali,» dice Pope nella sua quarta epistola sul suo «Tutto è bene», «o se ci sono dei mali particolari, essi compongono il bene generale.»

Ecco un singolare bene generale, che si compone della pietra, della gotta, di tutti i crimini, di tutte le sofferenze, della morte e della dannazione.

La caduta dell'uomo è l'impiastro che applichiamo a tutte queste malattie particolari dell'anima e del corpo, che voi chiamate salute generale; ma Shaftesbury e Bolingbroke se ne infischiano del peccato originale; Pope, anzi, non ne parla affatto: è chiaro che il loro sistema infirma alle basi la religione cristiana, e non ne spiega un bel niente.

Tuttavia, questo sistema è stato di recente approvato da numerosi teologi, che ammettono volentieri i contrari; alla buon'ora! Non bisogna invidiare a nessuno la consolazione di ragionare come può sul diluvio di mali che ci inonda. È giusto concedere ai malati senza speranza di mangiare quel che vogliono. Si è arrivati perfino a pretendere che questo sistema è consolante: «Dio,» dice Pope, «vede con lo stesso occhio morire l'eroe e il passero, disgregarsi un atomo o mille pianeti, formarsi una bolla di sapone o un mondo.»

Ecco davvero una bella consolazione! non trovate un gran sollievo nella ricetta di Shaftesbury, il quale dice che Dio non si metterà certo ad alterare le sue leggi eterne per un animale così meschino com'è l'uomo? Bisogna ammettere almeno che questo meschino animale ha ogni diritto di disperarsi umilmente e di cercar di comprendere, mentre grida, perché mai quelle leggi eterne non sono fatte per il benessere d'ogni individuo.

Questo sistema del «Tutto è bene» rappresenta l'autore di tutta la natura come un re potente e malefico, che resta impassibile se vede perire quattro o cinquecentomila uomini, e gli altri trascinare la loro vita nella fame e nelle lacrime, purché egli possa venire a capo dei suoi disegni.

Lungi dal consolarci, dunque, la teoria del migliore dei mondi possibili è scoraggiante per i filosofi che la accolgono.

La questione del bene e del male resta, per coloro che cercano in buona fede, un caos inestricabile; è solo un gioco intellettuale per coloro che amano disputare: sono dei forzati che giocano con le loro catene. Quanto al volgo, che non pensa, esso somiglia a quei pesci che da un fiume sono trasferiti in un vivaio; non sospettano d'essere lì per venir mangiati durante la quaresima: così noi, con le nostre sole forze, non sappiamo niente sulle cause del nostro destino. Mettiamo dunque, alla fine di quasi tutti i capitoli di metafisica, le due lettere dei giudici romani, quando una causa rimaneva oscura: N.L., non liquet, la cosa non è chiara.

 

 

BESTIE

 

Che pietà, che insipienza, aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e sentimento, che fan sempre le stesse cose allo stesso modo, che non imparano niente, non perfezionano niente ecc.!

Come! Quell'uccello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca a un muro; che lo fa a quarto di cerchio quando è in un angolo e a cerchio su un albero, quell'uccello fa tutto allo stesso modo? Quel cane da caccia che hai addestrato per tre mesi non ne sa, forse, adesso, più di prima? E quel canarino cui insegni un'aria, te la ripete forse subito? Non impieghi un tempo considerevole a insegnargliela? Non hai osservato che se si sbaglia, poi si corregge?

Forse per il solo fatto che ti parlo, tu pensi ch'io abbia sentimento, memoria, idee? Ebbene, non ti parlo: mi vedi rincasare con aria afflitta, cercare inquieto un foglio, aprire lo scrittoio dove mi ricordo d'averlo chiuso, trovarlo, leggere con gioia. E così concludi che io ho provato il sentimento dell'afflizione e quello del piacere, che ho memoria e conoscenza.

Giudica adesso con lo stesso metro quel cane che ha perduto il padrone, che l'ha cercato per tutte le strade con guaiti dolorosi, che rientra in casa agitato, inquieto, che sale, scende, va di stanza in stanza e trova infine nel suo studio il padrone che ama, e gli testimonia la propria gioia con la dolcezza dei suoi mugolii, saltando, e leccandolo.

Dei barbari agguantano questo cane, che nel senso dell'amicizia supera in modo così straordinario l'uomo, lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesenteriche. Scopri in lui gli stessi organi della sensibilità che sono in te. Rispondimi, meccanicista: la natura ha dotato quest'animale di tutti gli impulsi del sentimento perché non senta? Ha forse dei nervi perché resti impassibile? Non supporre questa impertinente contraddizione nella natura.

Ma i maestri della scuola domandano che cos'è l'anima delle bestie. Io, questa domanda, non la capisco. Un albero ha la facoltà di ricevere nelle sue fibre la linfa che vi circola, di far sbocciare le gemme delle sue foglie e dei suoi frutti: mi domanderete allora che cos'è l'anima di quest'albero? Esso ha ricevuto questi doni; e l'animale ha ricevuto quelli del sentimento, della memoria, di un certo numero di idee. Chi gli ha dato tutti questi doni? Colui che fa crescere l'erba dei campi e gravitare la terra intorno al sole.

«Le anime delle bestie sono forme sostanziali,» disse Aristotele e, dopo di lui, la scuola araba; e, dopo la scuola araba, la scuola angelica; e, dopo la scuola angelica, la Sorbona; e, dopo la Sorbona, nessun altro.

«Le anime delle bestie sono materiali,» gridano altri filosofi. Costoro non hanno avuto più fortuna degli altri. Invano si è chiesto loro che cos'è un'anima materiale: devono ammettere che è una materia dotata della capacità di sentire. Ma chi le ha dato questa capacità? Un'altra anima materiale: ossia sarebbe la materia a fornire la capacità di sentire a un'altra materia: non escono da questo circolo.

Ascoltate altre bestie che ragionano sulle bestie: «La loro anima è un ente spirituale che muore con il corpo.» Ma quale prova ne avete? Che concetto vi fate di questo ente spirituale che, in effetti, è dotato di sentimento, di memoria, d'un certo numero d'idee e di combinazioni di idee, ma che non potrà mai sapere quel che sa un bambino di sei anni? Su quale fondamento immaginate che questo ente, che non è un corpo, muoia con il corpo? Le bestie più grosse sono coloro che hanno sostenuto che quest'anima non è né corpo né spirito. Ottimo sistema! Noi non possiamo intendere come spirito se non qualcosa di ignoto, che non è corpo: e così il sistema di questi signori si riduce a questo: che l'anima delle bestie è una sostanza che non è corpo e neppure è qualcosa che non sia corpo.

Da dove possono derivare tanti errori così contraddittori? Dall'abitudine, che sempre hanno avuto gli uomini, di esaminare che cosa sia una cosa, prima di sapere se essa esiste. La linguetta, la valvola di un soffietto, viene chiamata «l'anima del soffietto». E che cos'è quest'anima? È un nome che ho dato a questa valvola che, quando faccio funzionare il soffietto, si abbassa, lascia entrare l'aria, si rialza e la spinge attraverso un tubo.

Non c'è, in questo caso, un'anima distinta dalla macchina. Ma chi fa muovere il soffietto degli animali? Ve l'ho già detto: colui che fa muovere gli astri. Il filosofo che disse «Deus est anima brutorum» aveva ragione; ma doveva approfondire l'argomento.

 


Ultima modifica 12.01.2009