Scritto nell'ottobre-novembre 1918 e pubblicato a Mosca nello stesso anno
Trascritto da mishu, settembre 2004
La Costituzione
sovietica
Che cos'è
l'internazionalismo?
Asservimento alla borghesia in veste di «analisi economica»
Come ho già detto, il fatto di privare la borghesia dei diritti elettorali non è necessariamente e obbligatoriamente un indizio della dittatura del proletariato. Neanche in Russia i bolscevichi, che già molto prima dell'Ottobre avevano lanciato la parola d'ordine della dittatura proletaria, avevano precedentemente parlato di sopprimere i diritti elettorali degli sfruttatori. Questo elemento della dittatura non è nato «in base al piano prestabilito» di un partito, ma è sorto spontaneamente nel corso della lotta. Naturalmente lo storico Kautsky non se ne è accorto. Non ha capito che fin da quando i menscevichi (fautori della conciliazione con la borghesia) predominavano nei Soviet, la borghesia si era staccata dai Soviet, li boicottava, li contrastava, intrigava contro di essi. I Soviet sorsero senza alcuna Costituzione, e per più di un anno (dalla primavera del 1917 all'estate del 1918) esistettero senza nessuna Costituzione. La rabbia della borghesia contro questa organizzazione degli oppressi, indipendente e onnipotente (perché abbracciava tutti), la lotta — e occorre aggiungere la lotta senza scrupoli, egoista e sordida — impegnata dalla borghesia contro i Soviet, la partecipazione manifesta, infine, della borghesia (dai cadetti ai socialisti-rivoluzionari di destra, da Miliukov a Kerenski) all'avventura di Kornilov [1], tutto ciò preparò la sua esclusione formale dai Soviet.
Kautsky ha sentito parlare dell'avventura di Kornilov, ma con sovrano disdegno se ne infischia dei fatti storici, del corso e delle forme della lotta che determinano le forme della dittatura. Invero, che c'entrano i fatti con la democrazia «pura»? La «critica» di Kautsky alla soppressione dei diritti elettorali della borghesia si distingue quindi per una... così dolce ingenuità che sarebbe commovente in un bambino, ma suscita disgusto in un individuo non ancora riconosciuto ufficialmente debole di mente.
...«Se in regime di suffragio universale i capitalisti si fossero trovati in infima minoranza, si sarebbero più rapidamente rassegnati alla loro sorte» (p. 33)... Graziosa nevvero? L'intelligente Kautsky ha visto molte volte nella storia e naturalmente ha osservato più volte nella vita che ci sono dei proprietari fondiari e dei capitalisti che tengono conto della volontà della maggioranza degli oppressi. L'intelligente Kautsky si attiene fermamente al punto di vista dell'«opposizione», cioè al punto di vista della lotta parlamentare. E scrive testualmente «opposizione» (p. 34 e altrove).
Oh, dotto storico e politico! Non sarebbe per voi di troppo sapere che il concetto di «opposizione» implica soltanto la lotta pacifica e parlamentare, è un concetto cioè rispondente a una situazione non rivoluzionaria, caratterizzata dall'assenza della rivoluzione. Nella rivoluzione si ha a che fare con un nemico implacabile nella guerra civile, e tutte le geremiadi reazionarie di un piccolo borghese, che teme, come Kautsky, questa guerra, non potranno mutare questo fatto. Considerare dal punto di vista dell'«opposizione» i problemi della guerra civile implacabile, nel momento in cui la borghesia non rifugge da nessun crimine — l'esempio dei versagliesi e delle loro transazioni con Bismarck possono insegnare qualcosa a chiunque tratti la storia altrimenti che il Petruscka di Gogol —, nel momento in cui la borghesia chiama in suo soccorso gli Stati stranieri e intriga con loro contro la rivoluzione, è cosa ridicola. Il proletariato rivoluzionario, sull'esempio del «consigliere della confusione» Kautsky, dovrebbe mettersi la berretta da notte e considerare la borghesia, che organizza le insurrezioni controrivoluzionarie di Dutov, di Krasnov, dei cechi e spende milioni per sovvenzionare dei sabotatori, come un'«opposizione» legale. Quale profondità di pensiero!
A Kautsky interessa esclusivamente il lato formale, il lato giuridico della questione, e leggendo le sue dissertazioni sulla Costituzione sovietica vien fatto di pensare alle parole di Bebel: i giuristi sono reazionari dalla testa ai piedi. «In realtà — scrive Kautsky — non si possono privare dei diritti i soli capitalisti. Che cos'è un capitalista nel senso giuridico? Un possidente? Persino in un paese così avanzato sulla via del progresso economico com'è la Germania, che ha un proletariato così numeroso, l'instaurazione di una repubblica sovietica priverebbe grandi masse di gente dei diritti politici. Nel 1907 nell'impero tedesco il numero delle persone occupate nei tre grandi rami — agricoltura, industria e commercio — abbracciava, comprese le loro famiglie, circa 35 milioni di unità nel gruppo degli impiegati e operai salariati, e 17 milioni nel gruppo degli indipendenti. Un partito potrebbe dunque benissimo raggruppare la maggioranza degli operai salariati, e tuttavia costituire la minoranza della popolazione» (p. 33).
Ecco un piccolo saggio dei ragionamenti di Kautsky. Ebbene, non è forse questo il piagnucolio controrivoluzionario di un borghese? Perché dunque, signor Kautsky, classificare tutti gli «indipendenti» tra coloro che sono privi di diritti, pur sapendo che l'immensa maggioranza dei contadini russi non impiega operai salariati, e quindi non è stata privata dei diritti? Non è forse questa una falsificazione?
Perché voi, dotto economista, non avete citato i dati a voi ben noti sul lavoro salariato nell'agricoltura per gruppi di aziende, contenuti nella statistica tedesca del 1907? Perché non avete dato agli operai tedeschi, lettori del vostro opuscolo, questi dati, dai quali si potrebbe vedere quanti sono gli sfruttatori e come è piccolo il loro numero nel complesso dei «proprietari agricoli», calcolati dalla statistica tedesca?
Perché la vostra apostasia ha fatto di voi un sicofante al servizio della borghesia.
Il termine capitalista, vedete, è un concetto giuridico indeterminato, e Kautsky per parecchie pagine tuona contro l'«arbitrio» della Costituzione sovietica. Alla borghesia inglese questo «coscienzioso erudito» permette di elaborare e di rifinire per secoli e secoli una Costituzione borghese (nuova per il Medioevo); ma a noi, operai e contadini russi, questo rappresentante di una scienza servile non dà alcun respiro. Da noi egli pretende in pochi mesi una Costituzione elaborata in ogni particolare.
...«Arbitrio»! Pensate dunque quale abisso di sordido servilismo verso la borghesia, di ottusa pedanteria è racchiuso in questo rimprovero! Quando nei paesi capitalisti i giuristi, borghesi sino alle midolla e per la massima parte reazionari, nel corso di secoli o di decenni hanno elaborato i regolamenti più minuziosi, e scritto decine e centinaia di volumi di leggi e di commenti alle leggi che opprimevano l'operaio, che mantenevano il povero mani e piedi legati e mettevano tra i piedi di ogni semplice lavoratore, di ogni uomo del popolo mille cavilli e ostacoli, oh, i liberali borghesi e il signor Kautsky non vedevano in questo nessun «arbitrio»! Qui regna l'«ordine» e la «legalità»! Qui tutto è calcolato e codificato per «spremere» in tutti i modi il povero diavolo. Qui vi sono migliaia di avvocati e di funzionari borghesi (dei quali Kautsky, in generale, non fa parola, probabilmente perché Marx attribuiva un'enorme importanza alla distruzione della macchina burocratica...), avvocati e funzionari che sanno interpretare le leggi in maniera tale che all'operaio e al contadino medio sia impossibile sfondare il reticolato di queste leggi. Questo non è «arbitrio» della borghesia, non è dittatura di avidi e sordidi sfruttatori, che si nutrono del sangue del popolo. Niente, affatto. È «democrazia pura», che diventa di giorno in giorno sempre più pura.
Ma quando le classi lavoratrici e sfruttate, separate dalla guerra imperialista dai fratelli d'oltre frontiera, per la prima volta nella storia hanno costituito i loro Soviet, hanno chiamato all'edificazione politica le masse che la borghesia opprimeva, schiacciava, abbruttiva e hanno cominciato esse stesse a costruire uno Stato nuovo, proletario, e ad abbozzare, nell'ardore di una lotta furiosa, nel fuoco della guerra civile, le tesi fondamentali dello Stato senza sfruttatori, allora tutta la canaglia borghese, tutta la banda dei vampiri, col loro tirapiedi Kautsky, gridano all’«arbitrio»! Come volete infatti che questi «ignoranti operai e contadini, questa plebe», sappiano interpretare le sue leggi? Dove volete che questi semplici lavoratori prendano il senso della giustizia se non si servono dei consigli di avvocati colti e di scrittori borghesi, dei Kautsky e dei vecchi funzionari pieni di saggezza?
Il signor Kautsky cita dal mio discorso del 29 aprile 1918 queste parole: ...«Le masse stesse determinano la procedura e la data delle elezioni»... E Kautsky, il «democratico puro», ne deduce:
In che cosa questo differisce dunque dai discorsi di un servile pennaiolo al soldo dei capitalisti, che durante uno sciopero leva alte grida a proposito della violenza che le masse esercitano sugli operai diligenti «che desiderano lavorare»? Perché la procedura delle elezioni stabilita in modo burocratico borghese nella democrazia borghese «pura» non è arbitraria? Perché il senso della giustizia deve essere più debole nelle masse che si sono sollevate alla lotta contro i loro secolari sfruttatori e si sono illuminate e temprate in questa lotta accanita, che non in un pugno di funzionari, di intellettuali, di avvocati, educati nello spirito dei pregiudizi borghesi?
Kautsky è un socialista autentico; non osate mettere in dubbio la buona fede di questo onorevolissimo padre di famiglia, di questo onestissimo cittadino! Egli è un fautore ardente e convinto della vittoria degli operai, della rivoluzione proletaria. Egli vorrebbe soltanto che gli untuosi intellettuali piccolo-borghesi e i filistei in berretta da notte compilassero, prima che le masse si mettano in moto, prima che esse lottino accanitamente contro gli sfruttatori, e assolutamente senza guerra civile, un moderato ed accurato statuto dello sviluppo della rivoluzione...
Pieno di profondo sdegno morale, il nostro dottissimo Iuduscka Golovliov racconta agli operai tedeschi che il 14 giugno 1918 il Comitato esecutivo centrale dei Soviet di Russia ha deciso di escludere dai Soviet i rappresentanti del partito socialista-rivoluzionario di destra e dei menscevichi. «Questo provvedimento — scrive Iuduscka Kautsky, infiammato di nobile sdegno — non è rivolto contro determinate persone che hanno compiuto determinati atti passibili di punizione... La Costituzione della Repubblica sovietica non parla affatto dell'immunità dei deputati dei Soviet. Non determinate persone, ma determinati partiti sono così esclusi dai Soviet» (p. 37).
Si, è terribile, infatti, è una deviazione inammissibile dalla democrazia pura, secondo le cui regole il nostro rivoluzionario Iuduscka Kautsky vuol fare la rivoluzione. Noi, bolscevichi russi, avremmo dapprima dovuto promettere l'immunità ai Savinkov e C., ai Liberdan [2] e ai Potresov (agli «attivisti» [3]) e C., e redigere quindi un codice penale il quale dichiarasse «passibile di punizione» la partecipazione alla guerra controrivoluzionaria dei cecoslovacchi o l'alleanza in Ucraina o in Georgia con gli imperialisti tedeschi contro gli operai del proprio paese, e allora soltanto, sulla base di questo codice, avremmo avuto il diritto, secondo lo spirito della «democrazia pura», di escludere dai Soviet «determinate persone». È ovvio che i cecoslovacchi i quali, per mezzo dei Savinkov, dei Potresov, dei Liberdan, o grazie alla loro propaganda, ricevevano denaro dai capitalisti anglo-francesi, e così pure i Krasnov, che ricevevano munizioni dai tedeschi con l'aiuto dei menscevichi dell'Ucraina e di Tiflis, avrebbero tranquillamente atteso che noi avessimo compilato un regolare codice penale e, da purissimi democratici, si sarebbero accontentati della funzione di «opposizione».
Uno sdegno morale non meno profondo suscita in Kautsky il fatto che la Costituzione sovietica priva dei diritti elettorali coloro che «impiegano a scopo di profitto operai salariati». «Un operaio a domicilio o un piccolo padrone che impiega un apprendista — scrive Kautsky — può avere una vita e dei sentimenti veramente proletari, eppure non gode del diritto di voto» (p. 36).
Quale deviazione dalla «democrazia pura»! Quale iniquità! È vero che sinora tutti i marxisti hanno pensato, e migliaia di fatti lo hanno confermato, che i piccoli padroni sono i peggiori sfruttatori degli operai salariati, quelli più privi di scrupoli, ma Iuduscka Kautsky naturalmente non considera la classe dei piccoli padroni (chi ha escogitato questa dannosa teoria della lotta di classe?), ma singoli individui, gli sfruttatori che «hanno una vita e sentimenti veramente proletari». La famosa «Agnese l'economa», che si credeva morta da molto tempo, risuscita sotto la penna di Kautsky. Questa Agnese l'economa alcuni decenni or sono fu creata e messa in circolazione nella letteratura tedesca da un democratico «puro», il borghese Eugen Richter. Costui profetizzava sventure indicibili, che dovevano portare con sé la dittatura del proletariato e la confisca del capitale degli sfruttatori; e con aria innocente domandava che cosa è un capitalista nel senso giuridico della parola. Egli recava l'esempio di una sarta povera ed economa («Agnese l'economa»), spogliata dei suoi ultimi soldi dai malvagi «dittatori del proletariato». Vi fu un tempo in cui tutta la socialdemocrazia tedesca si divertiva alle spalle di questa «Agnese l'economa» del democratico puro Eugen Richter. Ma ciò avveniva in un tempo molto lontano, quando Bebel era ancora in vita e diceva apertamente e senza circonlocuzioni la verità, che vi erano cioè molti nazional-liberali nel partito tedesco [4]. Ciò risale al tempo molto lontano in cui Kautsky non era ancora un rinnegato.
Ora «Agnese l'economa» è risuscitata sotto le sembianze del «piccolo padrone con un apprendista, che ha una vita e sentimenti veramente proletari». I malvagi bolscevichi gli fanno dei torti, lo privano del diritto di voto. È vero che nella Repubblica sovietica «ogni assemblea elettorale», come dice lo stesso Kautsky, può ammettere un povero artigiano che sia legato a una determinata officina, se, in via di eccezione, non è uno sfruttatore, se in realtà «la sua vita e i suoi sentimenti sono veramente proletari». Ma forse che ci si può fidare della conoscenza della vita, del senso d'equità di un'assemblea di semplici operai d'officina, disordinata e che funziona (orrore!) senza statuto? Non è chiaro che è meglio concedere il diritto di voto a tutti gli sfruttatori, a tutti coloro che impiegano operai salariati anziché correre il rischio che gli operai facciano dei torti ad «Agnese l'economa» e «al piccolo artigiano che ha una vita e sentimenti proletari»?
* *
*
Vituperino pure le spregevoli
canaglie dell'apostasia, con l'applauso della borghesia e dei socialsciovinisti
[1*], la nostra Costituzione sovietica perché priva del
diritto di voto gli sfruttatori! È questo un fatto positivo perché affretta e
approfondisce la rottura degli operai rivoluzionari d'Europa con gli
Scheidemann e i Kautsky, i Renaudel
e i Longuet, gli Henderson e i Ramsay MacDonald, con i vecchi capi e
i vecchi traditori del socialismo.
Le masse delle classi oppresse, i
capi coscienti e onesti venuti dalle file dei proletari rivoluzionari saranno per
noi. Basta far conoscere a questi proletari e a queste masse la nostra
Costituzione sovietica, ed essi diranno immediatamente: ecco dove sono gli uomini
veramente nostri; ecco dov'è il vero partito degli operai, il vero
governo operaio! Giacché esso non inganna gli operai con chiacchiere sulle riforme
— come ci hanno ingannati tutti i capi succitati — ma lotta seriamente
contro gli sfruttatori, fa sul serio la rivoluzione, lotta in realtà per
la completa emancipazione degli operai.
Se i Soviet, dopo l'«esperienza» di un anno,
hanno privato gli sfruttatori del diritto di voto, vuol dire che questi
Soviet sono realmente le organizzazioni delle masse oppresse, e non dei
socialimperialisti o dei socialpacifisti vendutisi alla borghesia. Se questi
Soviet hanno privato del diritto di voto gli sfruttatori, vuol dire ch'essi
non sono gli organi di una politica piccolo-borghese di conciliazione con i
capitalisti, né organi di chiacchiere parlamentari (dei Kautsky, dei Longuet e
dei MacDonald), ma organi del proletariato veramente rivoluzionario che conduce
una lotta a morte contro gli sfruttatori.
«II libercolo di Kautsky è qui quasi
sconosciuto», mi scriveva pochi giorni fa (oggi è il 30 ottobre) da Berlino un
compagno bene informato. Consiglierei i nostri ambasciatori in Germania e in
Svizzera di non tirare sulla spesa di migliaia di rubli per acquistare il libro
e diffonderlo gratuitamente tra gli operai coscienti, per trascinare nel
fango questa socialdemocrazia «europea» — leggi: imperialista e riformista —
diventata da lungo tempo un «fetido cadavere».
* *
*
Alla fine del suo libro — pp. 61 e 63
— il signor Kautsky sparge lacrime amare sul fatto che la «nuova teoria» (come
egli chiama il bolscevismo, temendo persino di sfiorare l'analisi della Comune
di Parigi fatta da Marx ed Engels) «trova fautori persino nelle vecchie
democrazie come, per esempio, la Svizzera». «È inconcepibile» per Kautsky «che
anche dei socialdemocratici tedeschi accettino questa teoria».
No, è perfettamente concepibile,
perché dopo le severe lezioni della guerra le masse rivoluzionarie cominciano a
sentir ripugnanza sia per gli Scheidemann che per i Kautsky.
«Noi» siamo sempre stati per la
democrazia — scrive Kautsky — e ora dovremmo ad un tratto rinunciare ad essa!
«Noi», opportunisti della
socialdemocrazia, siamo sempre stati contro la dittatura del proletariato; e i Kolb e C. l'hanno detto apertamente da
molto tempo. Kautsky lo sa e spera invano di poter nascondere ai suoi
lettori il fatto evidente del suo «ritorno in seno» ai Bernstein e ai Kolb.
«Noi», marxisti rivoluzionari, non ci
siamo mai fatti un idolo della democrazia «pura» (borghese). Plekhanov era nel
1903, com'è noto, un marxista rivoluzionario (prima del suo deplorevole
voltafaccia, che fece di lui uno Scheidemann russo). E nel congresso del
partito in cui fu approvato il programma, Plekhanov disse che nel momento della
rivoluzione il proletariato priverà, all'occorrenza, del diritto di voto i capitalisti
e scioglierà qualsiasi parlamento che si dimostri controrivoluzionario.
Che precisamente questo punto di vista sia l'unico che corrisponda al marxismo,
chiunque se ne renderà conto anche dalle dichiarazioni di Marx e di Engels da
me sopra citate. E ciò scaturisce in modo evidente da tutti i principi del
marxismo.
«Noi», marxisti rivoluzionari, non
abbiamo tenuto al popolo discorsi come quelli che amano pronunciare i
kautskiani di tutte le nazioni, i quali strisciano davanti alla borghesia, si
adattano al parlamentarismo borghese, nascondono il carattere borghese dell'attuale
democrazia e si accontentano di chiedere che essa venga allargata, che essa
venga realizzata sino in fondo.
«Noi» abbiamo detto alla borghesia:
voi, sfruttatori e ipocriti, parlate di democrazia mentre a ogni passo
frapponete mille ostacoli alla partecipazione delle masse oppresse alla
politica. Vi prendiamo in parola, e, per preparare le masse alla
rivoluzione, per rovesciare voi sfruttatori, nell'interesse di queste
masse, esigiamo l'allargamento della vostra democrazia. E se voi,
sfruttatori, farete il minimo tentativo di resistere alla rivoluzione
proletaria, vi schiacceremo senza pietà, vi priveremo dei diritti e, peggio
ancora, vi rifiuteremo il pane, perché nella nostra repubblica proletaria gli
sfruttatori non avranno diritti, saranno privati dell'acqua e del fuoco, perché
noi siamo socialisti sul serio e non dei socialisti alla maniera di Scheidemann
e di Kautsky.
Cosi abbiamo parlato e così parleremo
«noi», marxisti rivoluzionari; ecco perché le masse oppresse saranno per noi e
con noi, mentre gli Scheidemann e
i Kautsky saranno gettati nella pattumiera dei rinnegati.
Kautsky è convintissimo di essere un
internazionalista e si dice tale. Egli dichiara che gli Scheidemann sono dei
socialisti governativi. Prendendo le difese dei menscevichi (egli non dice
apertamente di essere solidale con loro, ma professa in tutto e per tutto le
loro idee), Kautsky ha manifestato in modo straordinariamente evidente che
razza di «internazionalismo» sia il suo. Ma poiché Kautsky non rappresenta solo
se stesso, ma una corrente che doveva inevitabilmente svilupparsi nell'ambiente
della II Internazionale (Longuet in Francia, Turati in Italia, Nobs e Grimm, Graber e Naine in Svizzera, Ramsay MacDonald
in Inghilterra, ecc), sarà istruttivo soffermarsi sull'«internazionalismo» di
Kautsky.
Sottolineando il fatto che anche i
menscevichi furono a Zimmerwald (è un diploma certamente, sebbene... già andato
a male), Kautsky così descrive le idee, che egli condivide, dei menscevichi:
I bolscevichi, secondo Kautsky, non
avrebbero dovuto prendere il potere, ma accontentarsi dell'Assemblea
costituente.
L'internazionalismo di Kautsky e dei
menscevichi consiste dunque in questo: esigere riforme dal governo imperialista
borghese, ma continuare a sostenerlo, continuare a sostenere la guerra condotta
da questo governo, finché tutti i belligeranti non avranno accettato la parola
d'ordine: «senza annessioni né riparazioni». È questa l'idea che Turati, i
kautskiani (Haase e altri),
Longuet e C. hanno più volte espresso dichiarando di essere per la
«difesa della patria».
Teoricamente ciò significa assoluta
incapacità di staccarsi dai socialsciovinisti e confusione totale nella
questione della difesa della patria. Politicamente, ciò significa sostituire il
nazionalismo piccolo- borghese all'internazionalismo e passare al riformismo,
rinunciare alla rivoluzione.
Riconoscere la «difesa della patria»
significa, dal punto di vista del proletariato, giustificare la guerra attuale,
ammettere che essa è legittima. Ma, poiché la guerra rimane una guerra
imperialista (tanto sotto la monarchia che sotto la repubblica),
indipendentemente dal luogo in cui si trovano, in un dato momento, le truppe
nemiche, nel mio paese o in paese straniero, riconoscere la difesa della patria
significa di fatto appoggiare la borghesia imperialista e rapinatrice,
significa tradire completamente il socialismo. In Russia, anche sotto Kerenski, in regime di repubblica
democratica borghese, la guerra continuava ad essere imperialista, giacché era
condotta dalla borghesia, in quanto classe dominante (e la guerra è la
«continuazione della politica»); e l'espressione più potente del carattere
imperialista della guerra erano i trattati segreti per la ripartizione del
mondo e il saccheggio di paesi stranieri conclusi dall'ex zar coi capitalisti
dell'Inghilterra e della Francia.
I menscevichi ingannavano vilmente il
popolo, dando a questa guerra il nome di guerra di difesa o di guerra
rivoluzionaria; e Kautsky, approvando la politica dei menscevichi, approva
l'inganno a danno del popolo, approva la funzione che ha la piccola borghesia
al servizio del capitale di abbindolare gli operai, di aggiogarli al carro
degli imperialisti. Kautsky fa una politica tipicamente piccolo-borghese,
filistea, quando s'immagina (e inculca questa idea assurda nelle masse) che il lancio
di una parola d'ordine cambi la realtà. Tutta la storia della democrazia
borghese confuta questa illusione: per ingannare il popolo i democratici
borghesi hanno sempre lanciato e sempre lanciano ogni sorta di «parole
d'ordine». Si tratta di controllare la loro sincerità, di mettere a
confronto le parole con i fatti, di non appagarsi della frase idealistica o
ciarlatanesca, ma di cercar di scoprire la realtà di classe. La guerra
imperialista non cessa di essere imperialista quando dei ciarlatani o dei
parolai o dei filistei piccolo-borghesi lanciano una «parola d'ordine»
inzuccherata, ma soltanto quando la classe che conduce questa guerra
imperialista, ed è legata con questa da milioni di fili (se non cavi)
economici, viene di fatto abbattuta ed è sostituita al potere dalla classe
veramente rivoluzionaria, il proletariato. Questo è l'unico modo di. tirarsi
fuori da una guerra imperialista, o da una pace imperialista, dì rapina.
Approvando la politica estera dei
menscevichi, ch'egli chiama internazionalista e zimmerwaldiana, Kautsky mostra
in primo luogo tutto il marciume della maggioranza zimmerwaldiana opportunista
(non per nulla, noi, della sinistra di Zimmerwald, ci separammo subito
da tale maggioranza!), e in secondo
luogo — ed è la cosa più importante — passa dalla posizione proletaria alla
posizione piccolo-borghese, dalla posizione rivoluzionaria alla posizione
riformista.
Il proletariato lotta per
l'abbattimento rivoluzionario della borghesia imperialista, la piccola
borghesia per il «perfezionamento» riformista dell'imperialismo, per adattarsi,
subordinarsi ad esso. Quando Kautsky era ancora marxista, nel 1909 per
esempio, allorché scrisse La via del potere, egli sosteneva appunto
l'idea che la guerra rendeva la rivoluzione inevitabile e parlava
dell'approssimarsi dell'era delle rivoluzioni. Il Manifesto di Basilea
del 1912 parla apertamente e in modo preciso di rivoluzione proletaria come
conseguenza di una guerra imperialista tra il gruppo tedesco e il gruppo inglese,
guerra che effettivamente scoppiò nel 1914. E nel 1918, quando, in seguito alla
guerra, incominciarono le rivoluzioni, Kautsky, invece di spiegare la loro
ineluttabilità, invece di studiare e riflettere sulla tattica rivoluzionaria,
sui metodi e i mezzi di preparazione della rivoluzione, chiamò
«internazionalismo» la tattica riformista dei menscevichi. Che cos'è questo se
non un atto da rinnegato?
Kautsky loda i menscevichi perché
insistevano che fosse mantenuta l'efficienza combattiva dell'esercito. Egli
biasima i bolscevichi perché aggravarono la già grande «disorganizzazione
dell'esercito». Ciò vuol dire lodare il riformismo e la sottomissione alla
borghesia imperialista, biasimare la rivoluzione, rinnegarla. Mantenere
l'efficienza combattiva dell'esercito significava ed equivaleva infatti, sotto
Kerenski, a mantenere nell'esercito un comando borghese (anche se
repubblicano). È a tutti noto — e il corso degli eventi lo confermò — che
questo esercito repubblicano, grazie ai suoi quadri di kornilovisti, aveva conservato uno
spirito kornilovista. Gli ufficiali borghesi non potevano non essere
kornilovisti; non potevano non propendere per l'imperialismo, per la
repressione violenta del proletariato. Lasciare sussistere le antiche basi
della guerra imperialista, tutte le antiche basi della dittatura borghese, accomodare
le minuzie, dare una mano di vernice alle piccole imperfezioni («riforme»):
ecco a che cosa si riduceva in realtà la tattica menscevica. Al
contrario, nessuna grande rivoluzione è mai avvenuta e può avvenire senza la
«disorganizzazione» dell'esercito. Giacché l'esercito è lo strumento più
fossilizzato su cui poggia il vecchio regime, il baluardo più saldo del dominio
del capitale, uno strumento per mantenere e coltivare nelle masse lavoratrici
la docilità servile e la sottomissione al capitale. La controrivoluzione non
tollerò mai, né poteva tollerare la presenza di operai armati accanto
all'esercito. In Francia — scrive Engels [nella Introduzione a La guerra
civile in Francia] — dopo ogni rivoluzione gli operai erano armati: «per i
borghesi che si trovavano al governo dello Stato il disarmo degli operai era
quindi il primo comandamento». Gli operai armati erano l'embrione di un nuovo
esercito, il nucleo organizzativo di un nuovo regime sociale.
Schiacciare questo nucleo, non permetterne lo sviluppo, era il primo
comandamento della borghesia. Il primo comandamento di ogni rivoluzione
vittoriosa — Marx ed Engels lo sottolinearono a più riprese — era di
distruggere il vecchio esercito, di scioglierlo e sostituirlo con uno nuovo [La
guerra civile in Francia]. La nuova classe sociale, salendo al potere, non
ha mai potuto e non può ora pervenire a questo potere e consolidarlo senza
disgregare completamente il vecchio esercito («disorganizzazione», gridano a
questo proposito i piccoli borghesi reazionari o semplicemente vili), senza
passare per il periodo difficilissimo, penosissimo in cui non c'è esercito (per
questo penoso periodo passò anche la Grande Rivoluzione francese), senza
forgiare a poco a poco, in una dura guerra civile, un nuovo esercito, una nuova
disciplina, una nuova organizzazione militare della nuova classe. Lo storico
Kautsky un tempo capiva tutto ciò. Il rinnegato Kautsky lo ha dimenticato.
Che diritto ha Kautsky di chiamare
gli Scheidemann «socialisti governativi», se egli approva la tattica dei
menscevichi nella rivoluzione russa? I menscevichi che appoggiavano Kerenski e
facevano parte del suo ministero erano anch'essi dei socialisti governativi.
Kautsky non potrà in alcun modo sfuggire a questa conclusione se egli farà un
sia pur minimo tentativo di porre il problema della classe dominante che
conduce la guerra imperialista. Ma Kautsky evita di porre questo problema che s'impone
ad ogni marxista, perché il porlo basterebbe smascherarlo come rinnegato.
I kautskiani in Germania, i
longuettisti in Francia, Turati e C. in Italia ragionano così: il socialismo
presuppone l'eguaglianza e la libertà delle nazioni, la loro autodecisione; quindi,
quando il mio paese è aggredito, o quando truppe nemiche hanno invaso la
mia terra, diritto e dovere dei socialisti è di difendere la patria. Ma dal
punto di vista teorico, questo ragionamento è o un insulto continuato al
socialismo o una manovra fraudolenta: dal punto di vista politico e pratico,
questo ragionamento coincide con quello di un contadino assolutamente
ignorante, incapace anche solo di pensare al carattere sociale, di classe della
guerra e ai compiti di un partito rivoluzionario in una guerra reazionaria.
II socialismo è contro la violenza
verso le nazioni. Questo è innegabile. Ma il socialismo è in generale contro la
violenza verso gli uomini. Tuttavia nessuno, tranne gli anarchici cristiani e i
tolstoiani, ha mai dedotto da ciò che il socialismo sia contro la violenza rivoluzionaria.
Dunque, parlare di «violenza» in generale senza esaminare le condizioni che
differenziano la violenza reazionaria dalla violenza rivoluzionaria significa
essere un filisteo che rinnega la rivoluzione, o semplicemente ingannare se
stessi e gli altri con dei sofismi.
Lo stesso criterio si riferisce alla
violenza verso le nazioni. Ogni guerra è violenza contro delle nazioni, e
tuttavia ciò non impedisce ai socialisti di essere per la guerra rivoluzionaria.
Qual è il carattere di classe della guerra? Ecco la questione fondamentale che
si pone ogni ì socialista (se non è un rinnegato). La guerra imperialista del
1914-1918 è una guerra tra due gruppi della borghesia imperialista per la
spartizione del mondo, per la spartizione del bottino, per il saccheggio e lo
strangolamento delle nazioni piccole e deboli. Questo è il giudizio dato sulla
guerra dal Manifesto di Basilea nel 1912, giudizio che i fatti hanno
confermato. Chi abbandona questo punto di vista sulla guerra non è un
socialista.
Se un tedesco sotto Guglielmo o un
francese sotto Clemenceau
dicesse: io, come socialista, ho il diritto e il dovere di difendere la mia
patria se il nemico ha invaso il mio paese — questo non sarebbe il ragionamento
né di un socialista, né di un internazionalista, né di un proletario
rivoluzionario, ma la dichiarazione di un nazionalista piccolo-borghese. Perché
in questo ragionamento scompare la lotta di classe rivoluzionaria dell'operaio
contro il capitale; scompare la valutazione di tutta la guerra nel suo assieme
dal punto di vista della borghesia mondiale e del proletariato mondiale;
scompare cioè l'internazionalismo e non rimane che un misero, fossilizzato nazionalismo.
Si fanno dei torti al mio paese, il resto non mi riguarda: ecco a che si riduce
questo ragionamento, ecco dove risiede la sua grettezza nazionalista
piccolo-borghese. Esattamente come se, di fronte alla violenza individuale
esercitata contro una persona, qualcuno facesse il seguente ragionamento: il
socialismo è contro la violenza, quindi preferisco commettere un tradimento
anziché andare in prigione.
Un tedesco, un francese o un italiano
il quale dice: il socialismo è contro la violenza verso le nazioni, quindi, allorché
il nemico invade il mio paese, io mi difendo, tradisce il socialismo e
l'internazionalismo. Perché questo individuo vede unicamente il proprio
«paese», pone al di sopra di tutto la «sua»... «borghesia », senza
pensare ai legami internazionali che fanno della guerra una guerra
imperialista, e della sua borghesia un anello della catena delle rapine
imperialiste.
Tutti i piccoli borghesi e tutti i contadini ottusi e ignoranti ragionano
precisamente come ragionano i rinnegati kautskiani, longuettisti, Turati e C.,
e precisamente: il nemico è nel mio paese, il resto non mi riguarda [*2].
Il
socialista, il proletario rivoluzionario, l'internazionalista ragiona
altrimenti: il carattere di una guerra (è essa reazionaria o rivoluzionaria?)
non è determinata dal fatto: chi ha attaccato e in qual paese si trova il
«nemico», ma dipende da questo: quale classe conduce la guerra, di quale
politica la guerra è la continuazione. Se la guerra è una guerra reazionaria,
imperialista, se è condotta cioè da due gruppi mondiali della borghesia
imperialista, aggressiva, spoliatrice, reazionaria, ogni borghesia (anche se di
un piccolo paese) diventa partecipe della spoliazione, e il mio dovere, il
dovere di un rappresentante del proletariato rivoluzionario, è quello di
preparare la rivoluzione proletaria mondiale, unico mezzo di salvezza dagli
orrori della guerra mondiale. Non devo ragionare dal punto di vista del «mio»
paese (poiché questo ragionamento è quello di un misero cretino, di un piccolo
borghese nazionalista che non comprende di essere uno zimbello nelle mani della
borghesia imperialista), ma dal punto di vista della mia partecipazione alla preparazione, alla propaganda, al lavoro
per rendere più prossima la rivoluzione proletaria mondiale.
Ecco
che cos'è l'internazionalismo, qual è il dovere dell'internazionalista,
dell'operaio rivoluzionario, del vero socialista. Ecco l'abbicci che il rinnegato Kautsky «ha dimenticato». E la sua
abiura diventa tanto più manifesta quando, dopo aver approvato la tattica dei
nazionalisti piccolo-borghesi (menscevichi in Russia, longuettisti in Francia,
Turati in Italia, Haase e C. in Germania), passa alla critica della tattica
bolscevica. Ecco questa critica.
E
Kautsky continua a ripetere che Marx, Engels e Bebel si erano più volte
sbagliati predicendo l'avvento di rivoluzioni premature, ma non avevano mai
fondato la loro tattica sull'attesa di una rivoluzione «a una data determinata» (p. 29), mentre i bolscevichi, egli dice, «puntarono
tutto su una sola carta: la rivoluzione europea generale». Abbiamo
trascritto una citazione così lunga proprio per mostrare in modo palese al
lettore con quale «abilità» Kautsky falsifichi il marxismo sostituendogli una
concezione piccolo-borghese, banale e reazionaria.
In
primo luogo, attribuire all'avversario una sciocchezza evidente per poi
confutarla, è un trucco degno di persone non molto intelligenti. Se i
bolscevichi avessero fondato la loro tattica sull'attesa della rivoluzione a una data determinata in altri paesi,
ciò sarebbe stato incontestabilmente una sciocchezza. Ma il partito bolscevico
non ha fatto questa sciocchezza: nella mia lettera agli operai americani (20
agosto 1918) ho respinto categoricamente tale sciocchezza dicendo che contiamo
sulla rivoluzione americana, ma non a una data determinata. Nella mia polemica
con i socialisti-rìvoluzionari di sinistra e con i «comunisti di sinistra»
(gennaio-marzo 1918) ho sviluppato più di una volta la stessa idea. Kautsky ha
commesso una piccola... piccolissima alterazione, sulla quale ha fondato la sua
critica del bolscevismo. Ha confuso la tattica che fa assegnamento sulla
rivoluzione europea a una data più o meno prossima, ma non determinata, e la
tattica che fa assegnamento sullo scoppio della rivoluzione a una data
determinata. Una piccola falsificazione, assolutamente piccola!
La
seconda tattica è una sciocchezza. La prima è
obbligatoria per ogni marxista, per ogni proletario rivoluzionario e
internazionalista; obbligatoria perché
essa sola tiene esattamente conto, secondo i principi marxisti, della
situazione oggettiva creata dalla guerra in tutti i paesi europei, essa sola
risponde ai compiti internazionali del proletariato.
Sostituendo
all'importante questione dei principi della tattica rivoluzionaria in generale
la meschina questione dell'errore che i rivoluzionari bolscevichi avrebbero
potuto commettere ma non hanno commesso, Kautsky ha felicemente ripudiato ogni
tattica rivoluzionaria!
Rinnegato
in politica, in teoria egli non sa
neppure impostare la questione delle
premesse oggettive della tattica rivoluzionaria.
E
qui siamo giunti al secondo punto.
In
secondo luogo, fare assegnamento sulla rivoluzione europea è obbligatorio per
un marxista se vi è una situazione
rivoluzionaria. Che la tattica del proletariato socialista non può essere
la stessa quando la situazione è rivoluzionaria e quando non lo è, è una verità
elementare del marxismo.
Se
Kautsky si fosse posto questa questione, obbligatoria per un marxista, avrebbe
visto che la risposta gli era assolutamente sfavorevole. Molto tempo prima
della guerra tutti i marxisti, tutti i socialisti erano d'accordo nel ritenere
che la guerra europea avrebbe creato una situazione rivoluzionaria. Quando
Kautsky non era ancora un rinnegato lo ha riconosciuto in modo chiaro e preciso
nel 1902 (La rivoluzione sociale) e nel 1909 (La via del
potere). Il Manifesto di Basilea lo riconobbe in nome di tutta la II
Internazionale. Non per nulla i socìalsclovinisti e i kautskiani (i
«centristi», coloro che oscillano tra i rivoluzionari e gli opportunisti)
temono come il fuoco le dichiarazioni in proposito del Manifesto di Basilea!
L'attesa
di una situazione rivoluzionaria in Europa non era quindi un sogno dei
bolscevichi; era l'opinione generale di
tutti i marxisti. Quando Kautsky elude questa verità incontestabile mediante
frasi come questa: i bolscevichi «hanno sempre creduto nell'onnipotenza della
violenza e della volontà», la sua è una frase altisonante ma vuota, destinata a celare la fuga, la fuga vergognosa,
a cui si è dato per evitare di impostare la questione della situazione
rivoluzionaria.
E
ancora. Vi è ora di fatto una situazione rivoluzionaria o no? Kautsky non ha
saputo impostare neppure questa questione. I fatti economici rispondono: la carestia
e la rovina generate ovunque dalla guerra denunciano una situazione
rivoluzionaria. A questa questione rispondono anche i fatti politici: fin dal
1915 in tutti i paesi si è nettamente
manifestato un processo di scissione nei vecchi e putrefatti partiti
socialisti, e un processo di allontanamento
dai capi socialsciovinisti dalle masse
proletarie che vanno a sinistra, verso le idee e le tendenze
rivoluzionarie, verso i capi rivoluzionari.
Il
5 agosto 1918, nel momento in cui Kautsky scriveva il suo opuscolo, solo un
individuo che teme la rivoluzione e la tradisce poteva non vedere questi fatti.
E ora, fine ottobre 1918, in una serie di
paesi europei la rivoluzione sale rapidissimamente, a vista d'occhio. Il
«rivoluzionario» Kautsky, che ci tiene a essere ancora considerato un marxista,
ha rivelato di essere un miope filisteo, il quale - come i filistei del 1847,
derisi da Marx - non ha visto che la rivoluzione si avvicinava!!
Siamo
giunti al terzo punto.
In
terzo luogo, quali sono le particolarità della tattica rivoluzionaria di fronte
a una situazione rivoluzionaria in Europa? Kautsky, diventato un rinnegato,
teme di porre questa domanda, obbligatoria per un marxista. Egli ragiona da
tipico filisteo piccolo-borghese o da contadino ignorante: è venuta o no «la
rivoluzione europea generale»? Se sì, è pronto anche lui a diventare un rivoluzionario! Ma allora - diremo noi -
anche la canaglia di ogni risma (sul tipo di quei farabutti che cercano
talvolta di intrufolarsi tra i bolscevichi vittoriosi) si dichiara
rivoluzionaria!
Se
no, Kautsky volta le spalle alla rivoluzione! Egli non capisce minimamente
questa verità: che un rivoluzionario e un marxista si differenzia da un
filisteo e da un piccolo borghese per la sua capacità di predicare alle masse ignoranti la necessità della rivoluzione che
matura, di dimostrarne l'ineluttabilità,
di spiegarne i vantaggi che ne
verranno al popolo, di preparare il
proletariato e tutte le masse lavoratrici e sfruttate alla rivoluzione.
Kautsky
attribuisce ai bolscevichi un'assurdità: che essi cioè avrebbero puntato tutto
su una carta, presupponendo che la rivoluzione europea sarebbe scoppiata a una
data determinata. Questa assurdità si ritorce contro lo stesso Kautsky, poiché
secondo lui risulterebbe che la tattica dei bolscevichi sarebbe stata giusta se
la rivoluzione europea fosse scoppiata entro il 5 agosto 1918! Kautsky
menzionava appunto questa data come quella del giorno in cui egli compilò il
suo opuscolo. E quando, alcune settimane, dopo questo 5 agosto, divenne evidente
che la rivoluzione stava per scoppiare in parecchi paesi europei, tutta
l'abiura di Kautsky, tutta la falsificazione del marxismo da lui perpetrata,
tutta la sua incapacità di ragionare e persino di porre la questione in modo
rivoluzionario, si rivelarono in tutta la loro bellezza!
Quando
si accusano di tradimento i proletari d'Europa - scrive Kautsky - si eleva
un'accusa contro ignoti.
Vi
sbagliate, signor Kautsky! Guardatevi nello specchio e vedrete gli «ignoti» a
cui l'accusa è rivolta. Kautsky fa l'ingenuo e finge di non capire da chi parte l'accusa e quale ne è il senso. In realtà Kautsky
sa benissimo che l'accusa è stata lanciata dai «sinistri» tedeschi, dagli
spartachiani, da Liebknecht e dai
suoi amici. Quest'accusa esprime la chiara
coscienza del fatto che il proletariato tedesco commise un tradimento
contro la rivoluzione russa (e internazionale) quando strozzò la Finlandia,
l'Ucraina, la Lettonia, l'Estonia. Quest'accusa è rivolta innanzi tutto, e
soprattutto, non contro le masse,
sempre schiacciate, ma contro quei capi che, come gli Scheidemann e i Kautsky, non hanno compiuto il loro dovere - fare, dell'agitazione rivoluzionaria,
della propaganda rivoluzionaria, del lavoro rivoluzionario fra le masse per
combattere l'inerzia - e che in realtà hanno agito contro gli istinti e le aspirazioni rivoluzionarie che sempre si
annidano nel profondo delle masse della classe oppressa. Gli Scheidemann hanno
tradito direttamente, sfacciatamente, cinicamente il proletariato, per puro
egoismo, sono passati dalla parte della borghesia. I kautskiani e i
longuettisti hanno fatto lo stesso, ma esitando, tentennando, gettando sguardi
impauriti verso coloro che in quel momento erano forti. Con tutti i suoi scritti
del periodo della guerra Kautsky ha
smorzato lo spirito rivoluzionario invece di tenerlo vivo e farlo
avvampare.
Quale
monumento veramente storico della idiozia filistea del capo «centrista» della
socialdemocrazia tedesca ufficiale, rimarrà il fatto che Kautsky non comprende
nemmeno l'immensa importanza teorica e
l'importanza ancora maggiore che ha per l'agitazione e la propaganda l'«accusa»
rivolta contro i proletari d'Europa di aver tradito la rivoluzione russa!
Kautsky non comprende che questa «accusa», dato il regime di censura vigente
nell'impero tedesco, quest'«accusa» è forse l'unica forma in cui i socialisti
che non hanno tradito il socialismo, - Liebknecht e i suoi amici - potevano fare appello agli operai tedeschi
affinché si sbarazzassero degli Scheidemann e dei Kautsky, respingessero «capi»
di tal fatta, si liberassero dalla loro propaganda avvilente e degradante e si
sollevassero, a dispetto di essi, senza
di essi, all'infuori di essi. Era
un appello alla rivoluzione!
Kautsky
non l'ha capito. E come potrebbe capire la tattica dei bolscevichi? Ci si può forse attendere che un uomo, il
quale rinnega la rivoluzione in generale, pesi e valuti le condizioni di
sviluppo rivoluzione in uno dei casi più «difficili»?
La
tattica dei bolscevichi era giusta, era la sola
tattica internazionalista, giacché non si basava sul timore pusillanime
della rivoluzione mondiale, né sullo «scetticismo» piccolo-borghese verso di
essa, né sul desiderio prettamente nazionalista di difendere la «propria»
patria (la patria della propria borghesia) e di «infischiarcene» di tutto il
resto; si fondava sulla valutazione giusta
(e universalmente riconosciuta prima della guerra, prima dell'apostasia dei
socialsciovinisti e dei socialpacifisti) della situazione rivoluzionaria europea.
Questa tattica era la sola tattica internazionalista, giacché realizzava il
massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare, appoggiare, suscitare
la rivoluzione in tutti i paesi. Questa
tattica è stata giustificata dal suo immenso successo, giacché il bolscevismo
(non certo a causa dei meriti dei bolscevichi russi, ma della profonda e
generale simpatia delle masse per
questa tattica, rivoluzionaria nei fatti) è diventato bolscevismo mondiale, ha dato un'idea, una teoria,
un programma, una tattica che si distinguono concretamente, praticamente dal
socialpacifismo. Il bolscevismo ha dato
il colpo di grazia alla vecchia imputridita Internazionale degli
Scheidemann e dei Kautsky, dei Renaudel e dei Longuet, degli Henderson e dei
MacDonald che si pesteranno l'un l'altro i piedi sognando l'«unità» e cercando
di risuscitare un cadavere. Il bolscevismo ha
creato le basi ideologiche e tattiche di una III Internazionale veramente
proletaria e comunista, che tenga conto ad un tempo dei risultati ottenuti nel
periodo della pace e dell'esperienza dell'epoca
delle rivoluzioni già iniziata.
Il
bolscevismo ha reso popolare in tutto il mondo l'idea della «dittatura del
proletariato», ha tradotto questi termini prima dal latino in russo e poi in tutte le lingue del mondo, mostrando con
l'esempio del potere sovietico che, anche in un paese arretrato, gli operai
e i contadini poveri, anche i meno sperimentati, i meno istruiti, i meno
abituati all'organizzazione, sono stati in
grado, per un anno intiero, tra difficoltà immense, lottando contro gli
sfruttatori (sostenuti dalla borghesia di tutto
il mondo), di mantenere il potere dei lavoratori, di creare una democrazia
incomparabilmente più elevata e larga di tutte le precedenti democrazie del
mondo e di avviare al lavoro creativo
decine di milioni di operai e di contadini per l'attuazione pratica del
socialismo.
Il
bolscevismo ha di fatto contribuito a sviluppare la rivoluzione proletaria in
Europa e in America più potentemente di quanto sia riuscito sino ad oggi a farlo
qualsiasi altro partito in qualsiasi altro paese. Mentre di giorno in giorno
diventa sempre più palese agli operai di tutto il mondo che la tattica degli
Scheidemann e dei Kautsky non li ha liberati dalla guerra imperialista e dalla
schiavitù salariata a profitto della borghesia imperialista, e che questa
tattica non può essere un modello valido per tutti i paesi, di giorno in giorno
diventa più palese alle masse proletarie di tutto il mondo che il bolscevismo
ha indicato la via giusta per salvaguardarsi dagli orrori della guerra e
dell'imperialismo, che il bolscevismo può essere un modello di tattica valido per tutti.
La
rivoluzione proletaria matura a vista d'occhio, non solo in tutta l'Europa, ma
in tutto il mondo, e la vittoria del proletariato in Russia l'ha favorita,
affrettata, appoggiata. Tutto ciò non basta per la completa vittoria del
socialismo? Certo, non basta! Un solo paese non può fare di più. Tuttavia, per
merito del potere sovietico, questo paese da solo ha fatto tanto che, se anche
domani l'imperialismo mondiale schiacciasse il potere sovietico russo grazie ad
un accordo, mettiamo, tra l'imperialismo tedesco e l'imperialismo
anglo-francese, anche in questo caso, il peggiore dei casi, la tattica
bolscevica sarebbe tuttavia stata di grandissima utilità per il socialismo e
avrebbe promosso lo sviluppo dell'invincibile rivoluzione mondiale.
Come
già abbiamo detto, il libro di Kautsky, se il titolo riflettesse fedelmente il
contenuto, dovrebbe intitolarsi non La
dittatura del proletariato ma Rimasticatura degli attacchi borghesi contro
i bolscevichi.
Il
nostro teorico ci riscodella le antiche «teorie» dei menscevichi sul carattere
borghese della rivoluzione russa, cioè la vecchia deformazione del marxismo (respinta da Kautsky nel 1905!) ad opera
dei menscevichi. Dovremo soffermarci su questa questione, per quanto tedioso
ciò possa essere per i marxisti russi.
La
rivoluzione russa è una rivoluzione borghese, dicevano tutti i marxisti russi
prima del 1905. I menscevichi, sostituendo al marxismo il liberalismo, ne
deducevano che il proletariato non doveva andare al di là di ciò che era
accettabile alla borghesia e doveva fare una politica d'intesa con la
borghesia. I bolscevichi dicevano che questa era una teoria borghese liberale.
La borghesia si sforza di procedere alla riorganizzazione dello Stato in modo
borghese, riformista, e non in modo
rivoluzionario, conservando, per quanto è possibile, la monarchia, la grande
proprietà fondiaria, ecc. Il proletariato deve compiere la rivoluzione
democratica borghese sino in fondo, senza lasciarsi «legare le mani» dal
riformismo borghese. I bolscevichi formulavano i rapporti delle forze di classe nella rivoluzione borghese in
questo modo: il proletariato, unendo a sé i contadini, neutralizza la borghesia
liberale e distrugge completamente la monarchia, le vestigia del Medioevo, la
proprietà fondiaria.
E'
appunto nell'alleanza del proletariato con i contadini in generale che si rivela il carattere borghese della rivoluzione,
perché i contadini nel loro insieme sono dei piccoli produttori, che stanno sul
terreno della produzione mercantile. In seguito, aggiungevano i bolscevichi, il
proletariato attira a sé tutto il semiproletariato
(tutti gli sfruttati e i lavoratori), neutralizza i contadini medi e abbatte la borghesia, ed è ciò che
distingue la rivoluzione socialista dalla rivoluzione democratica borghese (si
veda il mio opuscolo del 1905: Due
tattiche, ristampato nella raccolta In
dodici anni, Pietroburgo, 1907).
Kautsky
nel 1905 partecipò indirettamente alla controversia. Ad una domanda dell'allora
menscevico Plekhanov rispose esprimendo una opinione sostanzialmente opposta a quella di Plekhanov, che
allora suscitò i caustici sarcasmi della stampa bolscevica. Oggi Kautsky non
dice nemmeno una parola sulle
discussioni di quel tempo (teme che le sue stesse dichiarazioni lo
smascherino!), privando così il lettore tedesco della possibilità di
comprendere il nocciolo della questione. Il signor Kautsky non poteva nel 1918
raccontare agli operai tedeschi di essere stato nel 1905 un assertore
dell'alleanza degli operai con i contadini e non con la borghesia liberale, né
potrebbe dire quali condizioni aveva sostenuto e quale programma aveva proposto
per quest'alleanza.
Oggi
Kautsky, facendo macchina indietro, con il pretesto di fare «un'analisi
economica» sostiene, con fiere espressioni sul «materialismo storico», la
sottomissione degli operai alla borghesia e, con l'aiuto di citazioni del
menscevico Maslov, rimastica le
vecchie idee liberali dei menscevichi. Le citazioni dovrebbero servire ad
illustrare l'idea, nuova di zecca, dell'arretratezza della Russia, ma da questa
idea nuova ne deduce una vecchia, quella secondo cui in una rivoluzione
borghese non si può andare più lontano della borghesia! E ciò nonostante tutto
quello che hanno detto Marx ed Engels confrontando la rivoluzione borghese del
1789-1793 in Francia con la rivoluzione borghese del 1848 in Germania!
Prima
di passare al principale «argomento», al nocciolo dell'«analisi economica» di
Kautsky, notiamo che fin dalle prime frasi si rivela una singolare confusione e
superficialità di idee.
«La
base economica della Russia - annuncia il nostro "teorico" - è oggi ancora
l'agricoltura, e precisamente la piccola produzione contadina. Essa dà da
vivere a circa i quattro quinti se non ai cinque sesti della popolazione» (p.
45). Innanzi tutto, caro teorico, avete
voi riflettuto a quanti possono essere
gli sfruttatori tra questa massa di piccoli produttori? Naturalmente non più di
un decimo del loro numero complessivo, e nelle città, ove la grande azienda è
più sviluppata, anche meno. Prendiamo pure un numero inverosimilmente elevato,
ammettiamo che un quinto dei piccoli produttori siano sfruttatori a cui è
negato il diritto di voto. Anche in questo caso risulterebbe che i bolscevichi,
che formavano il 66% del V Congresso dei Soviet, rappresentavano la maggioranza
della popolazione. E a ciò si deve ancora aggiungere che tra i
socialisti-rivoluzionari di sinistra una parte notevole è sempre stata per il
potere dei Soviet o, meglio, che in linea di principio tutti i
socialisti-rivoluzionari di sinistra erano per il potere dei Soviet, e quando
una parte di essi tentò l'avventura della rivolta del luglio 1918, due nuovi
partiti si staccarono dal vecchio: quello dei «comunisti populisti» e quello
dei «comunisti rivoluzionari» [5] (fra i
socialisti-rivoluzionari di sinistra più noti, che già dal vecchio partito
erano stati proposti per le più importanti cariche statali, al primo dei
menzionati partiti appartiene per esempio Sax, al secondo Kolegaiev). Kautsky stesso confuta
quindi inavvertitamente la ridicola leggenda secondo cui i bolscevichi
avrebbero con sé soltanto una minoranza della popolazione.
In secondo luogo, avete voi, caro
teorico, riflettuto sul fatto che il piccolo produttore contadino oscilla inevitabilmente
tra il proletariato e la borghesia? Questa verità marxista, confermata da
tutta la recentissima storia europea, è stata molto opportunamente
«dimenticata» da Kautsky, perché riduce in polvere tutta la «teoria» menscevica
da lui ribadita! Se Kautsky non l'avesse «dimenticata», non avrebbe potuto
negare la necessità della dittatura del proletariato in un paese ove
predominano i piccoli produttori contadini.
Esaminiamo il contenuto essenziale
dell'«analisi economica» del nostro teorico:
Che il potere sovietico sia una
dittatura, è cosa innegabile, dice Kautsky,
E, oltremodo soddisfatto di un
ragionamento così profondo e intelligente, il buon Kautsky tenta di fare dello
spirito: «Parrebbe dunque che l'attuazione meno dolorosa del socialismo sarebbe
assicurata se fosse messa nelle mani dei contadini» (p. 35).
Con grande ricchezza di particolari e
una serie di citazioni straordinariamente erudite prese dagli scritti del
semiliberale Maslov, il nostro teorico illustra questa idea nuova: che i
contadini sono interessati agli alti prezzi del grano, ai bassi salari degli
operai delle città, ecc. ecc. A proposito, queste idee nuove sono esposte in
modo tanto più tedioso quanto meno si presta attenzione ai fenomeni veramente
nuovi verificatisi dopo la guerra come, per esempio, al fatto che i contadini
esigono in cambio del grano non più denaro ma merci, che essi mancano di
attrezzi che non si possono procurare in misura sufficiente a nessun prezzo. Ma
ritorneremo in particolare su questo argomento.
Dunque Kautsky accusa i bolscevichi,
partito del proletariato, di avere messo la dittatura e l'attuazione del
socialismo nelle mani dei contadini piccolo-borghesi. Benissimo, signor
Kautsky! Quale doveva dunque essere, secondo la vostra illuminata opinione,
l'atteggiamento del partito proletario verso i contadini piccolo-borghesi?
Su ciò il nostro teorico ha preferito
tacere, memore forse del proverbio: «La parola è d'argento, il silenzio è
d'oro». Tuttavia si è tradito con il seguente ragionamento:
Quale mordace ironia! È il tipo di
ironia che in Russia si può cogliere sulla bocca di qualsiasi borghese: tutti
costoro ghignano e sghignazzano nel vedere che la Repubblica sovietica ammette
apertamente l'esistenza di contadini poveri. Essi deridono il socialismo. È
affar loro. Ma il «socialista» che può ridere del fatto che da noi, dopo
quattro anni di una guerra delle più devastatrici, vi sono dei contadini poveri
— e ve ne saranno ancora per molto tempo —, un simile «socialista» non poteva
nascere che nell'atmosfera di una apostasia di massa.
E ancora. Udite:
Naturalmente il socialista e marxista
Kautsky è profondamente sdegnato all'idea che un simile provvedimento possa
estendersi al di là dei dintorni delle grandi città (e da noi si estende a
tutto il paese). Il socialista e marxista Kautsky sentenzia con l'inimitabile,
impareggiabile, ammirevole freddezza (od ottusità) del filisteo: ...«Esse [le
espropriazioni dei contadini agiati] introducono un nuovo elemento di
perturbazione e di guerra civile nel processo produttivo » ...(la guerra civile
introdotta nel «processo produttivo»: questo è già qualche cosa di
soprannaturale!) ...«che per essere risanato ha urgentemente bisogno di
tranquillità e di sicurezza» (p. 49).
Ma sì, il marxista e socialista
Kautsky deve per forza sospirare e spargere lacrime sulla perduta tranquillità
e sicurezza degli sfruttatori e degli speculatori di grano, i quali nascondono
le loro eccedenze, boicottano la legge sul monopolio del grano e riducono alla
fame la popolazione della città. Noi siamo tutti socialisti, marxisti e
internazionalisti — gridano in coro i signori Kautsky, gli Heinrich Weber (a Vienna), i Longuet
(a Parigi), i MacDonald (a Londra) e altri — noi siamo tutti per la rivoluzione
della classe operaia, ma... ma fatta in modo da non turbare la tranquillità e
la sicurezza degli speculatori di grano! E copriamo questo immondo servilismo
verso i capitalisti richiamandoci «marxisticamente» al «processo di
produzione»... Se questo è marxismo, che cosa chiamiamo allora servilismo verso
la borghesia?
Vedete che cosa succede al nostro
teorico. Egli accusa i bolscevichi di gabellare la dittatura dei contadini per
dittatura del proletariato. E al tempo stesso ci incolpa di portare la guerra
civile nelle campagne (ciò che noi riteniamo un merito) e di mandare nei
villaggi reparti di operai armati, i quali dichiarano apertamente di realizzare
«la dittatura del proletariato e dei contadini poveri», aiutano questi ultimi,
confiscano agli speculatori e ai contadini ricchi le eccedenze di grano, che
costoro nascondono violando la legge sul monopolio del grano.
Da una parte il nostro teorico
marxista è per la democrazia pura, per la sottomissione della classe
rivoluzionaria, guida dei lavoratori e sfruttati, alla volontà della
maggioranza della popolazione (ivi inclusi quindi gli sfruttatori). Dall'altra
parte egli cerca di dimostrare, contro di noi, che il carattere della
rivoluzione è inevitabilmente borghese, perché i contadini nel loro insieme
stanno sul terreno dei rapporti sociali borghesi, e al tempo stesso ha la
pretesa di difendere il punto di vista proletario, classista, marxista!
Invece di un'«analisi economica»
abbiamo un pasticcio, un minestrone di prim'ordine. Invece del marxismo,
frammenti di dottrine liberali e la predicazione del servilismo verso la
borghesia e verso i kulak. La questione che Kautsky imbroglia fu messa
completamente in chiaro dai bolscevichi fin dal 1905. Sì, la nostra rivoluzione
è borghese, finché marciamo con i contadini nel loro insieme. Ce
ne siamo resi conto molto chiaramente, lo abbiamo ripetuto centinaia e migliaia
di volte a partire dal 1905, e non abbiamo mai cercato né di saltare questo
gradino necessario del processo storico, né di abolirlo con dei decreti. Gli
sforzi di Kautsky per «conforderci» su questo punto rivelano unicamente la
confusione delle sue idee e il timore di ricordare ciò ch'egli scrisse nel
1905, quando non era ancora un rinnegato.
Ma nel 1917, dal mese di aprile, molto
tempo prima della rivoluzione d'Ottobre, prima che prendessimo il potere,
dicevamo apertamente e spiegavamo al popolo che la rivoluzione non potrà
fermarsi a questo punto, perché il paese è andato avanti, il capitalismo è
andato avanti, la rovina ha raggiunto proporzioni senza precedenti, tali che esigono
(lo si voglia o no) dei passi avanti, verso il socialismo. Perché
altrimenti è impossibile andare avanti, salvare il paese spossato dalla
guerra, alleviare le sofferenze dei lavoratori e degli sfruttati.
È avvenuto proprio così come avevamo
detto. Il corso della rivoluzione ha confermato la giustezza del nostro
ragionamento. Dapprincipio insieme a «tutti» i contadini contro la
monarchia, contro i grandi proprietari fondiari, contro il regime medioevale (e
pertanto la rivoluzione resta borghese, democratica borghese). In seguito, insieme
ai contadini poveri, insieme ai semiproletari, insieme a tutti gli sfruttati, contro
il capitalismo, compresi i contadini ricchi, i kulak, gli speculatori, e
pertanto la rivoluzione diventa socialista. Tentar di innalzare
artificialmente una muraglia cinese tra l'una e l'altra, di separarle l'una
dall'altra, con qualche cosa che non sia il grado di preparazione del
proletariato e il grado della sua unione con i contadini poveri, è il peggiore
pervertimento del marxismo, lo svilimento del marxismo, la sostituzione ad esso
del liberalismo. Significherebbe far passare di sottomano la difesa reazionaria
della borghesia contro il proletariato socialista mediante riferimenti
pseudoscientifici al carattere progressivo della borghesia in confronto al
feudalesimo.
I Soviet rappresentano fra l'altro
una forma e un tipo di democrazia infinitamente più elevati appunto perché,
raggruppando e facendo partecipare alla politica la massa degli operai e dei
contadini, essi costituiscono il barometro più vicino al «popolo» (nel
senso in cui Marx nel 1871 [6] parlava di una rivoluzione
effettivamente popolare), più sensibile del grado e dello sviluppo della
maturità politica, di classe, delle masse. La Costituzione sovietica non è
stata redatta secondo un «piano» qualsiasi, non è stata compilata negli uffici,
non è stata imposta ai lavoratori dai giuristi della borghesia. No, questa
Costituzione è sorta dallo sviluppo della lotta di classe a
misura che gli antagonismi di classe maturavano. Ciò è dimostrato per
l'appunto dai fatti che Kautsky è costretto a riconoscere.
Dapprincipio i Soviet raggruppavano i
contadini nel loro insieme. La mancanza di cultura, l'arretratezza, l'ignoranza
proprie appunto dei contadini poveri facevano si che la direzione venisse
lasciata nelle mani dei kulak, dei ricchi, dei capitalisti, della piccola
borghesia, degli intellettuali piccolo-borghesi. Fu l'epoca del dominio della
piccola borghesia, dei menscevichi, dei socialisti-rivoluzionari (soltanto
degli imbecilli o dei rinnegati sul tipo di Kautsky possono considerare
socialisti gli uni e gli altri). Necessariamente, inevitabilmente, la piccola
borghesia oscillava tra la dittatura della borghesia (Kerenski, Kornilov, Savinkov) e la dittatura del
proletariato, perché, dati i caratteri fondamentali della sua situazione
economica, la piccola borghesia è incapace di qualsiasi attività indipendente.
Incidentalmente, Kautsky rinnega completamente il marxismo, quando,
nell'analisi della rivoluzione russa, si limita al concetto giuridico, formale,
di «democrazia», di cui la borghesia si serve per mascherare il proprio dominio
e per ingannare le masse, e dimentica che in realtà «democrazia»,
significa talora dittatura della borghesia, talora riformismo impotente
della piccola borghesia che si sottomette a questa dittatura, ecc. Secondo
Kautsky risulta che in un paese capitalistico vi erano dei partiti borghesi, vi
era un partito proletario (i bolscevichi) che guidava la maggioranza, la massa
del proletariato, ma non vi erano partiti piccolo-borghesi! I
menscevichi e i socialisti-rivoluzionari non avrebbero avuto radici di
classe, radici piccolo-borghesi!
Le esitazioni della piccola
borghesia, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari illuminarono le masse
e indussero l'immensa maggioranza di queste masse, tutti gli «strati
inferiori», tutti i proletari e semiproletari ad abbandonare questi «capi». I
bolscevichi ottennero la maggioranza nei Soviet (a Pietrogrado e a Mosca verso
l'ottobre del 1917), mentre nelle file dei socialisti-rivoluzionari e dei
menscevichi la scissione si approfondiva.
La vittoria della rivoluzione
bolscevica segnò la fine delle esitazioni, significò la distruzione completa
della monarchia e della grande proprietà fondiaria (prima della rivoluzione di
Ottobre quest'ultima non era stata distrutta). La rivoluzione borghese
fu da noi condotta sino in fondo. I contadini nel loro insieme ci
seguirono. Il loro antagonismo nei confronti del proletariato socialista non
poteva manifestarsi immediatamente. I Soviet raggruppavano i contadini nella
loro totalità. La divisione in classi all'interno della massa contadina non
era ancora matura, non si era ancora esteriorizzata.
Questo ma la vita stessa insegnò ai contadini
poveri che i loro interessi erano inconciliabili con quelli dei kulak, dei
ricchi, della borghesia rurale. I «socialisti-rivoluzionari di sinistra», come
ogni partito piccolo-borghese, rispecchiavano le esitazioni delle masse, e si
scissero appunto nell'estate del 1918: una parte andò con i cecoslovacchi
(rivolta di Mosca, durante la quale Proscian,
impadronitosi — per un'ora! — del telegrafo, annunciò alla Russia la caduta dei
bolscevichi; poi il tradimento di Muraviov,
comandante supremo delle truppe che combattevano contro i cecoslovacchi, ecc);
l'altra, menzionata più sopra, rimase con i bolscevichi.
L'aggravamento della situazione
alimentare delle città imponeva in modo sempre più acuto il problema del
monopolio dei cereali (problema che il teorico Kautsky «ha dimenticato» nella
sua analisi economica, la quale ripete le cose trite e ritrite lette dieci anni
fa in Maslov!).
Il vecchio Stato dei grandi
proprietari fondiari e della borghesia, e perfino lo Stato democratico
repubblicano, mandavano nelle campagne reparti armati, che di fatto erano a
disposizione della borghesia. Questo il signor Kautsky non lo sa! In ciò non
vede la «dittatura della borghesia». Dio ce ne scampi e liberi! Questa è
«democrazia pura», soprattutto se è sanzionata da un parlamento borghese! Che Avksentiev e S. Maslov, in compagnia
di Kerenski, di Tsereteli e di
altra gente del mondo dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi,
nell'estate e nell'autunno 1917 abbiamo fatto imprigionare dei membri dei
comitati della terra, di questo Kautsky «non ha sentito parlare», su questo
tace!
La verità è che lo Stato borghese che
attua la dittatura della borghesia per mezzo della repubblica democratica, non
può confessare di fronte al popolo di essere al servizio della borghesia, non
può dire la verità, è costretto a fingere.
Uno Stato del tipo della Comune, uno
Stato sovietico, dice invece apertamente e schiettamente al popolo la verità,
dichiara di essere la dittatura del proletariato e dei contadini poveri, e
attira a sé, appunto con questa verità, decine e decine di milioni di nuovi
cittadini che in tutte le repubbliche democratiche sono oppressi e che i Soviet
fanno partecipare alla vita politica, alla democrazia, alla gestione
dello Stato. La Repubblica sovietica manda nelle campagne reparti di operai
armati, formati soprattutto dagli operai più avanzati, quelli delle capitali.
Questi operai portano il socialismo nei villaggi, conquistano i contadini
poveri li organizzano, li istruiscono e li aiutano a schiacciare la
resistenza della borghesia.
Tutti coloro che conoscono i fatti e
sono stati nelle campagne dicono che soltanto nell'estate e nell'autunno del
1918 le nostre campagne hanno compiuto la «rivoluzione d'Ottobre» (cioè la
rivoluzione proletaria). Siamo giunti a una svolta. All'ondata delle rivolte
dei kulak subentra lo slancio dei contadini poveri, lo sviluppo dei «comitati
dei contadini poveri». Nell'esercito il numero degli operai commissari,
ufficiali, comandanti di divisione e di armata, aumenta. Nel momento in cui lo
sciocco Kautsky, spaventato dalla crisi del luglio 1918 [7] e
dalle alte grida della borghesia, corre dietro a questa come un cagnolino e
scrive un opuscolo convinto che i bolscevichi sono alla vigilia di essere
rovesciati dai contadini; nel momento in cui questo sciocco vede nella
defezione dei socialisti-rivoluzionari di sinistra un «restringimento» (p. 37)
della cerchia di coloro che sostengono i bolscevichi, in quello stesso momento l'effettiva
cerchia dei sostenitori del bolscevismo si allarga infinitamente, perché
decine e decine di milioni di contadini poveri, liberatisi dalla tutela e
dall'influenza dei kulak e della borghesia rurale, si svegliano a una vita
politica indipendente.
Abbiamo perduto centinaia di
socialisti-rivoluzionari, di intellettuali senza carattere e di contadini
kulak, abbiamo conquistato milioni di rappresentanti dei contadini poveri [3*].
Un anno dopo la rivoluzione
proletaria nelle capitali, è scoppiata, sotto l'influenza e con l'aiuto di
questa rivoluzione, la rivoluzione proletaria nelle campagne più remote, che ha
definitivamente consolidato il potere dei Soviet e il bolscevismo e ha
definitivamente dimostrato che nell'interno del paese non vi sono forze capaci
di opporvisi.
Dopo aver portato a termine, con i
contadini nella loro totalità, la rivoluzione democratica borghese, il
proletariato russo, appena gli è stato possibile di scindere le campagne, di
unire a sé i proletari e i semiproletari rurali e di raggrupparli nella lotta
contro i kulak e la borghesia, compresa la borghesia contadina, è passato
definitivamente alla rivoluzione socialista.
Se il proletariato bolscevico delle
capitali e dei grandi centri industriali non avesse saputo raggruppare attorno
a sé i contadini poveri contro i contadini ricchi, questa sarebbe stata la
prova che la Russia non «è matura» per la rivoluzione socialista, i contadini
sarebbero rimasti «un tutto unico», sarebbero cioè rimasti sotto la direzione
economica, politica e morale dei kulak, dei ricchi, della borghesia, e la
rivoluzione non sarebbe uscita dai limiti della rivoluzione democratica
borghese. (E anche allora — sia detto tra parentesi — non sarebbe stato
dimostrato che il proletariato non avrebbe dovuto prendere il potere, giacché
soltanto il proletariato ha condotto effettivamente a termine la rivoluzione
democratica borghese, soltanto il proletariato ha fatto qualche cosa di serio
per rendere prossima la rivoluzione proletaria mondiale, soltanto il
proletariato ha creato lo Stato sovietico, secondo passo — dopo la Comune —
verso lo Stato socialista).
D'altra parte, se il proletariato
bolscevico nell'ottobre e nel novembre 1917 avesse tentato immediatamente —
senza attendere la differenziazione delle classi nelle campagne, senza prepararla
e attuarla — di «decretare» la guerra civile o l'«instaurazione del
socialismo» nelle campagne, se avesse tentato di fare a meno del blocco
(alleanza) temporaneo con i contadini in generale, di fare a meno di una serie
di concessioni ai contadini medi ecc, questa sarebbe stata una deformazione blanquista del marxismo, sarebbe
stato un tentativo della minoranza d'imporre la propria volontà alla
maggioranza, sarebbe stata un'assurdità teorica, un'incomprensione del fatto
che la rivoluzione dei contadini nel loro insieme è ancora una
rivoluzione borghese, e che in un paese arretrato è impossibile trasformarla in
rivoluzione socialista senza una serie di stadi intermedi, di gradi
transitori.
In questo importantissimo problema
teorico e politico Kautsky ha tutto confuso, e in pratica ha dimostrato
semplicemente di essere un lacchè della borghesia, che gracchia contro la
dittatura del proletariato.
Kautsky ha portato la stessa, se non
maggiore confusione, in un'altra interessantissima e importantissima questione:
l'attività legislativa della Repubblica sovietica nel campo della
trasformazione agraria — questa difficilissima e al tempo stesso
importantissima trasformazione socialista — è stata impostata in linea di
principio in modo giusto ed eseguita in modo consono allo scopo? Saremmo
infinitamente grati a ogni marxista dell'Europa occidentale che, dopo aver
studiato almeno i documenti più importanti, sottoponesse a critica la
nostra politica. Egli ci renderebbe un grande servizio, e aiuterebbe in pari
tempo la rivoluzione che sta maturando in tutto il mondo. Ma Kautsky, invece di
una critica ci offre un'incredibile confusione teorica, che trasforma il
marxismo in liberalismo e che praticamente si riduce a una serie di attacchi
oziosi, rabbiosi e volgari contro il bolscevismo. Giudichi il lettore:
Kautsky se la cava come sempre col
famoso: si deve riconoscere, senza riconoscere, pur riconoscendo. Egli pone una
accanto all'altra diverse soluzioni, senza pensare al problema, il solo
reale, il solo marxista: quali devono essere gli stadi intermedi nel
passaggio dal capitalismo al comunismo in queste o quelle particolari condizioni?
In Russia vi sono operai agricoli salariati, ma il loro numero è limitato, e
Kautsky non tocca affatto il problema posto dal potere sovietico: come
effettuare il passaggio alla coltivazione della terra in comune e per mezzo di
associazioni. La cosa più curiosa è tuttavia che Kautsky vuol vedere «qualcosa
di socialistico» nella cessione in affitto di piccoli appezzamenti. In realtà
questa è una parola d'ordine piccolo-borghese in cui non vi è nulla «di
socialistico». Se lo «Stato» che concede in affitto la terra non è uno
Stato del tipo della Comune, ma una repubblica parlamentare borghese (e questo
è appunto l'assunto costante di Kautsky), l'affitto della terra in piccoli
appezzamenti sarà una tipica riforma liberale.
Kautsky tace il fatto che il potere
sovietico ha abolito qualsiasi proprietà privata della terra. E vi è di
peggio. Egli commette un'incredibile falsificazione citando i decreti del
potere sovietico in modo da ometterne i punti essenziali.
Dopo aver dichiarato che «la piccola
produzione aspira alla proprietà privata assoluta dei mezzi di produzione», che
l'Assemblea costituente sarebbe stata la «sola autorità» capace di impedire la
ripartizione (affermazione che in Russia muoverà a riso giacché è a tutti noto
che gli operai e i contadini riconoscono unicamente l'autorità dei
Soviet e che la Costituente è diventata la parola d'ordine dei cecoslovacchi e
dei proprietari fondiari), Kautsky continua:
Dopo aver citato solo questi due
punti, Kautsky conclude:
Eccovi un saggio della «critica» di
Kautsky! Eccovi un lavoro «scientifico» che assomiglia piuttosto a un falso. Si
vuole indurre il lettore tedesco a credere che, nella questione della proprietà
privata della terra, i bolscevichi abbiano capitolato di fronte ai contadini!
Che i bolscevichi abbiano lasciato che i contadini (delle «singole volost»)
facessero quel che volevano ciascuno per conto suo!
In realtà il decreto citato da
Kautsky — primo decreto, emanato il 26 ottobre 1917 (vecchio calendario) — non
conteneva due ma cinque articoli, più otto articoli del Mandato [9] il quale — è detto nel decreto — «deve servire di guida».
L'articolo 3 del decreto dice che le
aziende passano «al popolo», che sono obbligatori l'«ifiventario preciso
di tutti i beni soggetti a confisca» e la «più rigorosa protezione
rivoluzionaria». E nel Mandato è detto che il «diritto di proprietà
privata della terra è abolito per sempre», «che le tenute modello» «non sono
soggette a divisione», che «tutte le scorte vive e morte delle terre
confiscate passano senza alcun indennizzo in esclusivo godimento dello Stato o
della comune, a seconda della loro grandezza e importanza», che «tutta la terra
passa al fondo agrario di tutto il popolo».
E ancora: contemporaneamente allo
scioglimento dell'Assemblea costituente (5 gennaio 1918) il III Congresso dei
Soviet approvò la «dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e
sfruttato», che ora fa parte della legge fondamentale della Repubblica
sovietica. L'articolo 2, paragrafo 1, di questa dichiarazione afferma che «la
proprietà privata della terra è abolita» e che «le tenute e le imprese agricole
modello sono dichiarate patrimonio nazionale».
Il riferimento all'Assemblea
costituente non è quindi rimasto lettera morta, poiché un'altra
assemblea rappresentativa nazionale, che agli occhi dei contadini gode di
un'autorità incomparabilmente maggiore, s'assunse l'incarico di risolvere la
questione agraria.
E ancora: il 6 (19) febbraio 1918 fu
promulgata la lègge sulla socializzazione della terra, in cui si conferma
ancora una volta l'abolizione di ogni proprietà privata della terra, si mettono
a disposizione delle autorità sovietiche la terra e tutte le scorte
delle aziende private, sotto il controllo del potere sovietico federale. La
terra viene messa a disposizione per
Istituendo il principio del
godimento egualitario del suolo, alla domanda fondamentale: «Chi ha
diritto al godimento della terra?», la legge risponde:
Il lettore vede come Kautsky abbia
completamente travisato le cose e dia al lettore tedesco un quadro
assolutamente falso della politica agraria e della legislazione agraria dello
Stato proletario in Russia.
Kautsky non ha saputo nemmeno
impostare i problemi teorici importanti, fondamentali!
Questi problemi sono: Per la prima questione è necessario
innanzitutto stabilire i due seguenti fatti fondamentali: a) i bolscevichi;
tenuto conto dell'esperienza del 1905 (rimando, per esempio, al mio libro sulla
questione agraria nella prima rivoluzione russa), avevano già segnalato
l'importanza democratica progressiva, democratica rivoluzionaria della parola
d'ordine: godimento egualitario della terra, e nel 1917, prima della
rivoluzione d'Ottobre, l'avevano detto in modo assolutamente preciso; b)
promulgando la legge concernente la socializzazione della terra — legge di cui
l'«anima» è la parola d'ordine del godimento egualitario della terra — i
bolscevichi dichiararono molto esplicitamente ed esattamente: quest'idea non è
nostra, noi non siamo d'accordo con questa parola d'ordine, ma riteniamo nostro
dovere applicarla, perché è la rivendicazione della schiacciante maggioranza
dei contadini. E la maggioranza dei lavoratori deve essa stessa superare
queste idee e queste rivendicazioni, che non possono essere né «abolite» né
«scavalcate». Noi bolscevichi aiuteremo i contadini a superare le parole
d'ordine piccolo-borghesi, a passare quanto più rapidamente e facilmente
sarà possibile alle parole d'ordine socialiste.
Un teorico marxista che volesse aiutare la rivoluzione operaia con la sua
analisi scientifica, dovrebbe dire innanzitutto se è vero che l'idea del
godimento egualitario della terra ha un'importanza democratica rivoluzionaria,
in quanto porta a termine la rivoluzione democratica borghese. E in
secondo luogo se hanno avuto ragione i bolscevichi di far approvare, votando a
favore (e osservandola nel modo più legale), la legge piccolo-borghese del
godimento egualitario della terra.
Kautsky non ha nemmeno saputo sottolineare il significato teorico della
questione!
Non gli sarebbe mai riuscito di confutare che l'idea del godimento
egualitario della terra ha un significato progressivo e rivoluzionario nella
rivoluzione democratica borghese. Questa rivoluzione non può andare più
lontano. Quando è giunta sino in fondo essa rivela alle masse tanto più
chiaramente, rapidamente e agevolmente la insufficienza delle soluzioni
democratiche borghesi, la necessità di uscire dai loro limiti e di passare al socialismo.
Sbarazzatisi dello zarismo e dei grandi proprietari fondiari, i contadini
sognano il godimento egualitario della terra, e nessuna forza al mondo avrebbe
potuto opporsi ai contadini liberatisi dei grandi proprietari fondiari e dello
Stato parlamentare borghese, repubblicano. I proletari dicono ai
contadini: noi vi aiuteremo a raggiungere il capitalismo «ideale», giacché il
godimento egualitario della terra è, dal punto di vista del piccolo produttore,
il capitalismo idealizzato. E al tempo stesso vi dimostreremo l'insufficienza
di questo sistema e la necessità del passaggio alla coltivazione collettiva
della terra.
Sarebbe stato interessante vedere come Kautsky avrebbe tentato di provare
che questo modo di dirigere la lotta dei contadini da parte del
proletariato era errato!
Ma Kautsky ha preferito eludere la questione...
Inoltre egli ha ingannato deliberatamente i lettori tedeschi tacendo il
fatto che nella legge sulla terra il potere sovietico ha dato un netto
vantaggio alle comuni e alle cooperative, che ha messo in primo piano.
Insieme ai contadini sino al compimento della rivoluzione democratica
borghese; insieme alla parte povera, proletaria e semiproletaria dei contadini,
avanti, verso la rivoluzione socialista! Questa fu la politica dei bolscevichi,
ed era la sola politica marxista.
Kautsky invece si confonde e non è nemmeno capace di impostare una sola
questione! Da un lato egli non osa dire che i proletari avrebbero dovuto
separarsi dai contadini sul problema del godimento egualitario della terra,
perché sente l'assurdità di una simile rottura (inoltre, nel 1905, quando non
era ancora un rinnegato. Kautsky sosteneva esplicitamente la necessità dell'alleanza
degli operai e dei contadini, come condizione per la vittoria della
rivoluzione). Dall'altro lato cita con compiacenza le banalità liberali del
menscevico Maslov, — il quale «dimostra» che, dal punto di vista del
socialismo, l'eguaglianza piccolo-borghese è utopistica e reazionaria — e
passa sotto silenzio il carattere progressivo e rivoluzionario, dal punto di
vista della rivoluzione democratica borghese, della lotta piccolo-borghese
per l'eguaglianza e il godimento egualitario della terra.
Ne risulta una confusione senza fine. Notate che Kautsky (nel 1918) insiste
sul carattere borghese della rivoluzione russa. Kautsky (nel 1918)
esige: non superate questi limiti! E lo stesso Kautsky vede «qualcosa di
socialistico» (per la rivoluzione borghese) nella riforma
piccolo-borghese, che assegna piccoli appezzamenti ai contadini poveri (cioè
in un avvicinamento al godimento egualitario della terra)!!
Per di più Kautsky rivela l'incapacità filistea di tener conto della
politica reale di un partito che ha una fisionomia ben determinata. Egli cita
le frasi del menscevico Maslov e si rifiuta di vedere la politica
reale perseguita dal partito menscevico nel 1917, quando questo partito,
in «coalizione» con i grandi proprietari fondiari e con i cadetti, difendeva di
fatto la riforma agraria liberale e l'accordo con i grandi proprietari
fondiari (la prova? gli arresti dei membri dei comitati della terra e il
progetto di legge di S. Maslov).
A Kautsky è sfuggito che P. Maslov, anziché incitare i contadini ad abbattere
in modo rivoluzionario i grandi proprietari fondiari, dietro alle
frasi sul carattere reazionario e utopistico dell'eguaglianza piccolo-borghese,
nasconde in realtà la politica menscevica di compromesso tra i contadini
e i grandi proprietari fondiari (aiuta cioè i grandi proprietari fondiari ad
ingannare i contadini).
Bel «marxista» davvero, questo Kautsky!
Precisamente i bolscevichi tennero rigorosamente conto della differenza tra
rivoluzione democratica borghese e rivoluzione socialista: portando a termine
la prima, essi aprivano le porte alla seconda. Questa è l'unica politica
rivoluzionaria, l'unica politica marxista.
Invano Kautsky ripete le scipitaggini liberali: «In nessun luogo ancora e
mai i piccoli contadini sono passati alla produzione collettiva sotto
l'influenza di convinzioni teoriche» (p. 50).
Estremamente spiritoso!
Mai e in nessun luogo i piccoli contadini di un grande paese sono stati
sotto l'influenza d'uno Stato proletario.
Mai e in nessun luogo i piccoli contadini si sono spinti fino alla lotta di
classe aperta dei contadini poveri contro i contadini ricchi, sino ad una
guerra civile, in cui i poveri hanno l'appoggio propagandistico,
politico, economico e militare del potere statale proletario.
Mai e in nessun luogo la guerra ha arricchito a tal punto gli speculatori e
i ricchi, e al tempo stesso rovinato a tal punto le masse contadine.
Kautsky ripete cose fritte e rifritte, le mastica e rimastica, e teme anche
solo di pensare ai nuovi compiti della dittatura proletaria.
Ebbene, carissimo Kautsky, se i contadini non hanno attrezzi in
quantità sufficiente per la piccola produzione, e lo Stato proletario li aiuta
a procurarsi macchine per la coltivazione collettiva della terra, è forse
questa una «convinzione teorica»?
Passiamo al problema della nazionalizzazione della terra. I nostri
populisti, compresi tutti i socialisti-rivoluzionari di sinistra, negano che il
provvedimento da noi attuato sia la nazionalizzazione della terra. Teoricamente
hanno torto. Nella misura in cui rimaniamo nel quadro della produzione
mercantile e del capitalismo, abolire la proprietà privata della terra
significa nazionalizzare la terra. La parola «socializzazione» esprime soltanto
una tendenza, un desiderio, la preparazione del passaggio al socialismo.
Quale deve dunque essere l'atteggiamento dei marxisti nei confronti della
nazionalizzazione della terra?
Anche qui Kautsky non sa nemmeno impostare la questione teorica, oppure —
ciò ch'è ancor peggio — elude intenzionalmente il problema, benché egli conosca
— la letteratura russa ne fa fede — le vecchie discussioni tra i marxisti russi
sulla nazionalizzazione, sulla municipalizzazione (consegna delle grandi tenute
alle amministrazioni autonome locali), sulla ripartizione della terra.
È un vero insulto al marxismo l'affermare, come fa Kautsky, che il passaggio
delle grandi tenute allo Stato e la loro cessione in affitto, sotto forma di
piccoli appezzamenti, ai contadini con poca terra realizzerebbe «qualcosa di
socialistico». Abbiamo già detto che qui non c'è l'ombra di socialismo. Ma ciò
non basta: non c'è neppure la rivoluzione democratica borghese condotta
a termine. A Kautsky è accaduta la grave disgrazia di fidarsi dei menscevichi.
E ne è risultato un fatto curioso: Kautsky, il quale sostiene che la nostra
rivoluzione ha un carattere borghese e accusa i bolscevichi di essersi fitti in
testa di andare verso il socialismo, presenta egli stesso una riforma
liberale in guisa di socialismo, senza portare questa riforma sino al
punto di eliminare tutto ciò che di medioevale esiste nei rapporti di proprietà
terriera! In Kautsky, come nei suoi consiglieri menscevichi, si rivela il
difensore della borghesia liberale, che
teme la rivoluzione, e non già il sostenitore di una rivoluzione democratica
borghese conseguente.
Infatti, perché si dovrebbero
trasformare in proprietà dello Stato soltanto le grandi tenute e non tutta la
terra? La borghesia liberale ottiene così la maggiore possibilità di conservare
l'antico stato di cose (cioè il minimo di coerenza della rivoluzione) e la
massima facilità di ritornare al passato. La borghesia radicale, quella cioè
che vuole condurre a termine la rivoluzione borghese, formula la parola
d'ordine della nazionalizzazione della terra.
Kautsky, che in tempi molto molto
remoti — circa venti anni fa — scrisse un mirabile trattato marxista sulla
questione agraria, non può ignorare le indicazioni di Marx, secondo le quali la
nazionalizzazione della terra è appunto una parola d'ordine conseguente
della borghesia. Kautsky non può ignorare la polemica di Marx con Rodbertus e le magnifiche pagine di
Marx nelle Teorie del plusvalore in cui è spiegata in modo
particolarmente chiaro l'importanza rivoluzionaria che la nazionalizzazione
della terra ha nel senso democratico borghese.
Il menscevico P. Maslov, così
infelicemente scelto da Kautsky come suo consigliere, negava che i contadini
russi potessero acconsentire alla nazionalizzazione di tutta la terra (compresa
la terra appartenente ai contadini). Quest'opinione di Maslov potrebbe sino a
un certo punto connettersi alla sua «originale» teoria (che ripete la critica
borghese di Marx), cioè alla sua negazione della rendita assoluta e al
riconoscimento della «legge» (o «fatto», secondo l'espressione di Maslov) della
«produttività decrescente del terreno».
In realtà già la rivoluzione del
1905 aveva rilevato che l'immensa maggioranza dei contadini russi — sia delle
comunità che delle aziende individuali — era per la nazionalizzazione di tutta
la terra. La rivoluzione del 1917 confermò questa rivendicazione e, dopo
l'avvento al potere del proletariato, la attuò. I bolscevichi rimasero fedeli
al marxismo; non tentarono (contrariamente a Kautsky, che ci lancia questa
accusa senza l'ombra di una prova) di «saltare» la rivoluzione democratica
borghese. I bolscevichi aiutarono innanzi tutto gli ideologi democratici
borghesi dei contadini più radicali, più rivoluzionari, più vicini al
proletariato — i socialisti-rivoluzionari di sinistra — ad attuare ciò che di
fatto era la nazionalizzazione della terra. La proprietà privata del suolo è
stata abolita in Russia dal 26 ottobre 1917, cioè fin dal primo giorno della
rivoluzione proletaria socialista.
Fu così creata la base più perfetta
dal punto di vista dello sviluppo del capitalismo (ciò che Kautsky non può
negare senza rompere con Marx), e al tempo stesso il regime agrario più
duttile dal punto di vista del passaggio .al socialismo. Dal punto di vista
democratico-borghese i contadini rivoluzionari russi non possono andare più
lontano. Sotto questo punto di vista non vi può essere nulla di «più
ideale», di «pili radicale» che la nazionalizzazione della terra e il godimento
egualitario del suolo. Appunto i bolscevichi, grazie alla vittoria della rivoluzione
proletaria, aiutarono i contadini a condurre veramente a termine la
rivoluzione democratico-borghese. E questo era l'unico modo con cui potevano
rendere facile e rapido al massimo grado il passaggio alla rivoluzione
socialista. Ci si può quindi fare un'idea dell'incredibile pasticcio che
Kautsky offre ai suoi lettori quando accusa i bolscevichi di non comprendere il
carattere borghese della rivoluzione, e rivela di essersi allontanato dal
marxismo a tal punto da passar sotto silenzio la nazionalizzazione della
terra e presentare la riforma agraria liberale, la meno liberale di tutte
(perfino dal punto di vista borghese), come «qualcosa di socialistico». E ora
veniamo alla terza delle questioni da noi sollevate più sopra, quella cioè di
sapere in quale misura la dittatura proletaria in Russia abbia tenuto conto
della necessità del passaggio alla coltivazione collettiva della terra. Anche
qui Kautsky commette qualcosa di molto simile a un falso: cita unicamente le
«tesi» di un bolscevico che parlano del compito di effettuare il passaggio alla
lavorazione collettiva della terra! Dopo aver citato una di queste tesi, il
nostro «teorico» esclama trionfante:
In nessun luogo ancora e mai è stato
commesso in uno scritto un trucco simile a quello a cui si è abbassato Kautsky.
Egli cita le «tesi» e non fa parola della legge del potere sovietico.
Parla di «convinzioni teoriche» e non fa parola del potere statale proletario
che ha nelle sue mani e le officine e le merci. Tutto ciò che nel 1899 il
marxista Kautsky scrisse nella Questione agraria sui mezzi di cui
dispone lo Stato proletario per condurre gradualmente i piccoli contadini al
socialismo è stato dimenticato nel 1918 dal rinnegato Kautsky.
Certo, alcune centinaia di comuni
agricole e di aziende sovietiche (cioè grandi aziende coltivate da associazioni
di operai per conto dello Stato) sostenute dallo Stato, sono ben poca cosa.
Tuttavia l'omissione di questi fatti da parte di Kautsky può forse essere
chiamata «critica»?
La nazionalizzazione della terra,
attuata in Russia dalla dittatura proletaria, ha assicurato nel modo migliore
il compimento della rivoluzione democratica borghese, anche nel caso in cui la
vittoria della controrivoluzione dovesse farci ritornare indietro, dalla
nazionalizzazione alla ripartizione (ho trattato questa eventualità
nell'opuscolo sul programma agrario dei marxisti nella rivoluzione del 1905) [10]. Inoltre la nazionalizzazione della terra ha offerto allo
Stato proletario il massimo delle possibilità per passare al socialismo
nell'agricoltura.
Risultato: in fatto di teoria
Kautsky ci ha ammannito un incredibile pasticcio che è una completa rinuncia
del marxismo; in pratica ha dato prova del suo servilismo verso la borghesia e
verso il riformismo borghese. Una bella critica, non c'è che dire!
Kautsky incomincia la sua «analisi
economica» dell'industria con questo magnifico ragionamento:
In Russia c'è una grande industria
capitalistica. Non sarebbe possibile edificare su questa base la produzione
socialista?
Abbiamo citato integralmente questo
ragionamento affinché gli operai russi, che un tempo — e a ragione — stimavano
Kautsky, si rendano conto coi loro occhi dei metodi di cui si serve un
transfuga passato alla borghesia.
Pensate dunque: il 5 agosto, quando
già esistevano numerosi decreti sulla nazionalizzazione delle fabbriche in
Russia e gli operai non si erano «appropriati» nessuna di queste fabbriche, che
erano diventate tutte proprietà della repubblica, Kautsky, basandosi su
una interpretazione manifestamente disonesta di una frase del mio discorso,
vuol far credere ai suoi lettori tedeschi che in Russia le fabbriche siano
state consegnate ai rispettivi operai! E dopo di ciò, prolissamente ripete a
sazietà che le fabbriche non si devono consegnare singolarmente agli operai!
Questa non è critica, ma il
procedimento di un lacchè della borghesia, assoldato dai capitalisti per
calunniare la rivoluzione operaia.
Le fabbriche devono essere date allo
Stato o alle comuni o alle cooperative di consumo — ripete più volte Kautsky, e
infine aggiunge:
«È questa la strada che si tenta ora
di prendere in Russia»... Ora!! Cosa significa questo «ora»? In agosto? Non
avrebbe tuttavia Kautsky potuto chiedere ai suoi Stein e Axelrod, o ad altri suoi
amici della borghesia russa, di tradurgli almeno uno dei decreti sulle
fabbriche?
Così si scrive la storia! Se ci
fosse stata la «libertà» di stampa per i capitalisti e per i Dutov, Kautsky avrebbe ricevuto
informazioni sulle fabbriche che passano nelle mani degli operai... Questo
«serio scienziato» che si pone al di sopra delle classi è veramente magnifico;
Kautsky si rifiuta di accennare sia pure ad uno solo degli innumerevoli fatti
attestanti che le fabbriche sono state consegnate esclusivamente alla
repubblica, che sono gestite dal Consiglio superiore dell'economia nazionale,
organo del potere sovietico composto prevalentemente da rappresentanti eletti
dai sindacati operai. Con la caparbietà, la cocciutaggine di un uomo che vive
rinchiuso nel suo guscio, Kautsky non fa che ripetere: datemi una democrazia
pacifica, senza guerra civile, senza dittatura, con una buona statistica. (La Repubblica
sovietica ha creato un ufficio di statistica, chiamandovi a lavorare gli
statistici più competenti della Russia, ma naturalmente è impossibile ottenere
tanto presto una statistica ideale). In una parola: una rivoluzione senza
rivoluzione, senza una lotta furiosa, senza violenza, ecco ciò che vuole
Kautsky. Sarebbe lo stesso come se si esigessero scioperi senza lo scatenamento
delle passioni dei lavoratori e dei padroni. Quale differenza ci può essere fra
questo «socialista» e un volgare funzionario liberale!
E basandosi su questo «materiale
concreto», omettendo cioè scientemente e sprezzantemente numerosi fatti,
Kautsky «conchiude»:
È una perla, nevvero? Consigliamo
agli ammiratori di Kautsky di diffondere il più largamente possibile questa
sentenza tra gli operai russi. Infatti Kautsky non avrebbe potuto fornire un
documento migliore a prova della sua degradazione politica. Anche Kerenski,
compagni operai, era un «socialista», ma di «un'altra sfumatura»! Lo storico Kautsky
si accontenta dell'appellativo, del titolo di cui si erano «appropriati» i
socialisti-rivoluzionari di destra e i menscevichi. Quanto ai fatti attestanti
che i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari di destra sotto Kerenski
appoggiavano la politica imperialista e l'opera di brigantaggio della
borghesia, di questi fatti lo storico Kautsky non vuole sentire parlare. Sul
fatto che l'Assemblea costituente aveva dato la maggioranza appunto a questi
eroi della guerra imperialista e della dittatura borghese, Kautsky pudicamente
tace. E questo si chiama «analisi economica»!...
Per concludere, ancora un piccolo
saggio di questa «analisi economica»:
I cadetti ci hanno abituati a
ragionamenti di questo genere. Tutti i lacchè della borghesia in Russia
ragionano così: dateci dunque il benessere generale in nove mesi, dopo una
guerra devastatrice di quattro anni, mentre il capitale straniero aiuta
largamente il sabotaggio e le rivolte della borghesia in Russia. In realtà non
vi è più assolutamente alcuna differenza, nemmeno l'ombra di una differenza,
tra Kautsky e un controrivoluzionario borghese. I discorsi melati, che si
vogliono far passare per discorsi «socialisti», ripetono le stesse cose che in
Russia dicono in forma brutale, senza circonlocuzioni né vernice, i Kornilov, i
Dutov, i Krasnov.
Queste righe sono state scritte il 9
novembre 1918. Nella notte dal 9 al 10 novembre dalla Germania è giunta la
notizia dell'inizio della rivoluzione vittoriosa dapprima a Kiel e in altre
città del nord e della costa, dove il potere è passato nelle mani dei Soviet
dei deputati operai e soldati, poi a Berlino, dove il potere è passato nelle
mani dei Soviet. La conclusione che dovevo ancora scrivere per l'opuscolo su
Kautsky e la rivoluzione proletaria diventa superflua.
10 novembre 1918.
NOTE
1. L'offensiva controrivoluzionaria sferrata
contro Pietrogrado dal generale Kornilov nell'agosto-settembre 1917.
2. Nomignolo formato con i nomi dei
dirigenti menscevichi Liber e Dan, e usato dalla stampa bolscevica
per indicare i menscevichi in generale.
3. Gli «attivisti» costituivano l'estrema ala
destra del partito menscevico, che approvava i metodi della lotta armata contro
il potere sovietico. Fra i loro dirigenti c'erano Liber, Potresov,
Kolokolnikov.
4. Discorso dì A. Bebel, pronunciato
il 19 ottobre 1891 al Congresso di Erfurt della socialdemocrazia tedesca.
*1. Ho terminato or ora di leggere
l'articolo di fondo della Frankfurter Zeitung (22 ottobre 1918, n. 293)
che commenta con entusiasmo l'opuscolo di Kautsky, Il foglio degli uomini della
Borsa è soddisfatto. E come non esserlo? Un compagno mi scrive da Berlino che
il Vortvàrts, il giornale di Scheidemann,
dichiara in un articolo di poter sottoscrivere quasi a ogni riga di Kautsky. Le
nostre congratulazioni! Le nostre più vive congratulazioni!
*2.
I socialsciovinisti (gli Scheidemann, i Renaudel, gli Henderson, i Gompers e
C.) rinunciano durante la guerra a ogni discorso sull' «Internazionale». Essi
considerano come dei «traditori»... del socialismo i nemici della «loro» borghesia. Essi sono per la politica di conquista della loro
borghesia. I socialpacifisti (cioè socialisti a parole e pacifisti
piccolo-borghesi nei fatti) esprimono ogni sorta di sentimenti
«internazionalisti», si scagliano contro le annessioni, ecc., ma di fatto continuano ad appoggiare la loro borghesia imperialista. La differenza tra
questi due tipi è insignificante: è su per giù quella che corre tra un
capitalista che schizzi veleno e un altro dalla cui bocca escano parole
melliflue.
5. In seguito all'attentato compiuto
dai socialisti-rivoluzionari «di sinistra» contro l'ambasciata tedesca di Mosca
nel luglio 1918, dal partito socialista-rivoluzionario si staccarono due
gruppi, i «comunisti populisti» e i «comunisti rivoluzionari». I primi, che
condannavano la politica anticomunista dei socialisti-rivoluzionari «di
sinistra», si costituirono in partito nel settembre 1918, ma due mesi dopo
aderirono al partito bolscevico. I secondi esistettero come piccola minoranza
fino all'ottobre 1920 e quindi entrarono nel partito comunista.
6. K. Marx, Lettere
a Kugelmann, Roma, Edizioni
Rinascita, 1950, pp. 139-140.
7. Lenin allude alle numerose
insurrezioni di kulak scoppiate nel luglio 1918.
*3. Al VI Congresso
dei Soviet (6 settembre 1918) vi erano 967 deputati con voto deliberativo, di
cui 950 bolscevichi, e 351 con voto consultivo, di cui 335 bolscevichi. In
tutto il 97 per cento di bolscevichi.
8. Si allude qui al
progetto di legge socialista-rivoluzionario sull'agricoltura, pubblicato in
parte nell'ottobre 1917.
9. II Mandato
contadino ai comitati agricoli, diventato parte integrante del Decreto sulla
terra approvato dal II Congresso dei Soviet di tutta la Russia (8 novembre
1917).
10. Lenin, La
rivoluzione del 1905, vol. II, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, pp. 33-244.
Ultima modifica 12.09.2004
Che cos'è
l'internazionalismo?
...I menscevichi volevano
la pace generale, volevano che tutti i belligeranti accettassero la parola
d'ordine: senza annessioni né riparazioni. Finché questo scopo non fosse stato
raggiunto, l'esercito russo doveva rimanere con le armi al piede, pronto a
combattere. I bolscevichi invece esigevano la pace immediata ad ogni costo,
erano pronti, in caso di necessità a conchiudere una pace separata, e cercavano
di imporla con la forza, aggravando la già grande disorganizzazione
nell'esercito (p. 27).
"La
rivoluzione bolscevica si basò sull'ipotesi che essa sarebbe stata il punto di
partenza di una rivoluzione europea generale, che l'audace iniziativa della
Russia avrebbe incitato i proletari di tutta l'Europa a sollevarsi.
Data questa ipotesi, poco importavano naturalmente le forme che avrebbero preso
la pace separata russa, gli oneri e le perdite di territorio [letteralmente:
autolesioni o mutilazioni, Verstùmmelungen] che essa avrebbe imposto al popolo
russo, l'interpretazione che essa avrebbe dato dell'autodecisione delle nazioni.
Poco importava inoltre di sapere se la Russia rimaneva o no capace di
difendersi. La rivoluzione europea costituiva, secondo questo punto di vista,
la migliore difesa della rivoluzione russa, doveva assicurare a tutti i popoli
dell'antico territorio russo il diritto completo e reale di autodecisione.
Una rivoluzione in Europa, che avrebbe apportato e consolidato il socialismo,
avrebbe dovuto anche diventare il mezzo per eliminare gli ostacoli che, in
Russia, il ritardo economico del paese frapponeva all'attuazione della
produzione socialista.
Tutto ciò era molto logico e ben fondato se si ammetteva l'ipotesi
fondamentale: che la rivoluzione russa dovesse necessariamente far scoppiare la
rivoluzione europea. Ma se ciò non fosse avvenuto?
L'ipotesi finora non si è rivelata corretta. Ed oggi i proletari d'Europa sono
accusati di aver piantato in asso e tradito la rivoluzione russa. E' un'accusa
contro ignoti: chi dunque rendere responsabile della condotta del proletariato
europeo?" (p. 28).
Asservimento alla borghesia in veste di
«analisi economica»
ma è poi questa dittatura
del proletariato? (p. 34).
Essi [i contadini], secondo la Costituzione sovietica, formano la maggioranza
della popolazione avente il diritto di partecipare alla legislazione e
all'amministrazione. Ciò che ci si presenta come dittatura del proletariato
non sarebbe che la dittatura dei contadini, se il principio fosse
applicato in modo conseguente e se in generale una classe potesse esercitare
direttamente la dittatura, cosa possibile solo a un partito (p. 35).Agli inizi della Repubblica
sovietica, i Soviet contadini erano le organizzazioni dei contadini in
generale. Oggi questa repubblica proclama che i Soviet sono l'organizzazione
dei proletari e dei contadini poveri. I contadini agiati perdono il
diritto di eleggere i Soviet. Il contadino povero viene riconosciuto come il
prodotto permanente e di massa della riforma agraria socialista sotto la
«dittatura del proletariato» (p. 48).
Essa [la Repubblica
sovietica] interviene nei rapporti tra contadini ricchi e poveri, ma non
mediante una nuova ripartizione della terra. Per sovvenire al bisogno di grano
degli abitanti delle città si mandano nei villaggi reparti di operai armati, i
quali tolgono ai contadini ricchi le loro eccedenze di grano. Una parte di
questo grano è assegnata alla popolazione urbana, l'altra ai contadini poveri
(p. 48).
La rivoluzione rese impossibile
la grande proprietà fondiaria. Ciò fu chiaro immediatamente. Il trasferimento
delle grandi tenute nelle mani deila popolazione contadina divenne inevitabile.
[Non è vero signor Kautsky, voi sostituite ciò che è «chiaro» per voi
all'atteggiamento delle diverse classi di fronte alla questione. La
storia della rivoluzione ha dimostrato che il governo di coalizione della
borghesia e della piccola borghesia, menscevichi e socialisti-rivoluzionari,
perseguiva una politica volta a mantenere la grande proprietà. Ciò fu provato
particolarmente dalla legge di S. Maslov e dall'arresto dei membri dei Comitati
della terra [8]. Senza la dittatura del proletariato la
«popolazione contadina» non avrebbe vinto i grandi proprietari fondiari, alleati
dei capitalisti].
...Tuttavia non vi era unità circa le forme in cui questo doveva essere
attuato. Diverse soluzioni erano possibili... [Kautsky si preoccupa soprattutto
dell'«unità» dei «socialisti», quali che fossero coloro che si facevano chiamare
così. Ma dimentica che le classi principali nella società capitalista devono
inevitabilmente arrivare a soluzioni diverse].
...Dal punto di vista socialista, la soluzione più razionale sarebbe stata
quella di trasformare le grandi aziende in proprietà dello Stato e affidare ai
contadini che vi erano occupati come operai salariati la coltivazione delle
grandi tenute in forma di associazioni. Ma questa soluzione presuppone un
proletariato agricolo che in Russia non esiste. Un'altra soluzione sarebbe stata
quella di trasformare la grande proprietà fondiaria in proprietà dello Stato, e
dividerla in piccoli appezzamenti da darsi in affitto ai contadini con poca
terra. Così si sarebbe realizzato qualcosa di socialistico... Uno dei primi decreti del
governo sovietico dichiara: 1. La proprietà fondiaria della terra è
immediatamente abolita senza alcun indennizzo. 2. Le tenute dei proprietari
fondiari, come tutte le terre degli appannaggi, dei monasteri, della chiesa,
con tutte le loro scorte vive e morte, i fabbricati con tutte le loro
suppellettili, passano a disposizione dei comitati della terra delle volost,
dei Soviet distrettuali dei deputati contadini fino a che l'Assemblea
costituente non avrà deciso la questione della terra.
II riferimento
all'Assemblea costituente restò lettera morta. Di fatto in ogni volost i
contadini potevano fare della terra ciò che volevano (p. 47).
sviluppare le aziende
collettive — più vantaggiose dal punto di vista dell'economia del lavoro e
della produzione — a spese delle aziende agricole individuali, col fine di
passare all'economia socialista (art. 11, punto e).
Articolo 20. Nei confini
della Repubblica federativa sovietica russa, singoli appezzamenti di terra
possono essere utilizzati per scopi pubblici e privati: A) a fini culturali e
educativi: 1) dallo Stato, rappresentato dagli organi del potere sovietico
(federale, regionale, di governatorato, di distretto, di volost e
comunale); 2) da organizzazioni pubbliche (sotto il controllo e con
l'autorizzazione del potere sovietico locale); B) per l'esercizio
dell'agricoltura: 3) da comuni agricoli; 4) da cooperative agricole; 5) da
associazioni rurali; 6) da singole famiglie e persone.
1) godimento egualitario della terra e
2) nazionalizzazione della terra; rapporto di questi due provvedimenti con il
socialismo in generale e con il passaggio dal capitalismo al comunismo in
particolare;
3) coltivazione della terra in comune, come transizione dalla piccola economia
frazionata alla grande azienda collettiva. Il modo in cui questo problema è
posto nella legislazione sovietica risponde alle esigenze del socialismo?
Disgraziatamente non si
adempie un compito soltanto chiamandolo compito. Per ora, la coltivazione
collettiva della terra in Russia è destinata a rimanere sulla carta. In nessun
luogo ancora e mai i piccoli contadini sono passati alla produzione collettiva
sotto l'influenza di convinzioni teoriche (p. 50).
Si potrebbe crederlo se il
socialismo consistesse nel fatto che gli operai delle miniere e delle fabbriche
se le appropriassero [letteralmente: se le attribuissero] per gestire
separatamente ciascuna di esse (p. 52). Oggi stesso (5 agosto), nel momento in
cui scrivo queste righe — aggiunse Kautsky — da Mosca si comunica che Lenin, in
un discorso pronunciato il 2 agosto, avrebbe detto: «Gli operai tengono
saldamente le fabbriche nelle loro mani, e i contadini non restituiranno la
terra ai grandi proprietari fondiari». La parola d'ordine: «La fabbrica agli
operai, la terra ai contadini» è stata finora non una rivendicazione
socialdemocratica, ma anarco-sindacalista (pp. 52-53).
...Che cosa ne verrà
fuori, ancora non si può dire. Questo aspetto della Repubblica sovietica è in
ogni caso per noi del massimo interesse, ma purtroppo è ancora completamente
avvolto nelle tenebre. I decreti non mancano... [ecco perché Kautsky ne ignora
il contenuto o li nasconde ai lettori!], ma mancano notizie attendibili
sull'effetto di questi decreti. La produzione socialista è impossibile senza
una statistica ampia, particolareggiata, attendibile e che informi rapidamente.
Ma finora la Repubblica sovietica non è ancora riuscita a crearla. Ciò che noi
apprendiamo circa la sua attività economica è sommamente contraddittorio e non
può essere verificato. È anche questo uno degli effetti della dittatura e del
soffocamento della democrazia. Non v'è libertà di stampa né di parola (p.
53).
È dubbio che il
proletariato russo abbia avuto più reali risultati pratici — e non solo dei
decreti — nella Repubblica sovietica di quanti ne avrebbe avuti dall'Assemblea
costituente, nella quale, come nei Soviet, prevalevano i socialisti, sebbene di
un'altra sfumatura (p. 58).
...Dopo nove mesi di
esistenza, la Repubblica sovietica, invece di estendere il benessere generale,
si è vista costretta a spiegare da che cosa proviene la miseria generale (p.
41).