Trascritto da Roberto Saranga, Settembre 2000
Londra, 3 novembre 1861
In questo momento non esiste in Inghilterra una politica generale; l'interesse del paese è tutto concentrato sulla crisi finanziaria, agricola e commerciale della Francia, la crisi industriale della Gran Bretagna, la carenza del cotone e la questione americana.
Nei circoli competenti a giudicare non si dubita neppure per un attimo che la speculazione monetaria della Banca di Francia con alcune grosse società al di qua e al di là della Manica sia un palliativo quanto mai labile. Tutto quel che si poteva ottenere e che si è ottenuto con tale manovra, è stata una riduzione momentanea della fuga di valuta in Inghilterra. I reiterati tentativi della Banca di Francia di raccogliere rinforzi in metallo pregiato a Pietroburgo, Amburgo e Berlino intaccano il suo credito senza rimpinguare i suoi forzieri. L'aumento del tasso d'interesse dei buoni del tesoro, per mantenerli in circolazione, e la necessità di concedere una remissione dei pagamenti per il nuovo prestito italiano di Vittorio Emanuele, sono entrambi considerati qui in Inghilterra gravi sintomi delle difficoltà finanziarie della Francia. Inoltre, è risaputo che attualmente due progetti si contendono la precedenza alle Tuileries. I bonapartisti più decisi, con Persigny e Péreire (del Credit Mobilier) alla loro testa, intendono asservire completamente la Banca di Francia all'autorità governativa, ridurla al rango di un ufficio del Ministero delle Finanze, e valersi dell'istituzione così trasformata come in una fabbrica di assegnati.
Come è noto, tale principio era originariamente alla base dell'organizzazione del Credit Mobilier. Il partito meno avventuroso, rappresentato da Fould ed altri rinnegati del tempo di Luigi Filippo, propone un altro prestito nazionale, che dovrebbe ammontare a quattrocento milioni di franchi secondo alcuni, a settecento milioni secondo altri. Il Times in un editoriale di oggi riflette presumibilmente il parere della City quando dichiara che la francia è totalmente paralizzata dalla crisi economica ed ha perso ormai la sua influenza in Europa. Ciò nonostante, il Times e la City hanno torto. Se " l'uomo di dicembre " riuscirà a superare l'inverno senza gravi tempeste interne, in primavera farà risuonare le trombe di guerra. Così facendo non risolverà la crisi interna, ma soffocherà la sua voce.
In una corrispondenza precedente ho rilevato come la speculazione del cotone a Liverpool in queste ultime settimane ricordi per molti aspetti i giorni più folli della speculazione sulle strade ferrate nel 1845. Dentisti, chirurghi, avvocati, cuoche, vedove, operai, impiegati e signori, commedianti ed ecclesiastici, soldati e sarti, giornalisti e affittacamere, uomini e donne, tutti speculavano sul cotone. Piccolissime quantità, variabili da una a quattro balle, venivano comprate, vendute e rivendute; quantità più consistenti sono rimaste per mesi negli stessi depositi, pur cambiando almeno venti volte il proprietario. Chiunque avesse comprato il cotone alle dieci lo rivendeva alle undici con una maggiorazione di mezzo penny alla libbra; così, lo stesso cotone passava da una mano all'altra per sei volte nel giro di dieci ore. Questa settimana comunque è sopraggiunta una tregua, per la semplice e buona ragione che una libbra di cotone (cioè, middling Orleans) era aumentata ad uno scellino, che dodici pence fanno uno scellino e quindi cifra tonda. Perciò tutti han voluto vendere tutto, non appena si è raggiunto il prezzo massimo, provocando un aumento improvviso dell'offerta e la reazione conseguente. Non appena gli inglesi si capaciteranno che una libbra di cotone può superare il valore di uno scellino, il ballo si San Vito riprenderà ad impazzire più che mai.
L'ultimo bollettino mensile ufficiale del Board of Trade concernente le importazioni e le esportazioni inglesi non ha fugato menomamente questa sensazione di depressione. Le tabelle delle esportazioni si riferiscono al periodo che va dal gennaio al settembre del 1861. In confronto allo stesso periodo dell'anno precedente, indicano una diminuzione di circa otto milioni di sterline, di cui 5.671.730 riguardano soltanto le esportazioni negli Stati Uniti, mentre il resto è diviso fra le colonie britanniche del Canada settentrionale, le Indie Orientali, l'Australia, la Turchia e la Germania. Soltanto in Italia si registra un aumento: per esempio, le esportazioni di manufatti di cotone in Sardegna, Toscana, Napoli e Sicilia sono salite da 656.802 sterline nel 1860 a 1.204.286 sterline nel 1861, le esportazioni di filato di cotone sono passate da 348.158 a 583.373 sterline, e le esportazioni di ferro da 120.867 a 160.912 sterline, e via dicendo. Tali cifre non fanno a meno di pesare sulla bilancia delle simpatie inglesi per la libertà d'Italia.
Mentre le esportazioni della Gran Bretagna diminuivano quindi di quasi otto milioni di sterline, le sue importazioni aumentavano in misura ancora più rilevante, circostanza che non facilita affatto il riassestamento della bilancia; mentre nei primi otto mesi del 1860 le importazioni di frumento ammontavano soltanto a 6.796.139 sterline, nel periodo corrispondente di quest'anno il totale è di 13.431.387 sterline.
Il fenomeno più singolare che rilevano le tabelle delle importazioni dalla Francia, che hanno ormai raggiunto il valore di quasi diciotto milioni di sterline all'anno, mentre le esportazioni inglesi in Francia non sono molto più consistenti, diciamo, di quelle in Olanda. Gli uomini politici europei sinora non hanno posto debitamente in risalto questo fenomeno assolutamente nuovo della storia del commercio moderno. Esso dimostra che sul piano economico la Francia dipende dall'Inghilterra forse sei volte più di quanto quest'ultima non dipenda dalla Francia, se non ci si limita a considerare le tabelle delle importazioni ed esportazioni inglesi, ma si instaura un confronto con le tabelle delle importazioni ed esportazioni francesi. Ne consegue che l'Inghilterra è divenuta ormai il maggior mercato di esportazione della Francia, mentre per l'Inghilterra la Francia rimane un mercato d'esportazione secondario. Da questo deriva, malgrado tanto sciovinismo e tutte le rodomontate su Waterloo, l'irrequietezza e la paura di un conflitto con "la perfida Albione".
Infine, dalle tabelle delle importazioni ed esportazioni inglesi più recenti appare un altro elemento importante. Mentre nei primi nove mesi di quest'anno le esportazioni dell'Inghilterra negli Stati Uniti sono diminuite di oltre il 25 per cento in confronto al periodo corrispondente del 1860, il porto di New York da solo ha incrementato le sue esportazioni in Inghilterra di ben sei milioni di sterline nei primi otto mesi dell'anno in corso. In questo periodo sono quasi cessate le esportazioni dell'oro dall'America all'Inghilterra, mentre ora, al contrario, sono settimane che il flusso dell'oro procede dall'Inghilterra a New York. In realtà sono proprio Francia e Gran Bretagna con la loro produzione agricola insufficiente a colmare il disavanzo degli Stati Uniti, mentre la tariffa Morrill e l'economia inseparabile da una guerra civile hanno decimato contemporaneamente il consumo di manufatti inglesi e francesi nel Nordamerica. E adesso si possono contrapporre questi dati statistici alle geremiadi del Times sulla rovina finanziaria degli stati del Nord!
Die Presse, 8 novembre 1861
Ultima modifica 5.10.2000