Il trotskismo si aggiorna ma...

Bruno Maffi (1947)


Il presente articolo, pubblicato nel giugno del 1947 sul numero 7 della rivista Prometeo (Serie I), è stato trascritto per il web dalla redazione di Battaglia Comunista.

«Camarades, votre chien est-il enragé ou non?» (Peralta)

Non da oggi il trotzkismo è agitato dallo sforzo di rivedere alcune delle posizioni fondamentali assunte nel corso del suo sviluppo e cristallizzatesi, specie dopo la scomparsa del suo cervello pensante, Leone Trotzky, in una specie di ordinaria amministrazione del patrimonio ideologico e tattico lasciato dal Maestro. Evidentemente, la lezione dei fatti si concilia sempre meno con l’armamentario di teorie e di parole d’ordine conservate nell’Arca Santa del Segretariato Internazionale; ma la revisione critica che parte dalla periferia e non dal centro, invece di affrontare i problemi nel loro complesso e nelle loro necessarie connessioni, investe i problemi ad uno ad uno e, mentre tradisce un’inquietudine intellettuale che potrebbe essere feconda, dimostra anche l’incapacità ad uscire dal vicolo cieco di una impostazione generale, che fa di quest’ala del movimento proletario un rivoluzionarismo… evoluzionista.

Accade così che si delineino posizioni antitetiche, per esempio sul problema russo — attuale pomo della discordia in seno alla IV Internazionale -, senza che queste comportino modificazioni nei problemi generali della tattica; e la fedeltà dei seguaci di Cannon alla tesi ortodossa del Segretariato non esclude la possibilità di una prossima riconciliazione con l’infedele eterodossia di Shachtman, così come l’abbandono da parte dei seguaci di quest’ultimo della tesi secondo la quale l’URSS è uno stato tuttora proletario con l’incidentale disgrazia di essere governato da una burocrazia traditrice (e, come tale, conserva caratteri progressivi ed anticapitalistici, e va difeso dal proletariato internazionale anche con la guerra) non importa affatto l’abbandono delle classiche teorie sul fronte unico; sul programma transitorio, sull’appoggio ai “governi di sinistra”, sulle guerre coloniali ecc., che costituiscono la caratteristica fondamentale del trotzkismo. [1]

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Abbiamo detto che l’epicentro dell’inquietudine della periferia trotzkista è il problema russo. Recentemente, la rivista The New International, che fa capo alla corrente Shachtman, ha pubblicato uno studio di F. Forest sulla natura dello Stato russo che è, per quel che ci consta, il primo serio tentativo trotzkista di affrontare il problema sulla base di un’analisi scientifica dei rapporti economici e di classe. [2]

Non lasciandosi abbagliare dagli aspetti formali della gestione economica, non ricercando le leggi di sviluppo di una società nei titoli legali di proprietà ma nei modi di produzione o di realizzazione del plusvalore, l’autore conclude che la legge del valore domina l’economia capitalistica, e che il funzionamento di questa legge:

«ha portato alla polarizzazione della ricchezza, all’alta composizione organica del capitale, all’accumulazione della miseria da una parte e del capitale dall’altra. Si ha così una società capitalistica unica, un’economia governata dalle leggi del capitalismo mondiale.»

Queste leggi regolano prezzi e salari, e si esprimono soprattutto nel “dominio del lavoro morto sul lavoro vivo”, nella prevalenza del capitale costante sul capitale variabile e perciò della produzione dei beni strumentali su quella dei beni di consumo, insomma nel fenomeno generale dell’accumulazione crescente a spese della retribuzione del lavoro [3], coi fenomeni correlativi dello stakhanovismo, dei bassi salari e dell’espansione imperialistica.

«Finché la pianificazione è governata dalla necessità di pagare il lavoratore il minimo necessario per la sua sussistenza e di estrarne il massimo di plusvalore allo scopo di mantenere il sistema produttivo il più possibile nei limiti delle leggi del mercato mondiale, dominato a sua volta dalla legge del valore, finché tutto questo avviene i rapporti di produzione capitalistici esistono, qualunque sia il nome attribuito al regime sociale in questione.»

Per chi non si lasci illudere dal “feticismo della proprietà statale”, ma guardi alla realtà dei rapporti di produzione e perciò di classe, la società sovietica segue dunque il destino di tutte le società capitalistiche e ne ripete le contraddizioni, le crisi, gli squilibrii; e, poiché — secondo la classica formula di Engels sul capitalismo di stato — li esaspera, riproduce anche, necessariamente, i metodi e le esperienze per dominarli.

Ne segue che è assurdo parlare di caratteri progressivi di quest’economia, se non nel senso che essa è la realizzazione compiuta del moto generale del regime capitalistico verso la statizzazione:

«l’esperienza russa ci ha reso concreta la verità fondamentale del marxismo, che in nessuna società contemporanea può esistere un’economia progressiva in nessun significato del termine, e che solo può esserlo un’economia fondata sulla emancipazione del lavoro.»

Ne segue anche che va definitivamente abbandonata la tattica della “difesa dell’URSS” e tutto ciò ch’essa ha comportato su scala internazionale nel ritardare la ripresa del movimento proletario su basi di classe.

E sia, ma, se questo è vero, come giustifica Farrel l’insieme della tattica trotzkista, che si fonda sulla determinazione degli eventuali aspetti progressivi dell’economia e della società borghese, e in funzione di essi orienta le lotte del proletariato nel ginepraio delle diverse fasi “transitorie”? La tattica dell’appoggio ai governi “di sinistra” o quella del fronte unico non hanno forse radice in una concezione generale del moto di sviluppo della società capitalistica e perciò nell’ammissione che per il proletariato si pongano problemi di “scelta” fra l’una e l’altra espressione politica del dominio borghese? Se la pianificazione non è per se stessa progressiva, come si giustifica la campagna trotzkista per le nazionalizzazioni? In definitiva, se l’esperienza russa autorizza conclusioni generali non limitate ad essa, non è soltanto il “difensismo” che crolla, ma crolla l’intermedismo, il transitorismo, l’ideologia che porta il proletariato ad accettare posizioni borghesi in vista di realizzazioni transitorie; crolla; insomma, tutto l’edificio tattico che, agli occhi di militanti della stessa IV Internazionale, fa passare quest’ultima per una “ala sinistra dello stalinismo”. O si ha il coraggio di andare fino in fondo ed accettare queste conclusioni, o lo sforzo di ripensamento è stato vano e cento ragioni ha l’ortodossia di rivendicare la sua superiorità sugli eretici.

È questo “ma” che toglie valore agli aggiornamenti critici di alcune ali trotzkiste. [4]

Un passo avanti è stato compiuto, e bisogna renderne atto, dalla sezione spagnola al Messico della IV Internazionale: e alludiamo sopratutto ai due recenti opuscoli di Munis e di Peralta [5] nei quali si esprime, più che una revisione scientifica e storica dell’impostazione del problema russo, la reazione battagliera e la polemica appassionata del militante.

Munis ha perfettamente capito l’insostenibilità della tesi antimarxista di un regime sociale economicamente progressivo e politicamente reazionario, e l’inconsistenza di un’analisi che vede nello stalinismo una specie di bubbone transitorio nato sul tronco di una base produttiva “socialista”: la sua critica tagliente della pianificazione sovietica esclude senza possibilità di appello che possa considerarsi “socialista” un’accumulazione allargata fondata sull’appropriazione di plusvalore da parte di una classe, sulla separazione fra produttore e mezzi di produzione, sulla legge del salario, sulla compressione anziché sullo sviluppo della coscienza e della cultura dell’operaio:

«parlare oggi di pianificazione in Russia è un’ironia sanguinosa per le masse ed una concessione alle tendenze decadenti del capitalismo mondiale… Quanto alla burocrazia, non si ha il diritto di attribuirle i caratteri particolari di una burocrazia operaia, ma quelli di una classe la cui struttura definitiva è in via di cristallizzazione e che, per cristallizzarsi completamente, deve soffocare la rivoluzione proletaria dovunque essa appare e integrarsi alle forme decadenti che il capitalismo mondiale adotterà.»

L’autore ha anche perfettamente compreso il ruolo dei partiti operai nel quadro della ricostruzione capitalistica:

«Attraverso le nazionalizzazioni, si intravede già una fase in cui i leaders proletari dirigeranno essi la società, più sfruttata e asservita che mai, per il labirinto abissale della decadenza… I leaders operai sono sempre più indispensabili per evitare la rivoluzione proletaria. Lo sfruttamento delle masse e la dittatura dei privilegiati non possono sostenersi alla lunga che grazie ed essi. La loro vittoria, che necessita almeno di alcune misure di nazionalizzazione dei mezzi di produzione rappresenta il punto cruciale nella corsa alla decadenza, con tutta le regressione culturale e la decomposizione del proletariato, che questo comporta. La forza di punta di questo processo è lo stalinismo.»

Quanto a Peralta, la sua polemica contro le ambiguità della posizione ufficiale del trotzkismo raggiunge i limiti di una violenza passionale. Non è più ammissibile una tattica che, mentre afferma il carattere progressivo dell’economia sovietica, assiste pavida alle spoliazioni, alle angherie, all’evidente contenuto imperialistico dell’espansione russa; non è più tollerabile la tesi che attribuisce allo stalinismo la colpa di aver “intralciato” con una serie di errori lo sviluppo rivoluzionario, quando si assiste al passaggio aperto e perfino violento del nazional-comunismo alla controrivoluzione; è assurdo predicare: “la difesa delle misure economiche progressive realizzate nei territori occupati dall’Armata rossa” e nello stesso tempo constatare “la spoliazione delle industrie e dei focolari in Germania, in Austria e in tutti i territori della Europa orientale occupata.”

È ridicolo patrocinare l’appoggio ai partiti di “sinistra” quando è ormai chiaro che il capitalismo si salva solo a condizione di mandare alla direzione dell’economia e dello stato proprio queste giovani forze a tradizione proletaria; è antistorico proporre il fronte unico a partiti ormai “integrati nello Stato”: è contradditorio lanciare nello stesso tempo le parole d’ordine de “la convocazione immediata della Costiutente” e dell’istituzione dei Consigli operai e contadini.

«Occorre abbandonare senza residui la difesa dell’URSS, a profitto di una politica di lotta senza pietà contro il capitalismo e contro lo stalinismo suo complice. Per condurre vittoriosamente questa lotta, bisogna svelare ad ogni passo e concretamente il carattere controrivoluzionario della burocrazia russa smascherare la menzogna delle nazionalizzazioni e delle riforme agrarie, sviluppare la fraternizzazione fra occupanti e occupati, dichiarando apertamente che né gli uni né gli altri hanno più nulla da difendere in Russia, ma al contrario hanno tutto da distruggervi allo stesso titolo che in non importa quale stato capitalista, sia che al governo di questo partecipino o no gli agenti del Cremlino.»

E infine, basta con una concezione evolutiva della lotta operaia, per cui il proletariato deve essere obbligatoriamente condotto attraverso una serie di esperienze rovinose, per sbarazzarsi di presunte illusioni democratico-borghesi che siamo noi i primi a intrattenere in lui!

La revisione del difensismo ha qui portato all’abbandono di alcune fra le posizioni fondamentali dell’ideologia trotzkista. Ma tanto Munis quanto Peralta puntano ancora sulla carta di un raddrizzamento della IV Internazionale, di un suo cambiamento di rotta. E sono presi essi stessi nella rete dei residuati della loro origine trotzkista: lo sono quando continuano a parlare di un “fronte unico” nella fabbrica, nella località, nella regione, che ha ormai perduto i suoi caratteri di fronte unico per diventare agitazione di parole d’ordine immediate; lo sono quando credono di contrapporre al peso soffocante dei partiti controrivoluzionari i consigli “democraticamente eletti” degli operai e dei contadini, come se, negli attuali rapporti di forza, non fossero destinati ad essere lo specchio fedele delle forze politiche dominanti in seno alla massa operaia; lo sono quando agitano come parole d’ordine transitorie la difesa delle “libertà fondamentali”, la scala mobile, la confisca dei beni capitalistici, dei profitti di guerra, delle fabbriche…

E allora? Allora non v’è che augurarsi che questo sforzo di rivedere le proprie posizioni politiche vada oltre i suoi termini attuali e porti i militanti migliori a riconoscere che, come la socialdemocrazia, come lo stalinismo, anche il trotzkismo ha ormai una sua specifica ed inalterabile funzione storica, è la retroguardia non di un esercito in ritirata, ma di un esercito sconfitto. I compagni messicani che hanno avuto il coraggio di sbarazzarsi di una parte del bagaglio intermedista avranno, speriamo, la forza e l’“audacia” — per usare un termine a loro caro — di sbarazzarsi anche dell’altro.





NOTE

 

[1] Da Cannon a Shachtman prendono nome le due ali in cui si è diviso il trotzkismo americano (Socialist Workers Party e Workers Party) e delle quali si annuncia ora prossima la rifusione.

[2] F. Forest: The Nature of the Russian Economy, nei numeri di dic. 1946 e genn. 1947. Lo stesso A. aveva pubblicato nel 1942-43 una Analysis of Russian Economy.

[3] Il Piano del 1941 prevede un aumento del 6,5% sui salari per ogni 12% di aumento nella produttività del lavoro; nel 1940, la produzione di beni strumentali ha assorbito il 61% della produzione complessiva, quella di beni di consumo il 39%…

[4] Il caso inverso è rappresentato dal gruppo americano che fa capo a Marlen e che continua a sostenere la tesi della Russia “stato operaio degenerato” mentre ha liquidato tutte le posizioni tattiche del trotzkismo, ed è contro l’appoggio ai partiti opportunisti, contra la formula del “governo operaio e contadino”, contro la Costituente borghese, contro “l’appoggio alla borghesia coloniale e ogni concessione all’idea che le borghesie coloniali possano combattere l’imperialismo”, contro la teoria del controllo della produzione, contro la vecchia impostazione della questione nazionale, contro il programma transitorio ecc. (cfr. soprattutto il n. 3 di Political Correspondance of the Workers League for a Revolutionary Party, p. 13 e 14). La fedeltà della teoria dello “Stato operaio degenerato” ha condotto Marlen alla stupefacente tesi della “Sham War”, per cui il secondo conflitto mondiale sarebbe stato condotto in realtà non fra i paesi dell’Asse e il blocco democratico, ma fra tutti i paesi capitalistici e l’URSS socialista!

[5] G. Munis, Les révolutionnaires devant la Russie et le Stalinisme mondial; Peralta, Le “Manifeste” des Exegètes, entrambi del 1946, Mexico, Editorial “Revolucion”.



Ultima modifica 22.03.2010