Per la Critica dell'Economia Politica (Recensione)

Friedrich Engels

 

I

 

In tutti i campi della scienza i tedeschi hanno dimostrato da tempo di essere all'altezza delle altre nazioni civili, nella maggior parte di essi hanno dimostrato di essere loro superiori. Una sola scienza non contava nessun nome tedesco tra quelli dei suoi corifei: l'economia politica. La causa di questo fatto è evidente. L'economia politica è l'analisi teorica della società borghese moderna e per ciò presuppone una civiltà borghese sviluppata, civiltà che in Germania, dopo le guerre della Riforma e la guerra dei contadini, e specialmente dopo la guerra dei Trent'anni, per dei secoli non ha potuto svilupparsi. La separazione dell'Olanda dall'Impero escluse la Germania dal commercio mondiale, riducendo preventivamente il suo sviluppo industriale alle proporzioni più meschine. Mentre i tedeschi si rimettevano così lentamente e penosamente dalle devastazioni delle guerre civili, mentre essi disperdevano tutta la loro energia borghese, che non fu mai troppo grande, in una lotta sterile contro le barriere doganali e i regolamenti commerciali insensati che ogni principotto e ogni barone dell'Impero imponeva all'industria dei suoi sudditi, mentre le città dell'Impero deperivano con le loro corporazioni meschine e col loro patriziato, in questo frattempo l'Olanda, l'Inghilterra e la Francia conquistavano i primi posti nel commercio mondiale, fondavano una colonia dopo l'altra, e spingevano l'industria manifatturiera sino al più alto grado di sviluppo, sino a che l'Inghilterra, grazie al vapore, che le permise di incominciare a valorizzare pienamente i suoi giacimenti di carbone e di ferro, si metteva alla testa dell'evoluzione dell'industria borghese moderna. Ma fino a che si doveva ancora condurre la lotta contro residui medievali così antiquati e ridicoli, come quelli che sino al 1830 incepparono lo sviluppo materiale borghese della Germania, una economia tedesca era impossibile. Solo con l'introduzione dello Zollverein i tedeschi si trovarono in una situazione in cui potevano incominciare a capire l'economia politica in generale. Da allora, infatti, incominciò l'importazione dell'economia inglese e francese pel maggior profitto della borghesia tedesca. Il mondo degli scienziati e della burocrazia s'impadronì ben presto della merce imporrtata e l rielaborò in un modo che non fa molto onore allo spirito tedesco. Dal guazzabuglio dei cavalieri d'industria, dei mercanti, dei pedanti e dei burocrati datisi allo scrivere sorse in seguito una letteratura economica tedesca, che per quanto riguarda la insulsaggine, la superficialità, l'assenza di pensieri, la prolissità e il plagio non ha uguale che nel romanzo tedesco. Tra la gente che badava ai fini pratici si formò dapprima la scuola protezionista degli industriali, il cui nome più autorevole, List, è ancora il meglio che la letteratura economica borghese tedesca abbia prodotto, benchè tutta la sua opera famosa sia copiata dal francese Ferrier, il teorico del sistema del blocco continentale. In opposizione a questa corrente sorse dal '40 al '50 la scuola liberoscambista dei commercianti delle province baltiche, che si misero a biascicare, con fede puerile ma interessata, gli argomenti dei freetraders (liberoscambisti) inglesi.

Infine, tra i pedanti e i burocrati che dovevano trattare il lato teorico della scienza vi furono degli aridi collezionisti privi di spirito critico, come il sig. Rau, degli speculatori dalle arie di cacasenno, che traducevano le proposizioni straniere in linguaggio hegeliano mal digerito, come il sig. Stein, o dei letterati che andavano racimolando nel campo della "storia della cultura", come il sig. Riehl. Il risultato finale di tutto questo fu la cameralistica, un pasticcio di ogni sorta di cose eterogenee, confezionate con una salsa economica eclettica, quale occorre a un referendario di Stato per passare l'esame governativo.

Mentre in Germania la borghesia, i pedanti e la burocrazia stavano ancora sforzandosi di mandare a memoria come dogmi intangibili e di spiegarsi in qualche modo i primi elementi della economia anglo-francese, si presentava sulla scena il partito proletario tedesco. Tutta la sua vita teorica traeva origine dallo studio dell'economia politica, e dal momento del suo apparire data anche l'economia tedesca come scienza indipendente. Questa economia tedesca si fonda essenzialmente sulla concezione materialistica della storia, i cui principi sono esposti brevemente nella prefazione del libro sopraindicato. Questa prefazione è già stata riprodotta nell'essenziale nel Volk, al quale rinviamo. Non solo per l'economia, ma per tutte le scienze storiche (e tutte le scienze che non sono scienze naturali sono scienze storiche) ha avuto una importanza rivoluzionaria la scoperta contenuta nella tesi che "il modo di produzione della vita materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita", che tutte le relazioni sociali e statali, tutti i sistemi religiosi e giuridici, tutte le concezioni teoriche che si presentano nella storia, possono essere comprese soltanto se si comprendono le condizioni della vita materiale dell'epoca corrispondente a ciascuna di loro e se vengono dedotte da queste condizioni materiali. "Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza." Questa proposizione è così semplice, che dovrebbe essere compresa di per sé da tutti coloro che non sono schiavi delle frottole dell'idealismo. Ma la cosa ha delle conseguenze sommamente rivoluzionarie non solo per la teoria, ma anche per la pratica: "A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica, si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura... I rapporti di produzione borghesi sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sgorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di tale antagonismo". La prospettiva di una rivoluzione possente, della più possente rivoluzione che mai sia avvenuta, si apre davanti a noi non appena procediamo nell'analisi della nostra tesi materialistica e l'applichiamo al presente.

Ma appare pure, non appena si considerano le cose con maggiore attenzione, che la proposizione, in apparenza così semplice, che la coscienza degli uomini dipende dall'esser loro e non viceversa, sin dalle prime sue conseguenze cozza in modo diretto contro ogni idealismo, anche il più mascherato. Tutte le concezioni tradizionali e abituali circa il processo della storia vengono da essa negate. Tutte le forme tradizionali del ragionamento politico cadono a terra; la bravura patriottica si ribella con sdegno a una simile concezione insensata. Il nuovo modo di vedere urtò necessariamente non solo i rappresentanti della borghesia, ma anche la massa dei socialisti francesi, che vogliono sollevare il mondo con la formula magica: liberté, égalité, fraternité. Ma la collera più grande essa la suscitò fra gli strilloni della democrazia volgare tedesca. Ciò malgrado essi posero una cura speciale nel cercar di sfruttare le nuove idee plagiandole, ma con una rara incomprensione di esse.

Sviluppare la concezione materialistica applicandola pure a un solo esempio storico, era un lavoro scientifico che richiedeva anni di studi tranquilli, perché è evidente che non si può far nulla, in questo campo, solo con delle frasi, che soltanto una massa di materiali storici vagliati criticamente e completamente dominati può dare la possibilità di assolvere un compito simile. La rivoluzione di febbraio portò il nostro partito sulla scena politica, rendendogli così impossibile di dedicarsi a lavori puramente scientifici. Ciò nonostante la concezione fondamentale è come un filo rosso che si ritrova in tutte le produzioni letterarie del partito. In tutti questi lavori si dimostra che l'azione è sorta in ogni caso singolo da impulsi materiali diretti e non dalle frasi che li hanno accompagnati, e che, viceversa, le frasi politiche e giuridiche sono sorte dagli impulsi materiali, allo stesso modo che l'azione politica e i suoi risultati.

Quando, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848-49, arrivò un momento in cui diventava sempre più impossibile esercitare dall'estero una influenza sulla Germania, il nostro partito abbandonò il campo delle beghe emigratorie, poichè questa era diventata la sola azione possibile, alla democrazia volgare. Mentre questa si ingolfava nelle baruffe, oggi si accapigliava per fraternizzare il giorno dopo, e dopo due giorni lavare di nuovo in pubblico tutti i suoi panni sporchi; mentre essa andava a chiedere l'elemosina per tutta l'America, per sollevare poco dopo un nuovo scandalo per la spartizione del paio di talleri che aveva racimolato, il nostro partito fu contento di trovare nuovamente un pò di calma per studiare. Esso aveva il grande vantaggio di possedere la base teorica di una nuova concezione scientifica, la cui elaborazione gli dava abbastanza da fare. Anche solo per questo esso non potè mai cadere così in basso come i "grandi uomini" dell'emigrazione.

Il primo frutto di questi studi è il libro presente.

 


 

 

II

 

 

In uno scritto come il presente non vi è luogo per una semplice critica frammentaria di singoli capitoli dell'economia politica, né per uno studio separato di questo o quel problema economico controverso. Esso tende piuttosto a dare una visione sistematica e complessiva di tutto l'assieme della scienza economica, a sviluppare in modo sistematico e complessivo le leggi della produzione borghese e dello scambio borghese. Poichè gli economisti non sono altro che gli interpreti e gli apologisti di queste leggi, questo sviluppo è in pari tempo la critica di tutta la letteratura economica.

Dalla morte di Hegel in poi non si è fatto nessun tentativo di sviluppare una scienza nella sua propria connessione interna. La scuola hegeliana ufficiale non si era appropriata, della dialettica del maestro, altro che l'arte di manipolare i trucchi più semplici, che essa applicava a tutto e a tutti, e spesso anche con una inettitudine ridicola. Tutta l'eredità di Hegel si riduceva per costoro a un puro schema, con l'aiuto del quale veniva artificialmente costruito ogni tema, e a un elenco di parole e di frasi che non avevano più altro scopo che di presentarsi nel momento preciso in cui venivano meno i pensieri e le conoscenze positive. Così avvenne, come diceva un professore di Bonn, che questi hegeliani non capivano nulla di nulla, ma potevano scrivere di tutto. E così era di fatto. Questi signori però, malgrado la loro sufficienza, erano così coscienti della loro debolezza che si tenevano lontani, il più che era loro possibile, da grandi compiti. La vecchia scienza parruccona manteneva il proprio terreno grazie alla superiorità del suo sapere positivo. E quando Feuerbach infine ebbe dato congedo al concetto speculativo, lo hegelismo sparì a poco a poco, e si ebbe l'impressione che si fosse ritornati nella scienza al regno della vecchia metafisica con le sue categorie fisse.

La cosa aveva la sua base materiale. Al regime dei diadochi hegeliani, perdutosi nella pura fraseologia, teneva dietro naturalmente un'epoca in cui il contenuto positivo della scienza prendeva nuovamente il sopravvento sul lato formale. Ma in pari tempo la Germania si gettava pure, con una energia straordinaria, sulle scienze naturali, il che corrispondeva al potente sviluppo della borghesia dopo il 1848. Poichè diventavano di moda queste scienze, in cui la tendenza speculativa non era mai riuscita a farsi strada in modo degno di nota, anche il vecchio modo di pensare metafisico precipitava di nuovo sino alla volgarità estrema di Wolff. Hegel era scomparso, si sviluppava il nuovo materialismo delle scienze naturali, che dal punto di vista teorico non si distingue quasi per niente dal materialismo del secolo XVIII, e per lo più non ha su di esso altro vantaggio che quello di disporre di un materiale più ricco tratto dalle scienze naturali, specialmente dalla chimica e dalla fisiologia. In Büchner e in Vogt troviamo riprodotto fino all'estrema trivialità il modo di pensare gretto e filisteo del periodo prekantiano, e lo stesso Moleschott, che giura su Feuerbach, si impenna ad ogni istante nel modo più dilettevole dinanzi alle più semplici categorie. Il vecchio cavallo da soma dell'intelletto borghese di tutti i giorni si arresta naturalmente, perplesso, davanti all'abisso che separa l'essenza dall'apparenza, la causa dall'effetto. Ma quando si vuole correre a briglia sciolta sul terreno assai accidentato del pensiero astratto, non è un cavallo da soma che si deve inforcare.

Si doveva quindi risolvere qui un altro problema che non ha niente a che fare con l'economia politica come tale. Come trattare la scienza? Da un lato si aveva la dialettica hegeliana, nella forma del tutto astratta, speculativa, in cui l'aveva lasciata Hegel. Dall'altro lato il metodo ordinario, essenzialmente metafisico-wolffiano, tornato nuovamente di moda, secondo il quale gli economisti borghesi avevano scritto essi pure i loro grossi libri sconclusionati. Quest'ultimo metodo era stato teoricamente demolito da Kant e specialmente da Hegel, in modo tale che soltanto la pigrizia e l'assenza di un altro metodo semplice poteva praticamente consentirgli di continuare a vivere. D'altro lato il metodo hegeliano, nella forza in cui esso si presentava, era assolutamente inutilizzabile. Esso era essenzialmente idealistico, mentre qui si trattava di sviluppare una concezione del mondo che era più materialistica di tutte le precedenti. Esso partiva dal pensiero puro, mentre qui si doveva partire dai fatti più testardi. Un metodo che, secondo la sua propria confessione, "andava dal niente al niente attraverso il niente", era assolutamente fuori posto qui in questa forma. Ciò nonostante fra tutto il materiale logico esistente, questo metodo era l'unica cosa a cui almeno ci si potesse appigliare. Esso non era stato criticato, non era stato superato, nessuno degli avversari del grande dialettico era riuscito a battere in breccia il suo superbo edificio. Il metodo hegeliano era scomparso perchè la scuola hegeliana non aveva saputo far niente con esso. Innanzi tutto, dunque, si doveva sottoporre a una critica profonda il metodo hegeliano.

Ciò che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era l'enorme senso storico che ne costituiva la base. Per quanto astratta e idealistica fosse la forma, ciò non di meno lo sviluppo del suo pensiero andava sempre parallelamente allo sviluppo della storia mondiale, e quest'ultimo non doveva in sostanza essere altro che la prova del primo.

Benchè il rapporto esatto venisse in questo modo arrovesciato e collegato con la testa all'ingiù, il contenuto reale penetrava però da ogni parte nella Filosofia, e ciò tanto più in quanto Hegel si distingueva dai suoi scolari perchè non si vantava come loro dell'ignoranza, ma era uno degli uomini più eruditi che mai siano esistiti. Egli fu il primo che cercò di dimostrare l'esistenza nella storia di uno sviluppo, di una coesione interiore, e per quanto ora molte cose nella sua filosofia della storia ci possano sembrare strane, la grandiosità della concezione fondamentale, quando la si confronta con i suoi predecessori o anche con coloro che dopo di lui si sono permessi di fare delle riflessioni generali sulla storia, è ancora oggi degna di ammirazione.

Nella fenomenologia, nell'estetica, nella storia della filosofia, dappertutto penetra questa grandiosa concezione della storia, e dappertutto la materia viene trattata in modo storico, in una certa connessione, sia pure astratta e a rovescio, con la storia.

Questa concezione della storia che apriva un'epoca nuova, era la premessa teorica diretta della nuova concezione materialistica, e questo solo fatto offriva già un punto di appiglio anche per il metodo logico. Se questa dialettica scomparsa aveva già portato a tali risultati secondo il modo di vedere del "pensiero puro", se aveva liquidato in un volger di mano tutta la precedente logica e metafisica, essa doveva essere in ogni caso qualcosa di più che sofisticheria e arte di spaccare un capello in quattro. Ma la critica di questo metodo, a cui non aveva osato e tuttavia non osa metter mano tutta la filosofia ufficiale, non era cosa dappoco.

Marx era ed è il solo che si poteva accingere al lavoro di estrarre dalla logica hegeliana il nocciolo che racchiude le vere scoperte fatte da Hegel in questo campo, e di stabilire il metodo dialettico spogliato dei suoi veli idealistici, nella forma semplice in cui esso è la sola forma giusta dello sviluppo del pensiero. Noi pensiamo che questa elaborazione del metodo che è la base della critica dell'economia politica di Marx, costituisce un risultato quasi altrettanto importante quanto la concezione materialistica fondamentale.

La critica dell'economia, anche dopo che era stato acquisito il metodo, poteva ancora essere intrapresa in due modi: storicamente o logicamente. Poichè nella storia, come nel suo riflesso letterario, l'evoluzione va pure, in sostanza, dai rapporti più semplici ai rapporti più complicati, lo sviluppo storico-letterario dell'economia politica offriva un filo conduttore naturale a cui la critica poteva aggrapparsi, e in sostanza le categorie economiche sarebbero apparse anche in questo caso nello stesso ordine che nello sviluppo logico. Questa forma offre il vantaggio apparente di una maggior chiarezza, poichè viene seguita la evoluzione reale, ma in realtà essa si ridurrebbe tutt'al più a una esposizione più popolare. La storia procede spesso a salti e a zigzag, e si sarebbe dovuto tenerle dietro dappertutto, il che avrebbe obbligato non solo a inserire molto materiale di poca importanza, ma anche a interrompere spesso il corso delle idee. Inoltre non si può scrivere la storia dell'economia senza quella della società borghese, e il lavoro non sarebbe mai arrivato alla fine perchè mancano tutti i lavori preparatori. Il modo logico di trattare la questione era dunque il solo adatto. Questo non è però altro che il modo storico, unicamente spogliato della forma storica e degli elementi occasionali e perturbatori. Nel modo come incomincia la storia, così deve pure incominciare il corso dei pensieri, e il suo corso ulteriore non sarà altro che il riflesso, in forma astratta e teoricamente conseguente, del corso della storia; un riflesso corretto, ma corretto secondo leggi che il corso stesso della storia fornisce, poichè ogni momento può essere considerato nel punto del suo sviluppo in cui ha raggiunto la sua piena maturità, la sua classicità.

Seguendo questo metodo prendiamo come punto di partenza il primo e più semplice rapporto che ci si presenta storicamente, di fatto, cioè, in questo caso, il primo rapporto economico che troviamo davanti a noi. Questo rapporto lo scomponiamo. Per il fatto che è un rapporto, ne deriva già che esso ha due lati che sono in relazione l'uno con l'altro. Ognuno di questi lati viene esaminato a sé; da questo esame risulta il modo del loro reciproco rapporto, la loro azione e reazione reciproca. Ne risultano delle contraddizioni che richiedono di essere rimosse. Ma siccome non consideriamo qui un processo astratto del pensiero che si svolga soltanto nel nostro cervello, ma un fatto reale, che si è realmente svolto in un momento qualunque o che si sta ancora svolgendo, perciò queste contraddizioni devono pure aver avuto uno sviluppo e probabilmente aver trovato la loro soluzione nella pratica. Indaghiamo la forma di questa soluzione, e troveremo ch'essa è stata raggiunta con l'instaurazione di un nuovo rapporto del quale dovremo ora sviluppare i due lati contraddittori, e così via.

L'economia politica incomincia dalla merce, dal momento in cui dei prodotti sono scambiati con altri prodotti, sia da individui singoli che da comunità primitive. Il prodotto che viene scambiato è merce. Ma è merce soltanto per il fatto che alla cosa, al prodotto, si collega un rapporto tra due persone o comunità, il rapporto tra il produttore e il consumatore, che qui non sono più uniti in una sola e stessa persona. Abbiamo qui sin dall'inizio un esempio di un fatto particolare, che penetra tutta l'economia e ha creato nelle teste degli economisti borghesi una confusione terribile. L'economia non tratta di cose, ma di rapporti tra persone e, in ultima istanza, tra classi; questi rapporti sono però sempre legati a delle cose e appaiono come delle cose. Marx è il primo che ha scoperto il valore che ha questa connessione, intravista in certi casi, confusamente però, da questo o da quell'economista, per tutta l'economia, e in questo modo ha reso i problemi più difficili così chiari e così semplici, che ormai perfino gli economisti borghesi possono capirli.

Se consideriamo ora la merce sotto i suoi diversi lati, e cioè la merce quando si è sviluppata completamente, e non quando comincia a svilupparsi faticosamente nello scambio naturale fra due comunità primitive, essa ci si presenta sotto i due aspetti di valore di uso e valore di scambio; e qui entriamo senz'altro nel campo delle discussioni economiche. Chi vuol avere un esempio brillante di come il metodo dialettico tedesco, nel suo stadio di sviluppo attuale, è superiore al vecchio metodo metafisico piatto e volgare, per lo meno quanto le ferrovie sono superiori ai mezzi di trasporto del Medioevo, veda, in Adam Smith o in un altro qualunque degli economisti ufficiali di grido, quali tormenti hanno dato a questi signori il valore di scambio e il valore di uso, come è loro difficile separarli esattamente l'uno dall'altro e concepire ciascuno di essi nella sua particolarità determinata, e faccia poi il confronto con lo sviluppo semplice, chiaro di Marx.

Sviluppati il valore di scambio e il valore di uso, la merce viene esposta come loro unità immediata, così come essa entra nel processo di scambio. Quali contraddizioni ne derivano, lo si può leggere a pp. 20-21 [*1]. Notiamo solamente che queste contraddizioni non hanno soltanto un interesse teorico, astratto, ma rispecchiano pure le difficoltà sorgenti dalla natura del rapporto immediato di scambio, dello scambio semplice; rispecchiano le impossibilità a cui conduce necessariamente questa prima forma rudimentale dello scambio. La rimozione di queste impossibilità si trova nel fatto che la proprietà di rappresentare il valore di scambio di tutte le altre merci viene trasferita a una merce speciale, il denaro. Il denaro, ossia la circolazione semplice, viene quindi sviluppato nel secondo capitolo, e precisamente: 1) il denaro come misura dei valori, dove trova la sua determinazione più precisa il valore misurato in denaro, il prezzo; 2) come mezzo di circolazione; e 3) come unità delle due determinazioni, come denaro reale, come rappresentante di tutta la ricchezza materiale borghese. Con ciò ha termine lo sviluppo del primo capitolo, riservandosi al secondo la trasformazione del denaro in capitale.

Si vede come con questo metodo lo sviluppo logico non è costretto a rimanere sul terreno puramente astratto. Al contrario, esso ha bisogno dell'illustrazione storica, del contatto permanente con la realtà. Questi esempi sono quindi inseriti in abbondanza, sia come accenni al corso reale della storia nelle diverse fasi della evoluzione sociale, sia come accenni alla letteratura economica, in cui viene seguita sin dall'inizio la chiara elaborazione delle determinazioni dei rapporti economici. La critica delle singole concezioni più o meno unilaterali o confuse è quindi già data essenzialmente nello sviluppo logico stesso e può essere fatta con brevità.

In un terzo articolo esamineremo il contenuto economico del libro.

 

Note

*1. Vedi, nel presente testo elettronico, il Capitolo I.

 


Ultima modifica 30.9.2002