Tutte le cognizioni, cioè tutte le rappresentazioni riferite con coscienza ad un oggetto, sono intuizioni, o concetti. La intuizione [Anschauung] è una rappresentazione singolare (repraesentatio singularis); il concetto [Begriff] una rappresentazione generale (repraesentatio per notar communes) o riflessa (repraesentatio discorsiva).
La cognizione per concetti appellasi pensiero [Denken], cognitio discorsiva.
Osservazioni. 1. Il concetto è opposto alla intuizione; perciocché è una rappresentazione generale, o di ciò che è comune a più oggetti, e però una rappresentazione in quanto può essere contenuta in diverse altre.
2. Ella è una semplice tautologia parlare dei concetti generali o comuni; difetto che si fonda in una inesatta divisione dei concetti in universali, particolari e singolari. Non i concetti stessi, ma solamente il loro uso può essere in tal maniera diviso.
In ogni concetto si ha da distinguere materia e forma. — La materia dei concetti è l'oggetto [Gegenstand]; la loro forma, la universalità [Allgemeinheit].
Il concetto è empirico, o puro (vel empiricus vel intellectualis). — Concetto puro è quello che non è cavato dall'esperienza, e ancora quanto al contenuto proviene dall'intelletto. L'idea è un concetto razionale [Vernunftbegriff], il cui oggetto non si può affatto ritrovare nell'esperienza. Oss. 1. Il concetto empirico deriva dai sensi mediante la comparazione degli oggetti della esperienza, e non riceve per via dell'intelletto che la forma della universalità. — La realtà di questi concetti giace nella reale esperienza, onde sono ricavati secondo il loro contenuto. Se poi si diano concetti intellettuali puri (conceptus puri) che, come tali, indipendentemente da ogni esperienza derivino assolutamente dall'intelletto, è cosa da doversi cercare dalla metafisica1.
2. I concetti razionali o le idee non possono affatto condurre ad oggetti reali, perciocché questi tutti debbono essere contenuti in una esperienza possibile. Ma servono non per tanto a guidare l'intelletto, mediante la ragione, in riguardo all'esperienza e all'uso più perfetto possibile delle sue regole, o a dimostrare che non tutte le cose possibili sono oggetti della esperienza, e che i principii della possibilità di questa non valgono per le cose in se stesse , anzi né pure per gli oggetti dell'esperienza, come cose in se stesse. L'idea contiene l'archetipo [Urbild] dell'uso dello intendimento; p. e. l'idea dell'universo [Weltganz], che deve essere necessaria, non come principio costitutivo per l'uso empirico dell'intelletto, ma solamente come principio regolatore pel nesso [Zusammenhang] universale dell'uso empirico del nostro intelletto. Ella è perciò da riguardare come un concetto fondamentale necessario, per completare obbiettivamente le operazioni intellettive della subordinazione, o per considerarle come illimitate. Ancora, l'idea non si consegue per composizione; perocché il tutto è qui prima della parte. Intanto ei ci ha pure idee in cui ha luogo un'approssimazione [Annüherung]. Tale è il caso delle idee matematiche o delle idee della generazione matematica di un tutto, che si distinguono essenzialmente dalle idee dinamiche, le quali a tutti i concetti concreti sono affatto eterogenee, perché l'intero, non per la grandezza (come nei concetti matematici) ma per la specie, è diverso dai concetti concreti.
Di nessuna idea teoretica si può dare e dimostrare la realtà obbiettiva, eccetto dell'idea di libertà; e ciò, perché questa è la condizione della legge morale, la cui realtà è un assioma. La realtà dell'idea di Dio si può dimostrare solamente per mezzo di quella, e però solamente a fine pratico, cioé di operare in modo come se Dio ci fosse; e però solamente a questo fine2.
In tutte le scienze, in quelle principalmente razionali, è l'idea della scienza il loro disegno e contorno generale; e però la sfera di tutte le conoscenze che ne fan parte. Una tale idea del tutto, la prima cosa, a cui si ha da badare in una scienza e si ha da ricercare, è architettonica3; come p. e. la idea della scienza giuridica.
L'idea dell'umanità, l'idea di una repubblica perfetta, di una vita felice, ed altrettali, manca alla maggior parte degli uomini. Molti di costoro non hanno idea di ciò che vogliono; quindi procedono secondo l'istinto e l'autorità.
Tutti i concetti, quanto alla materia, sono dati (conceptus dati) o formati (conceptus factitii). — I primi sono dati a priori o a posteriori.
Tutti i concetti empirici, o dati a posteriori, si appellano sperimentali; i dati a priori, nozioni4.
Oss. La forma di un concetto, come rappresentazione discorsiva, è fatta sempre.
L'origine de' concetti secondo la semplice forma consiste nella riflessione e nello astrarre dalla differenza delle cose che sono denotate per mezzo di una certa rappresentazione. E però sorge qui la dimanda: quali operazioni dell'intelletto formano un concetto, ovvero, ciò che è lo stesso, appartengono alla formazione di un concetto da date rappresentazioni?
Oss. 1. Poiché la logica generale fa astrazione da ogni contenuto della conoscenza per concetti, o da ogni materia del pensiero; non può considerare il concetto che quanto alla forma, cioé subbiettivamente; non come per mezzo di una nota determini un oggetto, ma solamente come si possa riferire a più oggetti. La logica generale non ha da ricercare perciò le sorgenti dei concetti; non in qual modo essi derivino come rappresentazioni, ma semplicemente, come date rappresentazioni riducansi nel pensiero a concetti; questi concetti possono, del resto, contenere qualche cosa che si cava dall'esperienza, o qualche cosa d'immaginario , o di derivato dalla natura dell'intelletto. Questa origine logica de' concetti, origine secondo la semplice forma, consiste nella riflessione, per la quale formasi una rappresentazione comune a più oggetti (conceptus communis), come quella forma che è richiesta per la facoltà giudicativa. Perciò nella logica non si considera che la differenza della riflessione considerata ne'concetti.
2. L'origine de' concetti in riguardo alla loro materia, secondo la quale un concetto è empirico, o arbitrario, o intellettuale, vien esaminata nella metafisica.
Gli atti logici, onde i concetti sono prodotti, quanto alla loro forma, sono:
1. la comparazione, cioè il paragone [Vergleichung] delle rappresentazioni tra loro in relazione all'unità di coscienza;
2. la riflessione, cioè la considerazione [Überlegung], come diverse rappresentazioni possano essere concepite in una sola coscienza; e in fine,
3. l'astrazione, o la separazione [Absonderung] di tutto il rimanente, in cui le rappresentazioni date si distinguono.
Oss. 1. Per formare adunque da rappresentazioni concetti, è uopo poter comparare, riflettere e astrarre; perciocché queste tre operazioni logiche dell'intelletto sono le condizioni essenziali e generali alla genesi di un concetto qualunque. Io vedo p. e. un pino, un salice e un tiglio. Paragonando, anzi tutto, questi oggetti tra loro, osservo che sono differenti rispetto al fusto, ai rami, alle fronde e cose simili; riflettendo poi solamente a ciò che hanno di comune fra loro, il fusto, i rami, le fronde, e facendo astrazione dalla loro grandezza, figura, eccetera, ottengo un concetto dell'albero.
2. Nella logica non si usa sempre rettamente la espressione astrarre. Non si deve dire: astrarre qualche cosa (abstrahere aliquid); ma astrarre da qualche cosa (abstrahere ab aliquo). Se p. e. nel panno scarlatto io non penso che al color rosso, io fo astrazione dal panno; se io fo astrazione anche da questo e pensomi lo scarlatto come un oggetto materiale qualunque, io astraggo ancora da maggiori determinazioni, e il mio concetto diviene perciò ancora più astratto. Perciocché, quanto più differenze delle cose sono lasciate fuori del concetto, ovvero da quanto più determinazioni in esso si fa astrazione, tanto più astratto è il concetto. Perciò i concetti astratti si dovrebbero appellare propriamente astrattivi (conceptus abstrahentes), cioé tali, in cui accadono più astrazioni. Cosi p. e. il concetto di corpo non è propriamente un concetto astratto; perciocché dal corpo istesso io non posso certamente astrarre, altrimenti non avrò il concetto di esso. Ma ben mi è uopo astrarre dalla grandezza, dal colore, dalla durezza o fluidità; in breve, da tutte le speciali determinazioni dei corpi particolari, Il concetto più astratto è quello che non ha niente di comune con altri. Tal è il concetto di cosa; perciocchè il diverso da esso è il nulla, e però non ha niente di comune con cosa.
3. L'astrazione non è che la condizione negativa, sotto la quale si possono produrre rappresentazioni di valore generale; la positiva è la comparazione e la riflessione. Perciocché per mezzo dello astrarre non si ha alcun concetto; l'astrazione lo compie solamente e lo rinchiude nei suoi limiti determinati.
Ogni concetto, come concetto parziale, è contenuto nella rappresentazione delle cose; come ragione di conoscenza, cioé come nota, queste cose sono contenute sotto di esso. Nel primo rispetto ogni concetto ha una comprensione; nell'altro, una estensione.
La comprensione e la estensione di un concetto stanno fra loro in ragione inversa. Vale a dire, quanto più un concetto contiene sotto di sé, tanto meno comprende in sé, e viceversa.
Oss. La generalità, o valore generale del concetto, non istà in ciò, che il concetto sia concetto parziale, ma che sia ragione di conoscenza.
La estensione o sfera di un concetto è tanto maggiore, quanto più cose sono sotto di esso e si possono per esso pensare.
Oss. Siccome di un principio in generale dicesi che contiene sotto di sé le conseguenze; così si può dire ancora di un concetto, che come ragione di conoscenza contiene sotto di sé tutte quelle cose, da cui è stato astratto; p. e. il concetto di metallo, l'oro, l'argento, il rame e cose simili. Perciocché, ogni concetto come rappresentazione di valore generale, contenendo ciò che è comune a più rappresentazioni di diverse cose, tutte queste cose, in quanto sono sotto di esso contenute, possono per suo mezzo essere rappresentate. E ciò appunto costituisce la qualità di essere un concetto applicabile [Brauchbarkeit]. Or quanto più cose si possono rappresentare con un concetto, tanto maggiore è la sua sfera. In tal maniera il concetto di corpo ha più estensione del concetto di metallo.
Alcuni concetti si appellano superiori (conceptus superiores), in quanto hanno sotto di sé altri concetti, che rispetto a loro si appellano concetti inferiori. — Una nota di nota, nota rimota, è un concetto superiore; il concetto in relazione ad una nota rimota, è inferiore.
Oss. Poiché i concetti si appellano superiori e inferiori solamente di una maniera rispettiva (respective); uno e medesimo concetto può essere per ciò, per diverse relazioni, del pari superiore e inferiore. Così p. e. il concetto di uomo, rispetto a quello di contadino5, è superiore; rispetto poi al concetto di animale, è inferiore.
Il concetto superiore, rispetto al suo inferiore, si appella genere [Gattung] (genus); il concetto inferiore in riguardo al suo superiore, specie [Art] (species).
Come i concetti superiori e inferiori, così ancora i concetti di genere e di specie si distinguono nella subordinazione logica, non già per loro natura, ma solamente rispetto alla loro relazione scambievole (termini a quo o ad quod).
Il genere sommo è quello che non è affatto specie (genus summum non est species), siccome l'infima specie è quella che non è affatto genere (species, quae non est genus, est infima).
Intanto per legge di continuità non si può dare, né specie infima, né specie prossima.
Oss. Pensando una serie di piú concetti, gli uni subordinati agli altri, p. e. di ferro, metallo, corpo, sostanza, cosa: possiamo sempre conseguire generi superiori; perciocché ogni specie è del pari sempre a considerare come genere in riguardo al suo concetto inferiore, p. e. il concetto di dotto in riguardo al concetto di filosofo, sino a che arriviamo in fine ad un genere che non possa a sua volta essere specie. E noi dobbiamo poter in ultimo pervenire ad un tale genere, perciocché devesi dare in fine un concetto sommo (conceptus summus), da cui, come tale, nient'altro si può astrarre, senza che si annulli l'intero concetto. — Ma un concetto infimo (conceptus infimus), o una specie infima, sotto di cui non sia altra contenuta, non ci ha nella serie delle specie e de' generi, perciocché un tale concetto è impossibile a determinare. Per fermo, avendo pure un concetto che noi applichiamo immediatamente ad individui; si possono non per tanto rispetto ad esso ancora ritrovare differenze specifiche, che non notiamo, o trascuriamo. Non ci ha concetti infimi che comparativamente per l'uso, i quali hanno conseguito tal senso quasi per convenzione, in quanto che si è convenuto di non andare in ciò più basso.
A determinare i concetti di specie e di genere vale perciò la seguente regola: egli ci è un genere che non può essere più specie; ma non ci è specie alcuna che non possa a sua volta esser genere.
Il concetto superiore appellasi ancora concetto più largo; l'inferiore, concetto più stretto.
Si appellano reciproci (conceptus reciproci) quelli della stessa sfera.
Il concetto inferiore non è contenuto nel superiore; perché esso contiene in sé più del superiore; ma non per tanto è contenuto sotto di esso, perciocchè il superiore contiene la ragione di conoscenza dell'inferiore. Inoltre, un concetto non è più largo dell'altro per questo che contiene più sotto di sé, perocché ciò non si può sapere, ma in quanto contiene sotto di sé l'altro concetto, e oltre questo più ancora.
In riguardo alla estensione logica dei concetti ci ha le seguenti regole generali:
1. Ciò che conviene o contradice ai concetti superiori, conviene o contradice a tutti i concetti inferiori che sono contenuti sotto di essi superiori;
2. reciprocamente : ciò che conviene o con-fradice a tutti i concetti inferiori, conviene ancora o contradice al loro concetto superiore.
Oss. Imperocché, ciò, in cui alcune cose convengono, derivando dalle loro proprietà generali, e ciò, in cui sono fra loro differenti, dalle loro proprietà particolari, non si può conchiudere a questo modo: ciò che conviene o contradice ad un concetto inferiore, conviene o contradice ancora ad altri concetti inferiori che con quello appartengono ad uno stesso concetto superiore. Così p. e. non si può conchiudere, ciò che non conviene all'uomo, non convenire né pure agli angioli.
Mediante la continuata astrazione logica si formano concetti sempre più alti; siccome, al contrario, mediante la continuata determinazione logica, concetti sempre più bassi. La maggiore astrazione possibile porge il più alto e più astratto concetto, quello, cioè, da cui niun'altra determinazione si può togliere col pensiero. La più alta, compiuta determinazione darebbe un concetto del tutto determinato (conceptus omnimode determinato), cioè tale concetto, in cui non si potrebbe pensare di più alcun'altra determinazione.
Oss. Poiché non sono determinate per ogni rispetto che le cose singolari o gl'individui, non si possono dare conoscenze del tutto determinate che come intuizioni, ma non come concetti; in riguardo a questi la determinazione logica non può essere considerata mai come compiuta (§. 11. Oss.).
Ogni concetto si può usare generalmente e particolarmente (in abstracto e in concreto). In astratto vien usato il concetto inferiore rispetto al suo superiore; in concreto, il concetto superiore rispetto al suo inferiore.
Oss. 1. Le espressioni di astratto e concreto non si riferiscono perciò ai concetti in se stessi (perocché ogni concetto è astratto), ma piuttosto al loro uso solamente. E quest'uso può avere ancora differenti gradi, secondo che un concetto si tratta or più or meno astrattamente o concretamente, cioè si tralasciano o si aggiungono or più, or meno determinazioni. Per l'uso astratto un concetto ci avvicina al genere sommo, per l'uso concreto, al contrario, all'individuo.
2. Quale uso de' concetti, l'astratto o il concreto, ha la preferenza su l'altro ? Sopra ciò non si può nulla decidere. Il valore dell'uno non è da pregiare meno dell'altro. Per mezzo de' concetti assai astratti conosciamo poco in molte cose: per mezzo dei concetti assai concreti conosciamo molto in poche cose; perciò quel che guadagniamo da un lato, perdiamo dall'altro. Un concetto, che ha una grande sfera, è molto usabile, in quanto che si può applicare a molte cose; ma però tanto meno contiene in se. Nel concetto di sostanza p.e. io non penso tanto, quanto in quello di creta.
3. Trovare la convenienza tra la rappresentazione astratta e la concreta della stessa conoscenza, e però tra i concetti e la loro esposizione, onde si ottenga il massimo della conoscenza, si per la estensione come per la comprensione, è appunto ciò che costituisce l'arte della popolarità.
Giudizio [Urtheil] è la rappresentazione dell'unità di coscienza di diverse rappresentazioni, o la rappresentazione della loro relazione in quanto formano un concetto.
Ad ogni giudizio appartengono, come suoi elementi essenziali, materia e forma. La materia dimora nelle conoscenze date, raccolte ad unità di coscienza nel giudizio. La sua forma poi, nella determinazione della maniera e guisa onde le diverse rappresentazioni, come tali, appartengono ad una sola coscienza.
Poiché la logica fa astrazione da ogni differenza reale o obbiettiva della conoscenza; non può occuparsi della materia de' giudizi, come non lo può del contenuto de' concetti. Ella perciò ha semplicemente da considerare la differenza de' giudizi rispetto alla loro mera forma.
Le differenze de' giudizi, rispetto alla loro forma, si possono ridurre ai quattro momenti principali della quantità, qualità, relazione e modalità; in riguardo ai quali appunto si determinano altrettante diverse specie di giudizi.
Rispetto alla quantità i giudizi sono universali, particolari e singolari; secondo che il soggetto nel giudizio è totalmente, o in parte soltanto, incluso o escluso dalla nozione del predicato. Nel giudizio universale la sfera di un concetto è compresa del tutto entro la sfera di un altro; nel particolare una parte del primo sotto la sfera del secondo; e nel giudizio singolare finalmente un concetto che non ha affatto sfera, e però semplicemente come parte, è collocato sotto la sfera di un altro.
Oss. 1. I giudizi singolari sono da considenrare nell'uso, rispetto alla forma logica, uguali agli universali, perché negli uni e negli altri il predicato vale pel soggetto senza eccezione di sorta. Nella proposizione p. e. Caio è immortale, tanto meno può aver luogo la eccezione, quanto nell'universale: tutti gli uomini sono immortali. Perché ci ha solo un Caio.
2. Rispetto alla universalità di una conoscenza ha luogo una reale differenza tra proposizioni generali e universali, la quale veramente non importa per nulla alla logica. Vale a dire le proposizioni generali sono quelle che contengono semplicemente qualche cosa di generale di certi obbietti, e conseguentemente condizioni non sufficienti al subsumere; p. e. la proposizione: si dee fare fondatamente la dimostrazione; — proposizioni universali sono quelle, che di un oggetto affermano generalmente qualche cosa.
3. Le regole generali son tali analiticamente o sinteticamente. Quelle fanno astrazione dalle differenze; queste attendono alle differenze, e però determinano a loro riguardo. Quanto più semplicemente è pensato un oggetto, tanto più per la generalità analitica può essere concepito.
4. Quando proposizioni universali, senza conoscerle in concreto, non si possono vedere nella loro universalità, non possono servire di regola, e però valere largamente nell'applicazine; ma non sono che dati per ricercare i principi universali di ciò che è stato primo conosciuto in casi particolari. La proposizione, per esempio: chi non ha interesse d'ingannare e sa la verità, dice la verità, non è a considerare nella sua universalità, perocché noi non conosciamo i limiti della condizione del disinteresse che per mezzo dell'esperienza; vale a dire, che uomini possono ingannare per interesse, cioè, che non si attengono fermamente alla moralità. Osservazione che c'impara a conoscere la debolezza della natura umana.
5. Intorno ai giudizi particolari, è da notare, che, dovendo essere conoscibili per mezzo della ragione, e però avere una forma razionale, e non già semplicemente intellettuale (astratta), il soggetto deve essere un concetto più largo (conceptus latior) del predicato.
Sia il predicato sempre = ◯, il soggetto = ◻;
è un giudizio particolare; perché qualche cosa di a è b, e qualche altra è non b: il che segue per la ragione. Ma sia:
può essere tutto a contenuto sotto b, se è minore; ma non, se è maggiore; perciò non è particolare che di una maniera contingente.
I giudizi rispetto alla qualità sono affermativi, negativi, o infiniti. Nel giudizio affermativo il soggetto è pensato sotto la sfera del predicato; nel negativo è posto fuori la sfera di esso, e nell'infinito è posto nella sfera di un concetto che è fuori la sfera di un altro.
Oss. 1. Il giudizio infinito indica semplicemente che un soggetto non sia contenuto sotto la sfera di un predicato, ma che fuori della sua sfera si trova in altro luogo nella sfera infinita; conseguentemente questo giudizio rappresenta la sfera del predicato come limitata.
Ogni cosa possibile è A, o non A. Dicendo io: qualche cosa è non A, p. e. l'anima umana è non mortale, alcuni uomini sono non sapienti, e cose simili, è questo un giudizio infinito. Imperciocché per suo mezzo non è determinato, fuori della sfera finita A, a quale concetto l'obbietto appartenga; ma semplicemente che appartiene alla sfera fuori A, la quale non è affatto alcuna sfera, ma solamente il confine di una sfera nell'infinito e la limitazione stessa. Or, sebbene lo escludere sia negare, pure la limitazione di un concetto è operazione positiva. Quindi i limiti sono concetti positivi di oggetti limitati.
2. Secondo il principio del terzo escluso (exclusi tertii) la sfera di un concetto relativamente ad un'altra è esclusiva o inclusiva. Or, poichè la logica devesi occupare semplicemente della forma del giudizio, e non già de' concetti rispetto al loro contenuto, la differenza dei giudizi infiniti dai negativi non appartiene a questa scienza.
3. Nei giudizi negativi la negazione modifica sempre la copula; negl'infiniti, non la copula ma il predicato è modificato dalla negazione; il che meglio si può esprimere nel latino.
Rispetto alla relazione i giudizi sono categorici, ipotetici, disgiuntivi. Le rappresentazioni date nel giudizio sono, cioè, l'una all'altra, subordinate nell'unità di coscienza, come predicato a soggetto, o come conseguenza a principio, o come membro della divisione al concetto diviso. Per la prima relazione sono determinati i giudizi categorici, per la seconda gl'ipotetici e per la terza i disgiuntivi.
Nei giudizi categorici la materia è costituita dal soggetto e dal predicato; la forma, ond'è determinata ed espressa la relazione (di convenienza o di sconvenienza) tra soggetto e predicato, appellasi copula.
Oss. I giudizi categorici forniscono, a dir vero, la materia degli altri giudizi; ma non per tanto ei non devesi per ciò credere, come molti logici, che tanto i giudizi ipotetici, quanto i disgiuntivi non sieno altro che diverse maniere di giudizi categorici, e però tutti quanti si possano ridurre a questi. Tutte e tre le specie dei giudizi si fondano sopra funzioni logiche dell'intelletto essenzialmente differenti, e si han però a considerare secondo la loro differenza specifica.
La materia de' giudizi ipotetici consta de' due giudizi, che sono fra loro collegati come principio e conseguenza. L'uno di questi giudizi, che contiene la ragione, è l'antecedente (antecedens, prius); l'altro, che da quello procede come conseguenza, è il conseguente (consequens, posterius); e la rappresentazione di questa maniera di connessione de' due giudizi tra loro nell'unità di coscienza si appella conseguenza, la quale costituisce la forma de' giudizi ipotetici.
Oss. 1. Adunque ciò che è la copula per i giudizi categorici è la conseguenza per gl'ipotetici, cioè la loro forma.
2. Alcuni credono sia facile convertire una proposizione ipotetica in categorica. Ma ciò non va, perché, quanto alla loro natura, l'una differisce interamente dall'altra. Nei giudizi categorici non ci è niente di problematico, ma tutto è assertorio; negl'ipotetici, al contrario, non ci è che la conseguenza assertoria. Negli ultimi posso io connettere fra loro due giudizi falsi; perciocché in essi non si tratta che della legittimità del nesso, forma della conseguenza; nella quale si fonda la verità di questi giudizi. Ci ha essenziale differenza tra le due proposizioni : tutti i corpi sono divisibili, e se i corpi sono composti, sono divisibili. Nella prima proposizione io affermo la cosa in modo diretto, nella seconda solo sotto una condizione espressa problematicamente.
La forma del nesso nei giudizi ipetetici è di due maniere: positiva (modus ponens), o negativa (modus tollens). 1. Se la ragione (antecedens) è vera, è ancora vera la conseguenza per esso determinata (consequens): questo si appella modus ponens;
2. Se la conseguenza (consequens) è falsa, è falsa ancora la ragione (antecedens): questo dicesi modus tollens.
Un giudizio è disgiuntivo, se le parti della sfera di un concetto dato si determinano scambievolmente nel tutto, o come complementi di esso.
I diversi giudizi dati onde si compone il giudizio disgiuntivo, ne costituiscono la materia, e si appellano i membri della disgiunzione o dell'opposizione. Nella disgiunzione stessa, cioé nella determinazione del rapporto de' diversi giudizi, in quanto scambievolmente si escludono e si completano tra loro come membri di tutta la sfera della conoscenza divisa, dimora la forma di questi giudizi.
Oss. Tutti i giudizi disgiuntivi rappresentano perciò diversi giudizi come in una sfera comune, e non producono ciascun giudizio che mediante la limitazione dell'altro in riguardo a tutta la sfera; quindi determinano la relazione di ciascun giudizio a tutta la sfera, e con ciò in pari tempo la relazione che si hanno fra loro questi diversi membri disgiunti (membra disjuncta). Perciò qui un membro determina ciascun altro, solo per questo che tutti quanti stanno in comunione come parti di tutta una sfera di conoscenza, fuori della quale nulla si può pensare in certa relazione.
Il carattere proprio di tutti i giudizi disgiuntivi, onde è determinata la loro differenza specifica, rispetto al momento della relazione, dai rimanenti giudizi e in ispecialità dai categorici, dimora in ciò, che i membri della disgiunzione sono tutti quanti giudizi problematici, dei quali non vien pensato altro che questo; cioé che essi, come parti della sfera di una conoscenza, ciascuno complemento dell'altro pel tutto (complementum ad totem), presi insieme, sieno ugualmente della stessa sfera. E di qui segue che in uno di questi giudizi problematici è contenuta la verità, o, ciò che vale lo stesso, che uno di essi deve essere assertorio, perciocché fuori di essi la sfera della conoscenza niente altro comprende sotto le date condizioni, e l'uno è opposto all'altro; per conseguenza nè fuori di essi può avervi qualche cosa di vero, nè tra essi può più di uno esser vero.
Oss. In un giudizio categorico la cosa, la cui rappresentazione è considerata come parte della sfera di un'altra rappresentazione subordinata, si considera come contenuta sotto il suo concetto superiore; e però qui nella subordinazione della sfera la parte della parte è paragonata al tutto. Ma nei giudizi disgiuntivi io vado dal tutto alle parti prese insieme. Ciò che è contenuto sotto la sfera di un concetto è contenuto ancora sotto una parte di questa sfera. Quindi è uopo da prima dividere la sfera. Se io, per esempio, pronuncio il giudizio disgiuntivo: un dotto è dotto storicamente o razionalmente; determino con ciò, che questi concetti, in riguardo alla sfera, sono parti della sfera di dotto, ma in niun modo parti, l'uno dell'altro, e che essi tutti presi insieme sono completi.
Che nei giudizi disgiuntivi non la sfera del concetto diviso vien considerata come contenuta in quella della divisione, ma ciò che è contenuto sotto il concetto diviso, come contenuto sotto un membro della divisione, si può meglio chiarire pel seguente schema di paragone tra i giudizi categorici e i disgiuntivi.
Nei giudizi categorici, x, contenuto sotto b, è ancora contenuto sotto a;
Nei disgiuntivi, x, che è contenuto sotto a, è contenuto sotto b o c, e così di seguito;
La divisione adunque nei giudizi disgiuntivi mostra la coordinazione, non delle parti dell'intero concetto, ma di tutte le parti della sua sfera. Qui io penso molte cose per mezzo di un concetto; là poi una cosa per mezzo di più concetti; p. e. il definito per mezzo di tutte le note della coordinazione.
Rispetto alla modalità, pel quale momento è determinata la relazione dell'intero giudizio alla potenza conoscitiva, i giudizi sono problematici, assertori, apodittici. I problematici sono accompagnati con la coscienza della semplice possibilità; gli assertorii con la coscienza della realtà, gli apodittici, in fine, con la coscienza della necessità.
Oss. 1. Questo momento della modalità non mostra, perciò, che la maniera e guisa come nel giudizio qualche cosa sia affermata o negata: se nulla si determini su la 'verità o non verità di un giudizio, come nel giudizio problematico: l'anima umana può essere immortale; o se vi si determini qualche cosa, come nell'assertorio: l'anima umana è immortale; o in fine, se la verità di un giudizio sia anzi espressa con la dignità della necessità, come nel giudizio apodittico: l'anima umana deve essere immortale. Cotesta determinazione della verità semplicemente possibile, o reale, o necessaria non riguarda perciò che il giudizio stesso, e per nulla la cosa su la quale si giudica.
2. Ne'giudizi problematici, che si possono ancora definire quelli la cui materia è data con la relazione possibile tra il predicato e il soggetto, il soggetto deve sempre avere una sfera minore del predicato.
3. Sopra la differenza tra i giudizi problematici e gli assertorii si fonda la vera differenza tra i giudizi e le proposizioni, che si vuole per altro porre falsamente nella semplice espressione per mezzo delle parole, senza le quali non si potrebbe al certo affatto giudicare. Nel giudizio la relazione delle diverse rappresentazioni all'unità di coscienza vien pensata semplimente come problematica; in una proposizione al contrario come assertoria. Proposizione problematica è una contradictio in adjecto. Prima che io abbia una proposizione, mi è uopo giudicare; e giudicando sopra molte cose che io non decido ma che debbo fare, tosto determino un mio giudizio come proposizione. Del rimanente è cosa buona giudicare problematicamente, prima che si ammetta il giudizio come assertorio, per esaminare in tal maniera. Né tutte le volte è necessario al nostro scopo avere giudizi assertorii.
Quei giudizi in cui si contiene del pari un affermazione e una negazione, ma di una maniera nascosta, si che l'affermazione si faccia esplicitamente, e la negazione poi in modo implicito, sono proposizioni esponibili.
Oss. Nel giudizio esponibile, p. e. pochi uomini sono dotti, ci é, sebbene velatamente, 1.° il giudizio negativo, molti uomini non sono dotti; 2.° l'affermativo, alcuni uomini sono dotti. Poiché la natura delle proposizioni esponibili dipende semplicemente dalle condizioni del linguaggio, secondo cui si può brevemente esprimere due giudizi in una sola volta, è opportuno osservare che nella nostra lingua si possano dare giudizi bisognevoli di esposizione, non logicamente, ma grammaticalmente.
Proposizioni teoretiche si addimandano quelle che si riferiscono all'oggetto, e determinano ciò che gli convenga e ciò che non gli convenga; proposizioni pratiche, al contrario, sono quelle, che esprimono l'operazione per cui un oggetto è possibile, come sua condizione necessaria.
Oss. La logica deesi occupare delle proposizioni pratiche solamente rispetto alla forma, che in quanto a ciò sono opposte alle teoretiche. Le proposizioni pratiche, rispetto al contenuto e in quanto differiscono dalle speculative, spettano alla morale.
Proposizioni dimostrabili sono quelle che sono capaci di prova; quelle che non sono affatto capaci si appellano indimostrabili.
Alcuni giudizi immediatamente certi sono indimostrabili, e però si han da considerare come proposizioni-elementari.
Alcuni giudizi a priori immediatamente certi si possono appellare proposizioni fondamentali, in quanto che per essi si possono dimostrare altri giudizi, e non si possono subordinare ad altri. Perciò si appellano ancora principii6.
I principii sono intuitivi e discorsivi. I primi si possono esporre nella intuizione e si appellano assiomi (axiomata); i secondi non si possono esprimere che per via di concetti, e si possono appellare acroami (acroamata).
Proposizioni analitiche diconsi quelle, la cui certezza si fonda su la identità de' concetti (del predicato con la nozione del soggetto). Sintetiche poi sono da appellare quelle, la cui verità non si fonda su la identità de' concetti.
Oss. 1. A ogni x, cui conviene il concetto di corpo (a † b), conviene ancora l'estensione b; questo è un esempio di proposizione analitica. A ogni x, cui conviene il concetto di corpo (a † b), conviene ancora l'attrazione c; è questo un esempio di proposizione sintetica. Le proposizioni sintetiche accrescono la conoscenza rispetto alla materia, materialiter; le analitiche semplicemente rispetto alla forma, formaliter. Quelle contengono determinazioni (determinationes), queste solamente predicati logici.
2. I principii analitici non sono assiomi; perché essi sono discorsivi. E i principii sintetici ancora non sono assiomi, se non quando sono intuitivi.
La identità de' concetti nei giudizi analitici può essere esplicita (explicita) o implicita (implicita). Nel primo caso le proposizioni analitiche sono tautologiche.
Oss. 1. Le proposizioni tautologiche sono vuote di valore (virtualiter), o vuote di conseguenze; perciocché sono senza utilità e senza uso. Così fatta è p. e. la proposizione tautologica, l'uomo è uomo: perciocché, se io nient'altro so dire dell'uomo che egli è uomo, io nient'altro so di lui.
Le proposizioni implicitamente (implicite) identiche non sono, al contrario, vuote di conseguenze e senza frutto; perciocché esse fanno chiaro, per mezzo della spiegazione [Entwickelung] (explicatio), il predicato che era implicitamente nel concetto del soggetto.
2. Le proposizioni vuote di conseguenze si han da distinguere dalle vuote di senso, che nulla porgono all'intelletto, perciocché esse riguardano la determinazione delle cose dette qualità occulte (qualitates occultae).
Postulato è una proposizione pratica immediatamente certa, o un principio che determina una operazione possibile, nella quale si suppone che le maniera di eseguirla sia immediatamente certa.
Problemi (problemata) sono proposizioni dimostrabili, bisognevoli di ammaestramento, o tali che esprimono una operazione, la cui maniera di eseguire non sia immediatamente certa.
Oss. 1. Si possono dare ancora postulati teoretici a favore della ragion pratica. Ciò sono ipotesi teoretiche necessarie al fine pratico della ragione, come quelle dell'essere di Dio, della libertà e di un altro mondo.
2. Al problema appartiene 1. la questione, la quale contiene ciò che si deve fare, 2. la risoluzione, che contiene la maniera e guisa onde l'operazione si può eseguire; e 3. la dimostrazione, che, essendosi operato a quel modo, si è fatto ciò che si dovea.
Teoremi sono proposizioni teoretiche capaci e bisognevoli di prova. Corollarii sono conseguenze immediate di proposizioni precedenti. Lemmi (lemmata) appellansi quelle proposizioni che alla scienza, dove si suppongono dimostrate, non sono estranee, ma sono tolte da altre scienze. Scolii, in fine, sono proposizioni di semplice schiarimento, che però non appartengono come membri al tutto del sistema.
Oss. Momenti essenziali e generali d'ogni teorema sono la tesi e la dimostrazione. La differenza tra teoremi e corollarii si può, del resto, riporre anche in ciò, che questi sono derivati immediatamente; quelli, al contrario, sono ricavati per mezzo di una serie di conseguenze da proposizioni immediatamente certe.
Un giudizio di percezione [Wahnehmungsurtheil] è meramente subbiettivo; un giudizio obbiettivo per percezioni è un giudizio d'esperienza [Erfahrungsurtheil].
Oss. Un giudizio di mere percezioni non è possibile se non per questo solamente, che io esprimo la mia rappresentazione, come percezione: io, percependo una torre, percepisco in essa il colore rosso. Ma non posso dire: è rossa. Perciocché questo non sarebbe giudizio solamente empirico, ma anche di esperienza, cioè un giudizio empirico pel quale io ottengo un concetto dell'oggetto. Toccando p. e. una pietra, io sento calore: questo è un giudizio di percezione; al contrario, la pietra è calda, è un giudizio di esperienza. A quest'ultimo appartiene che io non ponga nell'oggetto ciò che è semplicemente nel mio soggetto; perché un giudizio di esperienza è la percezione, onde un concetto deriva dall'oggetto; p. e. se nella luna punti luminosi si muovono, o nell'aria, o nel mio occhio.
Per ragionare [Schliessen] è da intendere quella funzione del pensiero, onde si deriva un giudizio da un altro. Perciò raziocinio [Schluss] in generale è la derivazione [Ableitung] di un giudizio da un altro.
Tutti i raziocinii sono immediati o mediati: raziocinio immediato (consequentia immediata) è la derivazione (deductio) di un giudizio da un altro senza giudizio intermedio (judicium intermedium). Mediato è un raziocinio, se, per derivare una conoscenza di un giudizio, si usa altro concetto, oltre quello contenuto in esso giudizio.
I raziocinii immediati appellansi ancora raziocinii dell'intelletto [Verstandesschlüsse]; tutti i raziocinii mediati poi sono della ragione [Vernunftschlüsse], e della giudicativa [Schlusse dar Urtheilskraft]. Tratteremo prima degl'immediati o de' raziocinii dell'intelletto.
Il carattere essenziale di tutti i raziocinii immediati, e il principio della loro possibilità consiste semplicemente in un cangiamento della forma del giudizio; mentre che la materia de' giudizi, il soggetto e il predicato, rimane la stessa senza mutazione.
Oss. 1. Per ciò che nei raziocinii immediati non si muta che la forma e per nulla la materia dei giudizi, cotesti raziocinii si distinguono essenzialmente da tutti i mediati, nei quali i giudizii, anche rispetto alla materia, sono differenti, dovendosi in questi aggiungere un nuovo concetto, come giudizio medio o come concetto medio (terminus medius), per derivare un giudizio da un altro. Se p. e. io ragiono così: tutti gli uomini sono mortali; dunque anche Cajo è mortale; questo non è un raziocinio immediato. Perciocché qui io uso per conchiudere ancora il giudizio di mezzo: Cajo è uomo; per questo nuovo concetto la materia poi è mutata.
2. Nei raziocinii dall'intelletto si può fare, a dir vero, un giudizio intermedio, (judicium intermedium); ma allora questo giudizio è meramente tautologico; come p. e. nel raziocinio immediato: tutti gli uomini sono mortali, alcuni uomini sono uomini, dunque alcuni uomini sono mortali; il concetto medio è una proposizione tautologica.
I raziocinii dell'intelletto passano per tutte le classi delle funzioni logiche del giudizio, e sono perciò nelle loro maniere principali determinati mediante i momenti della quantità, della qualità, della relazione e della modalità. Di qui la seguente divisione di sì fatti raziocinii.
Nei raziocinii dell'intelletto per judicia subalternata, i giudizi sono differenti per la quantità, e quivi il giudizio particolare vien derivato dall'universale, secondo il principio: dall'universale al particolare vale la conseguenza; (ab universali ad particolare valet conseguentia).
Oss. Un giudizio dicesi subalternato, in quanto è contenuto sotto l'altro, come p.e. un giudizio particolare sotto l'universale.
Nei raziocinii intellettuali di questa specie, il congiamento riguarda la qualità de' giudizi e considerata, per verità, rispetto alla opposizione. Or poiché questa opposizione può essere di tre maniere, ci è quindi la seguente divisione particolare de' raziocinii immediati: per giudizi opposti contradittorii; per giudizi opposti contrarii; e per giudizi opposti subcontrarii.
Oss. I raziocinii intellettuali per giudizi equivalenti (judicia equipollentia) non si possono propriamente appellare raziocinii; perciocché, non avendo qui luogo alcuna conseguenza, essi sono piuttosto da riguardare come semplice sostituzione di vocaboli, che indicano uno e medesimo concetto, dove i giudizi stessi, anche rispetto alla forma, rimangono senza mutazione. Per esempio, non tutti gli uomini sono virtuosi, e alcuni uomini non sono virtuosi. Tutti e due dicono una e medesima cosa.
Nei raziocinii dell'intelletto per mezzo di giudizi, che sono fra loro opposti contraddittoriamente, e, come tali, costituiscono la semplice, pura opposizione, la verità di uno de' giudizi opposti contradittorii si deduce dalla falsità dell'altro, e viceversa. Perciocché la pura opposizione, che qui ha luogo, contiene né più, né meno di ciò che appartiene alla opposizione. In conseguenza del principio del terzo escluso non possono perciò tutti e due i giudizi contradittorii esser veri, e né meno possono essere tutti e due falsi. Perciò, essendo uno vero, l'altro è falso, e viceversa.
Giudizi contrarii (judicia contraria) sono quelli, di cui l'uno è universale affermativo, I'altro è universale negativo. Or, poiché uno di loro dice più che la semplice negazione dell'altro, e in questo eccesso può aver luogo la falsità, essi non possono, per verità, essere tutti e due veri, ma possono essere tutti e due falsi. In riguardo a questi giudizi vale perciò solamente il conchiudere dalla verità dell'uno la falsità dell'altro, ma non viceversa.
Giudizi subcontrarii sono quelli, di cui l'uno particolarmente afferma o nega ciò che l'altro particolarmente nega o afferma.
Poiché essi possono essere tutti e due veri, e non mai tutti e due falsi, vale a loro riguardo soltanto la seguente conchiusione: se l'una delle due proposizioni è falsa, l'altra è vera; ma non viceversa.
Oss. Nei giudizi subcontrarii non ha luogo una pura, rigorosa opposizione; perciocché nell'uno non si nega o si afferma degli stessi oggetti ciò che si afferma o si nega nell'altro. Nel raziocinio p.e. alcuni uomini sono dotti; perciò alcuni uomini non sono dotti: nel primo giudizio non si afferma degli stessi uomini, ciò che si nega nell'altro.
I raziocinii immediati per conversione riguardano la relazione de' giudizi, e consistono nella trasposizione de' soggetti e de' predicati nei due giudizi, così che il soggetto dell'uno passi a predicato dell'altro, e viceversa.
Nella conversione la quantità de' giudizi o si muta o rimane immutata. Nel primo caso il converso (conversum) differisce per la quantità dal convertente (convertente), e la conversione dicesi mutata (conversio per accidens); nell'altro caso la conversione appellasi pura (conversio simpliciter talis).
In riguardo ai raziocinii dell'intelletto per mezzo della conversione ci ha le seguenti regole.
1. I giudizi universali affermativi non si possono convertire che per accidens; perciocché il predicato in tali giudizi è un concetto più largo, e però non è contenuto che in parte in quello del soggetto.
2. Ma tutti i giudizi universali negativi si possono convertire semplicemente (simpliciter), perché in essi il soggetto è tratto fuori la sfera del predicato.
3. Allo stesso modo si possono, in fine, tutte le proposizioni particolari affermative convertire semplicemente (simpliciter); perché in questi giudizi una parte della sfera del soggetto è stata subordinata al predicato, e però si può ancora una parte della sfera del predicato subordinare al soggetto.
Oss. 1. Nei giudizi universali affermativi, il soggetto è considerato come un contentum del predicato, essendo contenuto sotto la sua sfera. Perciò non posso ragionare che a questo modo: tutti gli uomini sono mortali; dunque alcuni di quelli, che son contenuti sotto il concetto di mortale, sono uomini. Ma che i giudizi universali negativi si possono convertire simpliciter, la cagione n'è questa, che due concetti universali con-tradittori fra loro si contradicono in eguale estensione.
2. Parecchi giudizi universali affermativi si possono, a dir vero, convertire ancora simpliciter. Ma la ragione di ciò non istà nella loro forma, ma nella proprietà particolare della loro materia; come p. e. i due giudizi: tutto ciò che è immutabile è necessario, e tutto ciò che è necessario è immutabile.
La maniera immediata di ragionare per mezzo della contraposizione consiste nel trasporre (metathesis) i giudizi in modo, che la quantità rimanga la stessa, e la qualità al contrario si muti7. Essi non riguardano che la modalità dei giudizi, poiché trasformano un giudizio assertorio in un apodittico.
Per la contrapposizione ci è questa regola generale: Tutti i giudizi universali affermativi si possono contrapporre SIMPLICITER. Perché, se il predicato, come quello che contiene sotto di sé il soggetto e però tutta la sfera, vien negato, devesi ancora negare una parte di essa, cioé il soggetto.
Oss. 1. La metathesis dei giudizi mediante la conversione e questa mediante la contrapposizione sono perciò fra loro opposte, in quanto che quella muta semplicemente la quantità, questa semplicemente la qualità.
2. Le anzidette maniere di raziocinii immediati si riferiscono solamente ai giudizi categorici.
Raziocinio della ragione è la conoscenza della necessità di una proposizione mediante il subordinamento della sua condizione ad una regola universale data.
Il principio generale sul quale si fonda la validità d'ogni raziocinio della ragione si può precisamente esprimere nella seguente maniera: Tutto ciò che sta sotto la condizione di una regola, sta ancora sotto la regola stessa.
Oss. Il raziocinio della ragione premette una regola generale e un assunto sotto la condizione di essa. Onde la conchiusione si conosce a priori non nel singolare, ma come contenuta nel generale e come necessaria sotto una certa condizione. E questo, che tutto sotto stia al generale e sia determinabile nella regola generale, è appunto il principio della razionalità o della necessità (principium rationalitatis s. necessitatis).
Ad ogni raziocinio razionale appartengono di essenza queste tre parti:
1. una regola generale, che si appella maggiore (propositio major);
2. la proposizione che assume una conoscenza sotto la condizione della regola generale e dicesi minore (propositio minor);
3. in fine, la proposizione che afferma o nega della conoscenza assunta il predicato della regola, cioé la conchiusione (conclusio).
Le due prime proposizioni, prese insieme, si appellono premesse.
Oss. Regola è un'asserzione sotto una condizione generale. Il rapporto della condizione all'asserzione, come cioé questa sottostia a quella, è l'esponente della regola. La conoscenza che la condizione (dove che sia) ha luogo, è l'assunto. Il ligame di ciò ch'è assunto sotto la condizione, con l'asserzione della regola, la conseguenza.
Nelle proposizioni antecedenti o premesse consiste la materia del raziocinio razionale; la forma poi nella conclusione, in quanto contiene la conseguenza.
Oss. 1. Nel raziocinio razionale prima dunque è da esaminare la verità delle premesse, e poscia la legittimità della conseguenza. Nel rigettare un così fatto raziocinio, prima di rigettare la conclusione, è d'uopo rigettare le premesse o la conseguenza.
2. Nel raziocinio razionale la conclusione'è data, sì tosto che son date le premesse e la conseguenza.
Tutte le regole (giudizi) contengono una obbiettiva unità di coscienza della diversità delle conoscenze; e però una condizione sotto la quale una conoscenza appartiene con un'altra ad una sola coscienza. Or non si possono pensare che tre condizioni di questa unità: cioé, come soggetto d'inerenza delle note; come ragione di dipendenza di una conoscenza rispetto ad un'altra; in fine come collegamento di parti in un tutto (divisione logica). Conseguentemente non si possono dare che altrettante specie di regole generali (propositiones majores), onde la conseguenza di un giudizio si ottenga per mezzo di un'altra.
E sopra ciò si fonda la divisione di tutti i raziocinii razionali in categorici, ipotetici e disgiuntivi.
Oss. 1. I razíocinii razionali non si possono perciò dividere, né per la quantità, perché ogni maggiore è una regola, e però qualche cosa generale; né per la qualità, perché è ugualmente valevole, comunque sia la conchiusione, affermativa o negativa; né, in fine, rispetto alla modalità, perché la conchiusione è sempre accompagnata con la coscienza della necessità ed ha perciò la dignità di una proposizione apodittica. Adunque non rimane che la relazione come ragione di una divisione possibile de' raziocinii razionali.
2. Molti Logici tengono come ordinarli solamente i raziocinii razionali categorici; i rimanenti poi come straordinarii. Ma ciò è senza fondamento ed e falso: perocché tutta e tre coteste maniere di ragionare sono prodotti ugualmente legittimi della ragione, e del pari di sue funzioni essenzialmente differenti.
La differenza tra le tre anzidette maniere di raziocinii razionali sta nella premessa maggiore [Obersatz]. Nei raziocinii razionali categorici la maggiore è una proposizione categorica; negl'ipotetici è ipotetica o problematica; e nei disgiuntivi è disgiuntiva.
In ogni raziocinio razionale categorico si rinvengono tre concetti principali [Hauptbegriffe] (termini), cioé: 1. il predicato nella conclusione; il quale si appella concetto maggiore [Oberbegriff] (terminus major), perché ha una estensione maggiore del soggetto;
2. il soggetto (nella conchiusione), il cui concetto appellasi minore [Unterbegriff] (terminus minor);
3. una nota media (nota intermedia), che appellasi concetto medio [Mittelbegriff] (terminus medius), perciocché a suo mezzo una conoscenza si subordina alla condizione della regola.
Oss. Questa differenza dei termini anzidetti non ha luogo che nei raziocinii categorici, perché essi solamente conchiudono per via di un termine medio; gli altri, al contrario, non con-chiudono che assumendo una proposizione, rappresentata problematicamente nella maggiore e assertoriamente nella minore.
Il principio sul quale fondasi la possibilità [Möglichkeit] e la validità [Gültigkeit] di tutti i raziocinii razionali categorici, è questo:
Ciò che conviene alla nota di una cosa, conviene alla cosa stessa; e ciò che ripugna alla nota di una cosa, ripugna ancora alla cosa stessa (nota notae est nota rei ipsius; repugnans notae, repugnat rei ipsi).
Oss. Da questo principio appunto si può facilmente dedurre il cosi detto «Dictum, de omni et nullo»; e perciò questo non può valere come principio supremo, né per i raziocini razionali in generale, né per i categorici in particolare.
I concetti generici e specifici sono cioé note generali di tutte le cose che sottostanno a cotesti concetti. Quindi vale qui la regola: ciò che conviene o ripugna al genere o alla specie, conviene o ripugna a tutti gli oggetti che sono contenuti sotto quel genere o specie. E questa regola significa appunto il Dictum de omni et nullo.
Dalla natura e dal principio de' raziocinii razionali categorici derivano le seguenti regole a loro riguardo:
1. In ogni raziocinio razionale categorico non si possono contenere né più, né meno, di tre concetti principali (termini); perciocché qui si deve collegare due concetti (soggetto e predicato) mediante una nota media.
2. Le premesse non debbono essere tutte e due negative (ex puris negativis nihil sequitur); perché la subordinazione nella minore deve essere affermativa, indicando che una conoscenza sottostà alla condizione della regola.
3. Le premesse né meno debbono essere tutte e due proposizioni particolari (ex puris particularibus nihil sequitur); perciocché allora non si ha alcuna regola, cioé proposizione generale, onde si possa derivare una conoscenza particolare.
4. La conchiusione si conforma sempre alla parte più debole del raziocinio, cioé alla proposizione negativa e particolare nelle premesse, come quella che vien appellata parte più debole nel raziocinio razionale categorico (conclusio sequitur partem debiliorem).
5. Di qui è, che, essendo una delle premesse proposizione negativa, la conchiusione deve essere ancora negativa;
6. e, ove una premessa sia particolare, particolare deve essere ancora la conchiusione;
7. in tutti i raziocinii razionali categorici la maggiore deve essere una proposizione universale (universalis), la minore una proposizione affermativa (affirmans); e quindi segue in fine,
8. che la conclusione deve conformarsi, per la qualità, alla maggiore; per la quantità poi, alla minore.
Oss. Che la conclusione debba sempre conformarsi alla premessa, negativa e particolare, è cosa facile a vedere. Quando io fo sol particolare la minore e dico: alcuna cosa è contenuta sotto la regola; nella conclusione posso dire solamente che il predicato della regola conviene a qualche cosa, perché non più di questo ho subordinato alla regola. E quando io ho a regola, cioé, a maggiore, una proposizione negativa, debbo fare anche negativa la conclusione. Perciocché, se la maggiore dice: questo o quel predicato si deve negare di tutto ciò che sottostà alla condizione della regola, la conclusione deve negare il predicato anche di tutto ciò (del soggetto) che è stato subordinato alla condizione della regola.
Un raziocinio razionale categorico è puro (purus), se non vi è intromessa alcuna conchiusione immediata, né l'ordine regolare delle premesse è mutato; nel caso contrario si appella impuro o misto (ratiocinium impurum o hybridum).
Ai raziocinii misti sono da annovare quelli che si formano mediante la conversione delle proposizioni, e in cui perciò l'ordine di queste proposizioni non è regolare. Tal caso ha luogo nelle tre ultime così dette figure del raziocinio categorico.
Per figure sono da intendere le quattro maniere di concludere, la cui differenza è determinata mediante la collocazione particolare delle premesse e de' loro concetti.
Vale a dire, il termine medio, dalla cui collocazione dipende la figura, può occupare:
1. nella maggiore il luogo del soggetto, e nella minore quello del predicato;
2. nell'una e nell'altra premessa il luogo del predicato;
3. nell'una e nell'altra il luogo del soggetto;
4. nella maggiore il luogo del predicato, e nella minore quello del soggetto.
Per mezzo di questi quattro casi è determinata la differenza delle quattro figure. Indichi S il subbietto della conclusione, P il suo predicato, e M il termine medio; si può lo schema delle anzidette quattro figure rappresentare nella seguente tavola:
MP |
PM |
MP |
PM |
SP |
SP |
SP |
SP |
La regola della prima figura è, che la maggiore sia una proposizione universale, e la minore affermativa. E poiché ciò deve essere la regola generale di tutti i raziocinii razionali categorici, ne segue che la prima figura sia la sola regolare, che giace a fondamento di tutte le altre, e alla quale tutte le altre, per essere valide, è uopo ridurre mediante la conversione delle premesse metathesis praemissorum8.
Oss. La prima figura può aver una conclusione d'ogni quantità e qualità. Nelle altre figure non ci ha che conclusioni di certa specie; alcuni loro modi ne sono esclusi. Ciò indica già che coteste figure non sono perfette, ma vi si trovano certi limiti i quali impediscono che la conchiusione possa aver luogo in tutti i modi, come nella prima figura.
La condizione della validità delle tre ultime figure, sotto la quale è possibile in ciascuna di esse un modo giusto di ragionare, deriva da ciò che il termine medio nelle proposizioni tenga tal luogo, dal quale, per conseguenze immediate (consequentias immediatas) possa derivare la loro disposizione secondo le regole della prima figura. Di qui le seguenti regole per le ultime figure.
Nella seconda figura la minore è regolare; perciò si deve convertire la maggiore, e in modo che rimanga universale. Or ciò non è possibile, se essa non è universale negativa; essendo affermativa, deve essere contrapposta. Nell'uno e nell'altro caso la conclusione diviene negativa (sequitur partem debiliorem). Oss. La regola della seconda figura è questa: ciò, cui ripugna una nota di una cosa, ripugna alla cosa stessa. Or qui io debbo prima convertere e dire: ciò, cui una nota ripugna, ripugna a questa nota; o debbo convertire la conchiusione: cui una nota di una cosa ripugna, ripugna la cosa stessa; per conseguenza ripugna alla cosa.
Nella terza figura la maggiore è regolare; si deve perciò convertire la minore; ma in modo che ne risulti una proposizione affermativa. Ma ciò non è possibile, se non quando la proposizione affermativa è particolare; perciò la conchiusione è particolare. Oss. La regola della terza figura è questa: ciò che conviene o ripugna ad una nota, conviene ancora o ripugna a quelle, sotto cui questa nota è contenuta. Qui io debbo prima dire: conviene o ripugna a tutte quelle cose, che sono contenute sotto questa nota.
Se nella quarta figura la maggiore è universale negativa, si può convertire puramente (simpliciter); nello stesso modo la minore, come particolare; perciò la conchiusione è negativa. Essendo, al contrario, la maggiore universale affermativa, si può convertire solo per accidens, o contrapporre; perciò la conchiusione è particolare, o negativa. La conchiusione non dovendo essere convertita (P S mutata in S P), è uopo fare una inversione di premesse (metathesis paemissorum), o una conversione di tutte e due.
Oss. Nella quarta figura si ragiona a questo modo: il predicato si riferisce al termine medio, il termine medio al soggetto (ella conclusione), quindi il soggetto al predicato; ma ciò non segue affatto, si bene in ogni caso la sua reciproca.
Per rendere ciò possibile, la maggiore si deve passare a minore, e viceversa; di più la conchiusione devesi convertire, perciocché nel primo mutamento il termine minore vien mutato in maggiore.
Dalle arrecate regole per le tre ultime figure apparisce chiaramente:
1. che in niuna di esse ci è conclusione universale affermativa, ma che la conclusione è sempre o negativa, o particolare;
2. che in ciascuna c'é misto un raziocinio immediato (consequentia immediata), che, per verità, non è espressamente indicato, ma che non per tanto deve essere tacitamente inteso; e però anche in grazia di questo,
3. tutte queste tre ultime maniere di ragionare non si debbono dire raziocinii puri, ma impuri (ratioc: hybrida, impura), poiché ogni raziocinio puro non può avere più di tre termini principali.
Raziocinio ipotetico è quello che ha per maggiore una proposizione ipotetica. Esso perciò consta di due proposizioni: cioé di un antecedente (antecedens) e di un conseguente (consequens e quivi si deduce, o secondo il modo ponente, o secondo il modo tollente.
Oss. 1. I raziocinii razionali ipotetici non hanno perciò mezzo termine, medium terminum, ma in essi la conseguenza di una proposizione vien indicata solamente mediante un'altra. Vale a dire, nella loro maggiore vien espressa distintamente la conseguenza di due proposizioni, l'una dell'altra, delle quali la prima è premessa, la seconda conchiusione. La minore è un cangiamento della condizione problematica in una proposizione categorica.
Quindi si raccoglie come il raziocinio ipotetico sia da riguardare qual composto di due proposizioni, senza avere termine medio; che esso non sia propriamente raziocinio razionale, ma piuttosto una conchiusione immediata dimostrabile, per antecedente e conseguente, secondo la materia o secondo la forma (consequentia immediata demonstrabilis ex antecedente et conseguente) vel quoad materiam vel quoad formam.
Ogni raziocinio razionale deve essere una prova. Or il raziocinio ipotetico non reca in sé che un fondamento di prova. Perciò è chiaro che non potrebbe essere un raziocinio razionale.
Il principio de' raziocinii ipotetici è la proposizione fondamentale: A ratione ad rationatum; — a negatione rationali ad negationem rationis valet consequentia.
Nei raziocinii disgiuntivi la maggiore è una proposizione disgiuntiva, e però deve, come tale, avere i membri della divisione o disgiunzione.
Qui si conclude dalla verità di un membro della disgiunzione la falsità degli altri; o dalla falsità di tutti i membri, eccetto uno, la verità di questo uno. Quello procede per modum ponentem (o ponendo tollentem), questo per modum tollentem (tollendo ponentem).
Oss. 1. Tutti i membri della disgiunzione, eccetto uno, presi insieme, costituiscono l'opposto contradittorio di quest'uno. Perciò ha qui luogo una dicotomia9 secondo la quale, se una delle due parti è vera, l'altra deve essere falsa, e viceversa.
2. perciò tutti i raziocinii razionali disgiuntivi, che hanno più di due membri, sono propriamente polisillogistici. Perché ogni vera disgiunzione non può essere che bimembre (bimembris), e la divisione logica è ancora bimembre; ma i membri della suddivisione (membra subdividentia) si pongono, in grazia della brevità, tra i membri della divisione (membra dividentia).
Il principio del ragionamento disgiuntivo è quello del terzo escluso:
A contradictorie oppositorum negatione unius ad affermationem alterius; — a positione unius ad negationem alterius — vale! consequentia.
Dilemma10 è un raziocinio razionale disgiuntivo; o un raziocinio ipotetico il cui conseguente è un giudizio disgiuntivo. La proposizione ipotetica, il cui conseguente è disgiuntivo, è la maggiore; la minore afferma che il conseguente (per omnia membra) è falso, e la co nclusione afferma che sia falso l'antecedente (antecedens). A remotione consequentis ad negationem antecedentis valet consequentia.
Oss. Gli antichi facevano moltissimo uso del dilemma e l'appellavano raziocinio cornuto. Essi sapevano dar la stretta ad un avversario, con dire tutto ciò cui poteva rivolgersi, e confutando tutto. Gli mostravano molte difficoltà -in ogni opinione che ammetteva. Senonché è un arte sofistica quella di non confutare direttamente le proposizioni, ma solo mostrarne le difficoltà; il che invero attacca molte, anzi moltissime cose.
Or se vogliamo dichiarare falso tutto ciò in cui si trovano difficoltà, riesce un giuoco facile il rigettare tutto. Mette bene, a dir vero, di mostrare la impossibilità dell'opposto; ma ci è qualche cosa d'illusorio in ciò, tenendosi la inconcepibilità dell'opposto per sua impossibilità. I dilemmi hanno perciò molto di capzioso in sé, sebbene conchiudano rettamente. Si possono usare per difendere proposizioni vere, ma anche per attaccarle col muovere difficoltà contro di esse.
Raziocinio razionale formale è quello che non solo contiene tutti i requisiti secondo la materia, ma ancora rispetto alla forma è regolarmente e perfettamente espresso. A' raziocinii così fatti sono opposti i cryptica; ai quali si possono annoverare tutti quelli in cui l'ordine delle premesse è invertito, o una delle premesse tralasciata, o in fine il termine medio è congiunto solamente con la conchiusione. Un raziocinio razionale criptico (crypticum) della seconda maniera, in cui una delle premesse non si esprime, si appella raziocinio monco, o entimema11. Quelli della terza specie si appellano raziocinii contratti.
La facoltà de' giudizi [Urtheilskraft] è duplice: determinativa e riflessiva. La prima va dall'universale al particolare; la seconda dal particolare ali'universale. La seconda non ha che un valore subbiettivo; perciocche l'universale, a cui ella ascende dal particolare, non è che una universalità empirica, un semplice analogo dell'universalità logica.
I raziocinii della facoltà giudicativa sono certe specie di raziocinii onde si passa da concetti particolari a concetti generali. Non sono perciò funzioni della facoltà determinativa de' giudizii, ma della riflessiva; e però non determinano l'obbietto, ma solamente la maniera di riflettere su di esso, per giungere alla sua conoscenza.
Il principio che giace a fondamento de' raziocinii della giudicativa, è questo: che molte cose non si accordano insieme in uno senza una ragione comune; ma ciò che conviene di questa maniera a molte cose, sarà necessariamente per una ragione comune.
Oss. Poiché un tal principio giace a fondamento de' raziocinii della giudicativa, non si possono questi perciò tenere per raziocinii immediati.
La giudicativa, procedendo dal particolare al generale, per trarre giudizi generali dall'esperienza, e però non a priori (empiricamente), conchiude, da molte cose, tutte le cose di una specie; o da molte determinazioni e proprietà in cui convengono cose della stessa specie, le rimanenti in quanto appartengono allo stesso principio. La prima maniera di ragionare si appella razionicio per induzione; l'altra, raziocinio per analogia. Oss. 1. La induzione perciò procede dal particolare al generale (a particulari ad universale), giusta il principio dal generaleggiare: ciò che conviene a molte cose di un genere, conviene alle rimanenti cose dello stesso genere. L'analogia conchiude, dalla particolare simiglianza di due cose, la totale, giusta il principio della specificazione: le cose di un genere, delle quali si conoscono molte convenienze, convengono ancora nel rimanente che conosciamo in alcune cose di questo genere, ma non percepiamo nelle altre. La induzione allarga i dati empirici dal particolare al generale in riguardo a molti oggetti; l'analogia poi estende le qualità date di una cosa a molte della cosa stessa. Uno in molti, dunque in tutti induzione; molti in uno (che è ancora in altri), dunque anche il rimanente in esso: analogia. Cosi l'argomento a favore dell'immortalità, cavato dal perfetto sviluppamento delle facoltà naturali d'ogni creatura, è un raziocinio per analogia.
Intanto in così fatti raziocini non si richiede la medesimezza della ragione (par ratio) Per analogia concludiamo solamente che ci ha abitanti ragionevoli nella luna, ma non uomini; né meno si può conchiudere per analogia oltre il terzo termine di paragone, tertium comparationis.
2. Ogni raziocinio razionale è uopo che porga necessità. L'induzione e l'analogia non sono perciò raziocinii razionali, ma solamente presunzioni logiche, o raziocinii empirici; e per induzione si ottiene bene una proposizione generale, ma non universale12.
3. Gli anzidetti raziocinii della giudicativa sono utili e indispensabili per lo allargamento delle nostre conoscenze sperimentali. Ma perché non porgono che certezza empirica, dobbiamo servircene con accorgimento e circospezione.
Un raziocinio razionale appellasi semplice, se non è che un solo; composto, se risulta da più raziocinii razionali.
Un raziocinio composto, in cui i diversi ra-ziocinii razionali sono fra loro collegati non per semplice coordinazione, ma per subordinazione, come principii e conseguenze, appellasi catena di raziocinii razionali [Kette von Vernunftschlüssen] (ratiocinatio polysyllogistica).
Nella serie dei raziocinii composti si può procedere in due maniere: o dai principii alle conseguenze, o dalle conseguenze ai principii. Il primo procedimento è di episillogismi, il secondo di prosillogismi. Vale a dire, episillogismo è quel raziocinio nella serie dei raziocinii, la premessa del quale diviene la conchiusione di un prosillogismo, e però di un raziocinio, che ha la premessa del primo a conchiusione.
Un raziocinio, che risulta di più raziocinii abbreviati e fra loro collegati ad una sola conchiusione, si appella sorite13, o raziocinio a catena, il quale può essere progressivo o regressivo, secondo che dalle ragioni più prossime va alle più lontane, ovvero da queste a quelle.
I raziocinii a catena, sì progressivi come regressivi, possono di nuovo essere categorici o ipotetici. Quelli constano di proposizioni categoriche, come di una serie di predicati; questi di proposizioni ipotetiche, come di una serie di conseguenze.
Un raziocinio razionale falso nella forma, sebbene abbia l'apparenza di giusto raziocinio, appellasi raziocinio fallace. Così fatto raziocinio si appella paralogismo, in quanto alcuno s'inganna da sé; sofisma, in quanto altri di proposito cerca per tal mezzo ingannare.
Oss. Gli antichi molto si occupavano dell'arte di fare simili sofismi. Onde se ne distinguono molti di tal fatta; p. e. il sophisma figurae dictionis, in cui il termine medio è preso in diversi sensi; fallacia a dicto secundum quid ad dictum simpliciter — sophisma heterozeteseos, elenchi, ignorationis, ed altrettali.
Salto nel conchiudere o nel provare è il congiungere una premessa con la conclusione, di maniera che l'altra premessa sia tralasciata. Un tal salto è legittimo, se ognuno può di sua mente supplire la premessa mancante; ma è illegittimo, se l'assunto (premessa minore) non è chiaro. Allora si collega una nota lontana con una cosa senza la nota intermedia.
Per petizione di principio s'intende lo ammettere a principio di prova una proposizione come immediatamente certa, sebbene abbia pur bisogno di prova. E si cade in un circolo vizioso, quando la proposizione che si vuol provare si pone a fondamento della sua stessa prova.
Oss. Il circolo nella prova spesso è difficile a scoprire; e vi si cade ordinariamente con la maggior frequenza allora appunto che le prove sono difficili.
Una prova può provare troppo o pure poco. Nel secondo caso non prova che una parte di ciò che si deve provare; nel primo si estende anche a ciò che è falso.
Oss. Una prova che prova poco, può esser vera e però non è da rigettare. Ma provando troppo, prova più del vero; e in tal caso è falsa. Così p. e. la prova contro il suicidio, che chi non si è data la vita, né meno la si può togliere, prova troppo; perciocché in virtù di cotesto principio né pure ci sarebbe permesso di uccidere alcun animale. Essa dunque è falsa.
1. L'A. facendosi a tale ricerca metafisica, scioglie affermativamente la quistione, essendovi, a suo avviso, nell'intelletto umano non pochi di simili concetti, dei quali nota dodici primitivi, che, ad imitazione di Aristotele, appella categorie, ricavandoli dalla funzione propria dell'intelletto, che è il giudicare, secondo i quattro momenti principali della conoscenza: quantità, qualità, relazione e modalità.
È pregio dell'opera riportarne qui la tavola.
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1. Quantità: unità pluralità totalità |
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2. Qualità: realtà negazione limitazione |
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3. Relazione: d'inerenza e sussistenza (substantia et accidens) di causalità e dipendenza (causa ed effetto) di comunanza (azione reciproca tra l'agente e il paziente). |
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4. Modalità: possibilità, — impossibilità esistenza, — non-esistenza necessità, — contingenza. |
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Vedi « Kritik der reinen Vernuft. S. 100. Ediz. di Hartenstein
Trad.↩
2. In questo luogo come in qualche altro, l'A. afferma cose, che a voler giudicare convenientemente, occorrerebbe ben lunga disamina; specialmente ove si consideri tutto quel che viene esponendo nella sua opera più volte citata, Kritik der reinen Vernunft, Critica della ragion pura. Noi, stimando inopportuno pel nostro scopo entrare in discussioni critiche, ce ne asteniamo, come abbiamo fatto in altri luoghi.
Trad.↩
3. (a) In conformità di ciò, K. dice altrove che la ragione umana, facoltà dell'idea, è di sua natura architettonica, cioè considera le conoscenze come appartenenti ad un sistema possibile: Die menschliche Vernunft ist ihrer Natur nach architekto-nisch, d. i. sie betrachtet alle Erkenntnisse als gehörig zu einem möglichen System...
Kritik d. reinen Vernunft. S. 337. Ediz. Hartenstein.
Trad.↩
4. A chiarire maggiormente quanto l'A. ha detto nei quattro paragrafi precedenti, giova qui riportare ciò che dice in altra sua opera su i termini onde si possono propriamente esprimere le diverse maniere di rappresentazioni. Nella «Critica della ragion pura», dopo certe sue considerazioni su le idee in generale, si fa a precisare gradatamente in questo modo i significati de' diversi termini. «Rappresentazione (repraesentatio) in generale è il genere. Sotto di essa dimora la rappresentazione con coscienza (perceptio). Una percezione, riferita semplicemente al soggetto come modificazione del suo stato, è sensazione (sensatio); una percezione obbiettiva è cognizione (cognitio). Questa è intuizione o concetto (intuitus vel conceptus). L'una riferiscesi immediatamente all'oggetto ed è singolare; l'altro mediatamente per via di nota che può essere comune a più cose. Il concetto è empirico o puro; e il concetto puro, in quanto ha sua origine semplicemente nell'intelletto, (non nella forma pura della sensitiva, tempo e spazio puri), appellasi notio. Un concetto per nozioni, che sorpassa la possibilità dell'esperienza, è la idea, o il concetto razionale». Poi soggiunge: «A chi sia adusato a cotesta distinzione, deve tornare insopportabile udire appellare idea la rappresentazione del colore rosso. Essa non è da appellare nè pure nozione, concetto intellettuale. Die Gattung ist Vorstellung überhaupt (repraesentatio). Unter ihr steht die Vorstellung mit Bewusstsein (perceptio). Eine Perception, die sich lediglich auf das Subiect als die Modification seines Zustandes bezieht, ist Empfindung (sensatio); eine obiettive Perception ist Erkenntniss (cognitio). Diese ist entweder Anschauung oder Begriff (intuitus vel conceptus). Iene bezieht sich unmiitelbar auf den Gegenstand and ist eineln; dieser mittelbar vermittelsi ei-nes Merkmals, was mehreren Dingen gemein sei kann. Der Begrif ist entweder ein empirischer oder reiner Begrif; und der reine Begrif, so fern er lediglich im Verstande seinen Ursprung hal, (nicht im reinen Bilde der Sinnlichkeit,) heisst notio. Ein Begriff aus Notionen, der die Möglichkeit der Erfahrung übersteigt, ist die Idee oder dei. Vernunftbegriff. Dem, der sich einmal an diese Unterscheidung gewöhnt hat muss es unerträglich fallen, die Vorstellung der rothen Farbe Idee nennen zu hören. Sie ist nicht einmal Notion (Verstandesbegriff) zu nennen. Kritik der reinen Vernunft. S. 261. Ediz. citata.
Trad.↩
5. Il testo ha Pferd, cavallo; ma come il concetto di uomo può essere superiore per estensione a quello di cavallo? È forse errore de' copisti.
Trad.↩
6. Quanto ai principii formali, vedi a pag. 98.
Trad.↩
7. Si vegga in questi due esempi: Ogni uomo onesto è giusto; dunque nessun ingiusto è uomo onesto. Alcuni cittadini non sono onesti; dunque alcuni non onesti sono cittadini.
Trad.↩
8. L'A. chiarisce largamente quel che qui accenna in una sua dissertazione che ha per titolo: Die falsche Spitzfindigkeit der vier syllogistischen Figuren ertwiesen: La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche dimostrata.
Vedi « zweiter Band. S. 53. Ediz. di Hartenstein.
Trad.↩
9. Διχοτομία, divisione in due parti, da δίχοτομἐω, io fendo in due parti, io divido.
Trad.↩
10. Δί-λημμα da δία-λαμβάνω, che significa, ricevo divisamente, prendo con tutte e due le mani, tengo fermo.
Trad.↩
11. Il Trendelenburg per giustissime ragioni si allontana da questa maniera di pensare, generalmente accolta, intorno all'entimema. Egli fa notare anzi tutto come sì fatta specie di ragionare derivi da ciò che la nostra mente prende, talvolta, occasione da cose probabili, da verosimili, o da segni, e forma proposizioni universali. Enthymema, ei dice, ex verisimilibus vel signis. Se non che quelle proposizioni non hanno assoluta universalità, cioè non son tali da non patire eccezione di sorta; di qui l'imperfezione di tal modo di ragionare. Nè altro è costantemente presso Aristotele il significato di entimema: Haec prima enthymematis vis eaque apud Aristotelem sibi constans. E avvalora la sua sentenza con l'autorità di Quintiliano. L'entimema si appellò ancora sillogismo rettorico, o sillogismo imperfetto. Di qui è avvenuto che, guardandosi più alla forma esteriore che al valore suo proprio siasi detto «sillogismo in cui è tralasciata una delle premesse», facendo falsamente derivare entimema da ciò, che si ritenga una delle premesse nell'animo, ἐν θύμψ: derivazione lontana, come egli ben nota, sì dall'origine greca della parola entimema e sì dall'uso fattone da Aristotele: Enthymematis nomen si qui inde ducunt, quod propositio vel assumtio, ἐν θύμᾦ, animo retineatur: quum ab origine Graeca tum ab Aristotelis usu discedunt. In vece è a dirsi entimema, giusta il Facciolati per questo che sia un certo pensiero ovvero una considerazione della nostra mente che ricerca in qualche cosa ciò che è conveniente e acconcio a persuadere : esse enim ἐνθύμἐισθαι, versare animo, cogitare, commentari. E secondo Quintiliano ancora: Enthymema (quod nos commentum sane aut commentationem interpretemur, quia aliter non possumus Graeco melius usuri) unum intellectum habet, quo omnia mente concepta significat; eccetera.
Vedi: Elementa Logices Aristoteleae. Pag. 116.
Se non che ci è de' nostri alcuni che han mantenuta cotesta tradizione filosofica, l'antico ed originario significato dell'entimema. Per fermo, Genovesi, filosofo del salernitano, scrive: Enthymema est forma argumentandi, quae progredilur a signis ad res significatas; ut Mulier lac habet; ergo peperit. Expalluit; ergo timet. Tussit, ergo laborat pectore. Calet; ergo febricitat. Dopo ciò passa a dire l'uso che se ne fa dai recenti.
Vedi «Istitutiones Logicae».
Lib. V. §. 6.°
Trad.↩
12. (a) Vedi §. 21. Oss. 2.
Trad.↩
13. Soreites, da σωρός, cumulus, acervus.
Trad.↩
Ultima modifica 2024.01.26