Le forme politiche della concentrazione
Il restauro leninista della teoria
Il restauro della teoria leninista sul socialimperialismo
Evoluzione e mutazione della democrazia
Quantità e qualità nel metodo di Lenin
L'organizzazione nel metodo di Lenin
La leninista scienza della ritirata
Il principale contrassegno politico dell'imperialismo
La forma politica finalmente scoperta
Potere pubblico e carattere politico
L'immutata natura dello Stato dirigista
La nuova unificazione rivoluzionaria dei poteri
Concentrazione politica o varietà delle forme
Le forme politiche della concentrazione
Durante la prima guerra mondiale Lenin porta a termine una elaborazione teorica, iniziata negli anni '90, di portata storica. Venti anni di pensiero e di azione vengono fusi, durante quel periodo fecondo, in una lega ad altissima resistenza e potenza. Se i materiali che la compongono sono molti e non improvvisati, eccezionale è, tuttavia, la temperatura che li fonde in un amalgama perfetto.
La guerra 1914-1918 è un fenomeno economico, sociale, politico e militare inedito: è la prima guerra mondiale ed è la prima guerra mondiale imperialistica. Questo fenomeno, le cui cause economiche Lenin individua nella sua teoria sull'imperialismo sintetizzandole in cinque grandi contrassegni, è il risultato della concentrazione del capitale.
Essenzialmente a tale conclusione giunge l'analisi di Lenin. Il capitalismo genera guerre come la nube tempeste: ciò è una costante che ogni marxista conosce. Lo stesso Kautsky lo dice. Ma per la prima volta il capitalismo genera una guerra mondiale: ciò è specifico, è particolare. Perché lo stesso modo dl produzione capitalistico, che ha la costante di generare guerre, determina un fenomeno nuovo, specifico? Perché determina una guerra mondiale?
Perché si è sviluppato in un processo di centralizzazione del capitale, di concentrazione dei mezzi di produzione e di fusione tra capitale bancario e capitale industriale. Questo processo oggettivo si riflette sulla sovrastruttura, nello Stato. Come? è questo l'oggetto dello studio di Lenin sullo Stato e sulle forme politiche, studio che occupa il suo periodo di guerra. Alcuni anni fa, diversi storici hanno voluto vedere in questo periodo un salto qualitativo di Lenin che si distacca da Kautsky per restaurare la teoria marxista dello Stato. Altri hanno voluto vedere un Lenin stimolato dall'analisi di Bucharin sullo Stato imperialista. Tali interpretazioni non sono corrette.
Sulle costanti dello Stato, espressione della società classista e apparato di dominio di classe, non vi è alcun salto qualitativo di Lenin e non vi è alcuna rottura con Kautsky, dato che anche quest'ultimo continua a richiamarsi alle costanti comprese dalla teoria marxista dello Stato. Il salto qualitativo e la rottura con Kautsky risiedono, invece, nella definizione dei caratteri specifici dello Stato imperialistico.
Lenin, nello stesso tempo, non accetta la assolutizzazione della teoria di Bucharin, il quale vede solo la tendenza alla forma politica dello Stato imperialistico, ossia alla sovrastruttura specifica ed esclusiva della concentrazione del capitale, del capitalismo finanziario e del capitalismo statale. La teoria di Bucharin assolutizza una tendenza al trust statale capitalistico e ritiene superato il piccolo capitalismo e, di conseguenza, il "problema democratico" del piccolo capitalismo, ossia la forma politica corrispondente ad un grado inferiore di concentrazione del capitale e che si esprime, a quel grado, nella questione nazionale e nella questione agraria.
Lenin non accetta la teoria di Bucharin basata sulla assolutizzazione della tendenza alla concentrazione perché sa che ogni tendenza opera nel tempo storico e non in modo rettilineo ed è soggetta a fattori che la frenano. Per Lenin, il piccolo capitalismo non solo esiste ma risorge in particolari congiunture economiche come, ad esempio, la guerra e, ancor più, la guerra mondiale imperialistica.
Bucharin vede la pianificazione di guerra; Lenin vede, ad esempio in Germania, lo sviluppo del capitalismo di Stato come controllo e il contemporaneo sviluppo del piccolo capitalismo e, addirittura, del baratto. La contraddizione è nella realtà sociale e non nella teoria. Occorre individuare in questa realtà il contenuto e la forma prevalente perché il processo di concentrazione del capitale non è un movimento generalizzato ed uniforme bensì il movimento determinato dall'ineguale sviluppo capitalistico tra imprese, settori e mercati.
Solo l'analisi scientifica concreta, e non la singola individuazione di una tendenza di sviluppo, può permettere di trovare i tratti caratteristici di una formazione economico-sociale e di valutare se siano quelli prevalenti della concentrazione imperialistica o quelli prevalenti del piccolo capitalismo a grado inferiore di concentrazione. Ciò che vale per l'analisi della struttura, a maggior ragione vale per l'analisi della sovrastruttura politica dove le forme hanno una storia plurisecolare.
Nell'economia vi sono imprese e settori che nascono con lo sviluppo capitalistico ed altri che nascono, addirittura, con la maturità imperialistica. Basti pensare all'industria chimica, all'industria petrolifera, a quella elettrica o a quella automobilistica, settori fondamentali e che hanno un fortissimo peso sul totale della produzione.
Non a caso, gli studiosi dell'imperialismo, Hilferding, Luxemburg, Bucharin, Lenin, hanno sotto gli occhi un abbondante materiale di analisi da sistemare, da classificare e da definire. Variano le conclusioni teoriche degli studiosi di scuola marxista ma tanto inequivocabile è il riscontro della concentrazione da non costituire il prevalente motivo di differenziazione.
Questa si opera - ed è un aspetto che merita profonda riflessione - proprio nella valutazione del rapporto tra il movimento economico e il movimento politico. Ancora una volta emerge con forza la necessità storica della concezione materialistica della politica, punto di partenza del cammino marxista che deve essere, però, riconquistato ad ogni importante nodo della lotta delle classi, rimeditato ad ogni duro momento di difficoltà, riassimilato per poter proseguire.
Il riesame compiuto da Lenin, nella polemica contro l'empiriocriticismo e nei quaderni sulla dialettica, torna a proposito.
Se l'analisi dell'economia ha riscontri precisi ed inequivocabili, non altrettanti ne ha l'analisi della politica. Questa presenta materiali generici che vagano nei secoli. L’industria chimica nasce in un determinato momento ed è quantificabile in termini di capitale. La democrazia nasce nell'antica Grecia e, in sé, non ha niente di quantificabile, neppure il numero di voti.
Solo la concezione materialistica della politica può togliere la democrazia dal cielo dell'astrattezza e della mistificazione e renderla forma concreta di uno specifico e concreto contenuto economico e sociale. Con i piedi sulla terra, la democrazia diventa la democrazia della società schiavistica greca, la democrazia della borghesia rivoluzionaria francese, la democrazia dei contadini cinesi e la democrazia dell'imperialismo.
Assolutizzare, in un senso o nell'altro, la democrazia, significa essere fuori dal marxismo. Significa essere pro o contro la concezione materialistica della politica, revisionare in qualche modo questa concezione, buttare a mare una grande conquista della scienza per ritrovarsi, naufraghi, in una delle tante isole dell'arcipelago della politica borghese.
Perciò Lenin attacca Kautsky che vede la democrazia solo in astratto e senza lo specifico contenuto economico e critica Bucharin perché la vede esclusivamente in riferimento allo Stato imperialistico. Mentre restaura la teoria marxista dello Stato Lenin la applica con la definizione scientifica della democrazia imperialistica.
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Il restauro leninista della teoria
Lo studio di Lenin è di restauro delle costanti della teoria marxista sullo Stato perché solo con questo lavoro preliminare può stabilire un solido impianto di analisi dei caratteri specifici dello Stato che sta evolvendosi come sovrastruttura della prima guerra mondiale determinata dalla struttura capitalistica. Molto spesso è stata vista solo la premessa di Lenin e non se ne è capito lo svolgimento. è un errore che hanno fatto alcuni storici, e ciò sarebbe poco male se non fosse stato un errore interpretativo diffuso presso parecchi rivoluzionari.
Lenin, restaurando la teoria marxista sullo Stato, restaura la teoria marxista sulla democrazia del capitalismo a basso grado di concentrazione, per potere, così, operare scientificamente ed isolare la questione, che non poteva essere posta e risolta compiutamente da Marx e da Engels, della democrazia del capitalismo ad alto grado di concentrazione, ossia del grande capitalismo.
Lenin, restaurando la teoria marxista sulla violenza, restaura la teoria marxista sulla guerra del capitalismo a basso grado di concentrazione per potere, così, operare scientificamente ed isolare la questione, che trova in Marx ed in Engels la sua prima impostazione, della guerra del capitalismo ad alto grado di concentrazione.
Cosa è la democrazia, forma politica e involucro, del capitalismo maturato imperialisticamente? Cosa è la democrazia nella guerra imperialistica? Cosa è lo Stato nell'imperialismo?
Nel rispondere a queste questioni specifiche, che riguardano quella democrazia, quella guerra, quello Stato e non la democrazia, la guerra, lo Stato in generale, Lenin rifiuta la tesi che sia cambiata la natura dello Stato, ossia che lo Stato non sia più la sovrastruttura politica determinata dalla struttura economico-sociale.
è significativo che, nello stesso tempo, neghi la tesi di chi ritiene, come la Luxemburg, che l'imperialismo e lo Stato della fase imperialistica superi la democrazia. Dice a Kautsky che non esiste una democrazia in astratto ma che esiste solo una democrazia storicamente determinata e questa risposta vale anche per la Luxemburg. Quindi conclude che la democrazia è il miglior involucro del capitalismo maturato imperialisticamente, ossia del grande capitalismo concentrato.
è lo stesso corso della prima guerra mondiale imperialistica a fornire il materiale, la montagna di fatti concreti, che riveste di carne lo scheletro dell'idea generale di Lenin. Tale fenomeno storico inedito fornisce la prova per la teoria. è con la forma democratica che gli Stati imperialisti più forti vincono. Quelli più deboli perdono con altre forme politiche. Se è sempre valido il rapporto, scoperto dal marxismo, tra economia e politica, ciò significa che i gruppi imperialisti più forti, quelli che riescono a prevalere su quelli più deboli, determinano lo Stato democratico. I gruppi imperialisti più deboli lo sono anche perché non riescono a determinare lo Stato democratico. Lo Stato imperialista più forte è, quindi, lo Stato democratico. Lo Stato più democratico è, di conseguenza, lo Stato dell'imperialismo più forte. Sia che la si affronti dal lato dell'involucro come dal lato del contenuto, la formula del rapporto non cambia.
La politica è l'espressione concentrata dell'economia, dice Lenin. Lo Stato democratico dell'imperialismo, uscito vittorioso e rafforzato dalla prima guerra mondiale che è il massimo atto di politica come espressione concentrata di economia, è la prova della grande scoperta di Lenin. La seconda guerra mondiale imperialistica, che riproduce in proporzione allargata la prima, ne è la comprova. Ormai c'è quasi un secolo di accumulo di teoria e di pratica sull'economia e sulla politica dell'imperialismo ed è tempo di tirarne tutte le conclusioni.
La prima è quella di restaurare la teoria di Lenin sulla "democrazia imperialista" come applicazione scientificamente conseguente alla teoria marxista dello Stato. La seconda è di restaurare la teoria di Lenin sul socialimperialismo. è quello che noi, da tempo, andiamo facendo convinti, come siamo, che il prodotto dell'elaborazione più profonda di Lenin, risultato dalla fusione tra la continuità teorica delle prime due generazioni marxiste e l'esperienza della prima guerra mondiale imperialistica, non sia stato sufficientemente assimilato e sia stato accolto più nell'esteriorità che nella sostanza.
L’elaborazione più profonda di Lenin, che restaura la teoria di Marx per avere gli strumenti scientifici adatti ad affrontare la nuova fase dello sviluppo capitalistico con tutti i suoi sconvolgenti effetti sociali, politici e militari, rappresenta un salto teorico e pratico nella storia del movimento rivoluzionarlo, come lo aveva rappresentato l'elaborazione più profonda di Marx e di Engels nella fase delle guerre borghesi regionali e non mondiali.
Anche allora, dopo quelle guerre, il nucleo fondamentale della teoria di Marx ed Engels, maturata al fuoco di avvenimenti eccezionali e costituenti un enorme laboratorio storico da analizzare prima della successiva decantazione, non era stato sufficientemente assimilato.
Esigenze d'organizzazione, di agitazione, di popolarizzazione, avevano finito con il sacrificarlo; esigenze vere, poiché corrispondenti al movimento reale, ma mal poste perché solo il Partito-Scienza può riuscire, anche se a lunga distanza e superando infiniti ostacoli, ad assolverle e risolverle.
Non vi sono scorciatoie nella strada maestra dell'emancipazione storica del proletariato e, quindi, dell'umanità. Pensare di schivare le curve impegnative della dura scienza, della dura assimilazione scientifica, della dura lotta sul terreno scientifico, significa andare dritti a spaccarsi la testa nel muro del massimalismo, del verbalismo, del nullismo. Quando Lenin, di fronte alla curva impegnativa della prima guerra mondiale imperialistica, restaura il nucleo fondamentale del pensiero di Marx e di Engels, per potere tracciare il giusto cammino, lo fa per riportare il movimento rivoluzionario sulla strada maestra. Su questa strada occorre proseguire.
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Il restauro della teoria leninista sul socialimperialismo
Se due conclusioni si impongono al movimento rivoluzionario dopo quasi un secolo di esperienza (restaurare la teoria di Lenin sulla "democrazia imperialista" e sul socialimperialismo), è perché l'una è condizione dell'altra e tutte e due sono condizione del futuro del movimento stesso.
Finché ci sarà una società divisa in classi ci sarà una lotta, più o meno intensa, tra le classi antagoniste. Da questa base scaturirà sempre un movimento reale di classe, ma senza teoria rivoluzionaria non riuscirà mai a trasformarsi in movimento rivoluzionario e a superare la fase utopica e ribellistica. Sarà sempre subordinato, sia con la repressione che con la neutralizzazione. La teoria rivoluzionaria, in fondo, non lo è perché indica la necessità della rivoluzione dei rapporti sociali di produzione e di distribuzione e, quindi, dei rapporti politici. Una teoria che si limitasse a questo sarebbe utopica, soggettivistica, idealistica, moralistica. Propugnerebbe un ideale, ispirato da una passione, contro una realtà.
La teoria è rivoluzionaria perché ricava la necessità della rivoluzione dei rapporti sociali, e quindi politici, dall'analisi scientifica dello sbocco contraddittorio e catastrofico delle tendenze di sviluppo del capitalismo maturato imperialisticamente. Essa non fa la rivoluzione e nemmeno la prepara, poiché non può esistere un prodotto concettuale che faccia o prepari un processo materiale oggettivo. Essa prepara lo strumento politico ed organizzativo che interviene nel processo oggettivo.
Per giungere ad una corretta e compiuta analisi sul funzionamento della democrazia nell'economia imperialistica, Lenin deve individuare lo specifico ruolo sociale della socialdemocrazia in questa fase dello sviluppo capitalistico. Se la corrente riformistica in seno al movimento operaio è sempre stata il risultato dell'influenza di alcune frazioni della borghesia, particolarmente di quelle liberali, ora è ancora il risultato di tale influenza della borghesia la quale, tuttavia, in tutte le sue frazioni, è diventata imperialistica. Non vi sono frazioni della classe dominante che non siano imperialistiche.
Kautsky revisiona, invece, il marxismo perché ritiene che l'imperialismo sia una scelta politica sulla quale si differenziano le frazioni borghesi. Lenin attacca questa posizione ed individua in essa la manifestazione di un fenomeno nuovo collegato alla maturità imperialistica del capitalismo: il socialimperialismo.
Per decenni, alcune frazioni industriali della borghesia, liberoscambiste in economia e liberali in politica, avevano influenzato e utilizzato settori del movimento operaio nel condurre avanti la lotta contro le frazioni agrarie ed anche industriali protezionistiche e dirigistiche le quali, a loro volta, stabilivano la loro influenza su altri settori del proletariato industriale ed agricolo.
La lotta politica tra le frazioni della classe dominante attraversa tutta la storia del movimento operaio e in tutti i paesi. Lo sforzo gigantesco del marxismo rivoluzionario è stato, e sarà, quello di sottrarre il movimento operaio a questa influenza e a questa lotta di influenze. è uno sforzo continuo, nell'arco del tempo storico delle generazioni del proletariato, per conquistare posizioni alla indipendenza teorica, organizzativa e politica della classe dominata; a volte avanza, spesso arretra, quasi sempre può apparire come il lavoro di Sisifo. Ma è l'unica via che ha una classe giovane per emanciparsi e per essere in grado di utilizzare tutte le contraddizioni della classe dominante per liberarsi. Altrimenti non c'è scampo: sarà utilizzata dalle contraddizioni. Chi dice il contrario ha l'interesse a dirlo o è un demagogo senza principi, un socialimperialista consapevole o inconsapevole.
Il proletariato è una classe che, per recente formazione storica, ha scarsa preparazione generale e poca esperienza. Solo con la scienza del marxismo può elevare la preparazione generale, tramandare la sua esperienza ed allargarla distillando, con metodo appropriato, la esperienza di classi più vecchie, la borghesia in primo luogo. Solo in questo modo, conquistando e difendendo la sua autonomia, può formare i suoi quadri capaci di battere i quadri della borghesia e in grado di conoscerne tutto l'intimo e complesso meccanismo di funzionamento, i suoi punti di forza e le sue contraddizioni. La storia ci fornisce un solo esempio di acquisizione di una tale capacità: quello bolscevico, purtroppo ristretto, per una serie di circostanze, alla sola area russa e, quindi, destinato a soccombere.
La superiorità di quadri nella sola area russa non poteva, in alcun modo, bilanciare la preponderante superiorità della borghesia internazionale. La via resta, comunque, quella sperimentata. Lo strumento c'è ed è il marxismo rivoluzionario. Rimane soltanto il compito generale di spingere in salita. Rimane il compito di restaurare la teoria di Lenin sul socialimperialismo.
Marx ed Engels avevano ricavato dall'analisi dello scontro tra le due frazioni liberiste e dirigiste, liberali e reazionarie, Iibero-scambiste e protezioniste, e dall'attento studio della loro influenza e concorrenza sul movimento operaio, la teoria dell'aristocrazia operaia e del partito operaio borghese. Quasi un secolo di cicli economici e di lotte politiche in Inghilterra, in Francia, in Germania è condensato in questa teoria che non è il gesto della impazienza moralistica ma il frutto della serena meditazione scientifica.
Lenin restaura questa teoria e, nella nuova fase imperialistica, richiama tutte le costanti del fenomeno sociale che l'ha originata. L'aristocrazia operaia, soggetta ad espansione e a restrizione secondo i cicli economici, è una costante come lo è la guerra. L’influenza delle frazioni borghesi sul movimento operaio è un'altra costante.
Ma ciò che accomuna le frazioni borghesi è lo sviluppo imperialistico del capitalismo: esse possono differenziarsi su liberismo e su dirigiamo, su libero-scambismo e su protezionismo, ma vivono ormai con lo stesso sangue che ha come tratto caratteristico il parassitismo. Possono differenziarsi in liberali e in conservatori, ma sono accomunate dalla "reazione su tutta la linea" perché nessuna rappresenta il progresso delle forze produttive e tutte ne rappresentano la distruzione nelle crisi e nelle guerre imperialistiche. La loro influenza sul movimento non può essere altro che la politica sociale dell'imperialismo: il socialimperialismo.
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Evoluzione e mutazione della democrazia
Da quella profonda elaborazione che Lenin compie, negli anni di guerra, sulle forme politiche e sul fenomeno socialimperialista è stata ripresa - come capita spesso alle teorie scientifiche - solo la parte riguardante le costanti, restaurate da Lenin stesso, della concezione marxista dello Stato e della stratificazione del proletariato che porta alla formazione dell'aristocrazia operaia.
Dalla formulazione sulla democrazia nella fase imperialistica è stata, spesso, ripresa la parte riguardante la denuncia e la demistificazione. Ossia, è stata sottolineata, per esigenze di agitazione, la parte che scientificamente nega la validità dei postulati dell'ideologia borghese ed opportunista sulla democrazia. Di conseguenza, meno in risalto è stata posta a parte affermativa, dove Lenin analizza cosa è la democrazia nella società capitalistica maturata imperialisticamente.
Restaurando la teoria marxista sullo Stato e sul "partito operaio borghese", Lenin non si limita alla polemica con chi, come Kautsky, l'ha rinnegata; fa qualcosa di più, la sviluppa in una fase storica che vede il capitalismo giungere alla fusione tra il capitale bancario e quello industriale. Lo Stato che viene determinato da un tale processo non supera le vecchie forme politiche ma le adatta alla nuova struttura economica, così come il vecchio "partito operaio borghese" di tipo riformista non scompare ma adegua il suo tradizionale ruolo ai nuovi compiti dello Stato divenuto imperialista.
è un errore assolutizzare e considerare tali fenomeni come del tutto nuovi, completamente staccati dalle loro origini storiche, così come è un errore considerarli solamente per quello che rappresentano di tradizionale e di continuità storica. Chi assolutizza ritiene che non vi è più democrazia e che non vi e più il "partito operaio borghese" riformista. Il lungo studio di Marx e di Engels su questi fenomeni non è più sufficiente per chi la pensa in questo modo e crede che occorra rappresentare le forme politiche espresse dall'imperialismo in termini del tutto inediti che sottolineano la crescente simbiosi e l'aspetto totalizzante.
Chi non coglie, invece, quanto nella sovrastruttura ha determinato lo sviluppo della struttura continua a considerare la forma politica democratica ed il "partito operaio borghese" con un metro inadeguato. Pensa che democrazia e riformismo operaio siano ancora qualcosa da riformare dall'interno e non si accorge che la democrazia è diventata la migliore forma per la collaborazione di classe in funzione della concorrenza e della guerra imperialista e che il riformismo operaio, sempre soggetto all'influenza delle frazioni borghesi per le loro lotte, è diventato il veicolo del riformismo borghese in seno al movimento operaio. Il "partito operaio di massa" con influenza borghese è diventato il "partito borghese" con influenza sulla massa operaia.
Lenin, studiando l'imperialismo, studia l'evoluzione della forma politica e dell'opportunismo e si scontra con gli assolutizzatori e con i continuisti. Da grande scienziato materialista, ricostruisce il meccanismo che dall'evoluzione porta alla mutazione delle specie sociali e politiche e ne rintraccia gli elementi di continuità e gli elementi di novità presenti, con una combinazione dialettica, in ogni processo organico della vita naturale e della vita sociale.
La diffusione della scienza deve, per forza di cose, popolarizzare scoperte e concetti; se vi riesce, li fa diventare formule sintetiche, anche schematiche, ma pur sempre con il nocciolo di verità scientifiche. A volte, per una serie di fattori, teorie e concetti scientifici subiscono un procedimento di volgarizzazione che li trasforma in luoghi comuni che capovolgono l'affermazione originaria. Capitò alla teoria del plusvalore quando venne messo in bocca a Marx l'opposto di quanto aveva detto.
Ciò spiega anche la genesi ideologica della teoria staliniana del socialfascismo, dove la tesi del superamento borghese della democrazia giunge ad essere la caricatura di se stessa, sino al punto di partorire la tesi dei fronti popolari del recupero della democrazia abbandonata.
Se l'ipotesi indirizza e feconda l'analisi a patto che non sia smentita dal risultato della ricerca, la tesi non può essere che l'ipotesi provata scientificamente. La tesi senza base scientifica non è altro che una ipotesi e quando non è presentata come tale è una semplice manipolazione di parole che solo una certa consequenzialità logica, quando esiste, può fare apparire quali concetti. Con questo dato di partenza, la manipolazione delle parole non ha limiti poiché, in realtà, è una manipolazione di passioni. Se poi la pseudotesi si richiama formalmente ad una tesi scientifica, combina il vantaggio di manipolare parole con il riferimento puramente rituale alla serietà scientifica. Ogni dottrina scientifica ha subito questo castigo nella riproduzione biologica. Non poteva sottrarvici quella marxista, quando seminava denti di drago.
Si è finito con l'inserire il pensiero di Lenin nella preesistente e susseguente teorizzazione sul superamento e abbandono della democrazia da parte della borghesia imperialistica. In questa confusione delle effettive posizioni teoriche e politiche, del resto chiaramente delineate nella lunga polemica che va dalla fine del secolo agli anni della prima guerra mondiale e che ha tra i protagonisti Trotsky, Rosa Luxemburg, Bucharin e Lenin stesso, non emerge quanto diversa ed opposta sia la tesi sulla forma democratica dell'imperialismo.
Per Lenin la borghesia non è costretta ad abbandonare la democrazia se è in grado, oggettivamente e soggettivamente, di utilizzare il fenomeno sociale e politico socialimperialista, ossia il prodotto sul movimento operaio della maturità ed imputridimento parassitario del capitalismo nella fase di ripartizione finanziaria e militare del mondo tra le vecchie e le nuove potenze.
La democrazia diventa l'involucro migliore per la borghesia nell'assicurare la sua dominazione se riesce a far svolgere un ruolo particolare alla tendenza socialimperialista del movimento operaio e a legarla, tramite la pluralità di funzioni che va dai conservatori ai riformisti, ai suoi interessi generali. Sarà poi il socialimperialismo a rialzare la bandiera democratica e a portarla avanti sul campo della guerra, della concorrenza e della suddivisione del mercato mondiale. Ritenere di poter raccogliere la bandiera democratica per portarla avanti sul campo della rivoluzione socialista significa, nella migliore delle ipotesi, perdere tempo prezioso e, nella peggiore, non accorgersi di marciare dietro l'opportunismo. L’emancipazione del proletariato e la libertà non vanno in quella direzione. L’emancipazione della classe dominata e la libertà della specie umana non hanno altra via che quella comunista.
Il passaggio, indicato da Engels, dal "regno della necessità" al "regno della libertà" ha imboccato la strada obbligata della fase storica delle guerre imperialiste e delle rivoluzioni comuniste.
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Quantità e qualità nel metodo di Lenin
Lenin, per affrontare l'analisi dell'imperialismo e il conseguente fenomeno del socialimperialismo, deve studiare ed individuare gli elementi tipici e costanti, che si ripetono in un certo periodo di tempo, della realtà sociale e politica presa in esame e gli elementi specifici e particolari, che emergono come nuovi dati della realtà stessa.
Anche Kautsky segue questo metodo e se ripropone la democrazia e la libertà in termini generali ed astratti, e in definitiva ideologici, non è perché non colleghi le forme politiche all'imperialismo ma perché nega che la fusione tra il capitale bancario e il capitale industriale nel capitale finanziario costituisca, come costituisce per Lenin, una fase suprema del capitalismo. Per Kautsky l'imperialismo è solo una politica del capitalismo e non la politica necessariamente determinata dal processo di concentrazione del capitale. Se l'imperialismo è solo una politica vi possono essere altre politiche e il proletariato può contrastare quella imperialistica a favore di una politica democratica.
Essendo, per Kautsky, la politica imperialista una scelta del capitalismo, ne deriva che anche la politica democratica può essere una scelta del proletariato. Anzi, deve essere la scelta esclusiva. Imperialismo e democrazia vengono, così, riproposti da Kautsky in termini generali ed astratti e non è un caso che li ricolleghi al mondo antico.
Kautsky vede sì le forme politiche determinate dallo sviluppo economico, ma le vede stabilendo una specificità non corrispondente al processo reale. Se fosse vero che il capitale finanziario non determina la politica imperialistica, altrettanto vero sarebbe, come pensa Kautsky, che non determina la democrazia imperialista. Solo analizzando lo sviluppo capitalistico, nelle sue costanti e nelle sue particolarità, Lenin poteva studiare il processo di formazione del capitale finanziario e il meccanismo di determinazione delle forme politiche dell'imperialismo, quindi anche della democrazia e del socialimperialismo. Poteva, così, restaurare la concezione materialistica della politica nella fase imperialistica.
Esemplare è il lavoro di Lenin che ci viene dato dai suoi "Quaderni sull'imperialismo". Su questo materiale abbiamo la possibilità di ricostruire, con sufficiente margine di precisione, il suo metodo di studio e di elaborazione teorica e politica. è un metodo che, indipendentemente dal risultato deve, per ovvie ragioni, ispirare in ogni momento l'attività del militante leninista.
Risalta la grande quantità di materiale esaminato, catalogato, ordinato, selezionato, riassunto. Il lavoro inizia dalla metà del 1915 e prosegue per mesi senza sosta. Abbiamo il primo esempio: la quantità nel metodo di lavoro. Dei ventuno "Quaderni sull'imperialismo" quindici furono utilizzati sia per stabilire il piano del libro "L'imperialismo, fase suprema del capitalismo" che per la redazione del libro stesso, redazione compiuta nella prima metà del 1916, mentre la pubblicazione avvenne nel gennaio 1917, poco prima dello scoppio della seconda rivoluzione russa.
Nei primi quindici "Quaderni" sono compresi estratti, spesso estesi, di 148 libri, di cui 106 in lingua tedesca, 23 in francese, 17 in inglese e 2 tradotti in russo, e di 232 articoli contenuti in 49 diverse pubblicazioni, in stragrande maggioranza tedesche. I titoli utilizzati per il libro sono 380 ma quelli consultati per i "Quaderni" più di cinquecento. Queste cifre danno l'idea della quantità di materiale affrontata da Lenin nella sua analisi scientifica dell'imperialismo e del socialimperialismo. Niente viene trascurato e tutto viene raccolto e selezionato nella raccolta di un "Monte Bianco" di fatti concreti.
Ma come non perdersi in questo monte di dati? Come non confondersi? Abbiamo qui il secondo esempio: la qualità del metodo di lavoro. Si può suddividere questa qualità in due aspetti.
Primo: la sistematicità nell'applicazione della teoria, ossia dell'insieme di tesi, a cui fa riferimento costante senza oscillazioni eclettiche. "Il Capitale" di K. Marx è assunto come "idea generale", come "scheletro" attorno al quale deve vivere la massa dei fatti concreti ricavati dalla carne e il sangue della realtà. La teoria, l'insieme organico di tesi, la "idea generale" con la quale organizzare la raccolta di dati e definire ipotesi di lavoro può derivare solo dal marxismo vivente nel Partito Scienza e non da una individuale conoscenza intellettuale e dottrinale del marxismo.
La conoscenza accademica del marxismo può dare solo una filologia, anche accurata e a buon livello, ma non una analisi scientifica che, per sua natura, fonde premesse e scopi anche nel caso limite del risultato che infirma le premesse. è il processo stesso dell'analisi scientifica a collaudare le premesse e non viceversa, poiché senza premesse e scopi non può neppure iniziare il processo di analisi scientifica. Quindi senza teoria non vi è scienza.
Il marxismo non è una scienza accademica che si tramanda attraverso le istituzioni della cultura borghese e della produzione capitalistica. Essendo la scienza della rivoluzione proletaria, esso può influenzare quelle istituzioni ma non farne lo strumento della sua continuità. Perciò solo una istituzione specifica può organizzare la trasmissione storica, attraverso le generazioni, della teoria marxista e questa istituzione è il Partito della classe dominata e, nella nostra epoca, il Partito leninista.
Il risultato dell'analisi scientifica, di conseguenza, è un risultato collettivo in quanto permesso da una continuità organizzativa plurigenerazionale. Senza questa continuità, per quanto soggetta ad errori, flessioni, cadute, deviazioni, non vi può essere neppure la possibilità della ricerca scientifica condotta individualmente. Di individuale c'è solo la volontà sistematica nella ricerca.
E qui arriviamo al secondo aspetto della qualità del metodo di Lenin: la sistematicità nella volontà ferrea del lavoro. Essa si concretizza nel: a) prefiggersi dei filoni di ricerca e percorrerli implacabilmente, senza fermarsi, senza annoiarsi, senza cadere in superficiali autosufficienze, con la consapevolezza che il lavoro non è mai finito; b) impegnarsi duramente, con la modestia rivoluzionaria dello scienziato marxista e senza la presunzione dell'intellettuale piccolo-borghese, senza il suo estetismo individualista per le novità che lo porta a saltare di tema in tema, di argomento in argomento.
L'instabilità di metodo di lavoro è in fondo instabilità di volontà e, infine, instabilità politica. Nei "Quaderni sull'imperialismo", con la qualità del metodo, Lenin dimostra la qualità del militante rivoluzionario che aveva indicato nel "Che fare" all'inizio del secolo.
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Volgarizzazione nel metodo di Lenin
Dai primi lavori sullo sviluppo del capitalismo in Russia allo studio sull'imperialismo, possiamo ricavare la qualità e a quantità nel metodo di Lenin. Ne risulta una lezione che deve essere tenuta sempre presente in ogni lavoro teorico e pratico, politico e organizzativo perché, sempre, nella concezione materialistica della politica è più importante l'assimilazione, la continuità ed il perfezionamento del metodo che la ripetizione dottrinaria e libresca dei suoi risultati.
I risultati possono e debbono costituire dei punti di riferimento nel tracciare le coordinate per l'impostazione del lavoro da compiere. Essi rappresentano le indispensabili fonti di consultazione nell'inizio e nel prosieguo del lavoro, ma non possono sostituirlo.
Senza metodo non vi è lavoro e senza metodo corretto non vi è lavoro corretto. Ecco perché quantità e qualità nel metodo di Lenin sono due esempi. Un terzo esempio che viene dal lavoro svolto da Lenin nei "Quaderni sull'imperialismo" è l'impostazione organizzativa della ricerca scientifica.
Il rivoluzionario professionale Lenin è già un esempio di concreta applicazione della organizzazione del lavoro: dall'organizzare un gruppo politico all'organizzare una ricerca per elaborare, con metodo di analisi, e per scrivere, con un metodo di esposizione, un libro. Non vi può essere lavoro organizzativo senza una volontà ferrea, non vi può essere volontà ferrea senza che si organizzi nel lavoro. è nel lavoro non condizionato dal rapporto mercantile che risiede l'essenza della libertà la quale, per la natura che ha ormai maturato dal divenire storico, non può che essere libertà comunista. Il lavoro organizzato della volontà ferrea diventa l'unica possibilità di libertà comunista, così come l'organizzazione nel lavoro è l'unica necessità della volontà ferrea di libertà.
La stretta interdipendenza volontà-organizzazione, che ritroviamo in Lenin, caratterizza il Partito di tipo leninista, caratterizza la formazione e la crescita del militante, caratterizza la preparazione e la selezione del quadro operaio che sorge dalla lotta immediata per elevarsi ai compiti strategici della classe internazionale. Questa stretta interdipendenza volontà-organizzazione è, nello stesso tempo, la base della disciplina teorica, politica ed organizzativa la quale è, in realtà, autodisciplina in quanto è consapevolezza dei compiti strategici, teorici e politici, e degli strumenti necessari al loro assolvimento.
Molti uomini, anche in condizione proletaria, hanno volontà individuale che, spesso, è una volontà saltuaria, non sistematica e che si disperde come il vento. è una volontà che non si organizza. La volontà, organizzandosi, è costretta a darsi un ordine di lavoro. Anche la volontà più costante che non riesce ad organizzarsi e che coesiste con il disordine finisce con l'essere dispersiva e non sistematica. Ecco perché volontà organizzata con ordine e autodisciplina sono, spesso, la stessa cosa.
L'impostazione organizzativa della ricerca scientifica in Lenin è anche applicazione di ordine, e quindi di autodisciplina, nel lavoro. Lenin nel lavoro di ricerca, di spoglio, di selezione e di elaborazione su centinaia di testi organizza con ordine un mezzo di produzione teorica e politica. Ecco come procede: 1) sceglie migliaia di pagine dai testi che legge; 2) ricopia, per esteso, parecchie centinaia delle pagine selezionate; 3) riassume i passi più significativi di centinaia di testi; 4) sintetizza le tesi principali e, spesso, anche le tesi secondarie che emergono dal materiale consultato con questi particolari criteri; 5) ricopia montagne di dati statistici; 6) ordina, infine, tutto questo materiale selezionato, riassunto, sintetizzato, per argomenti e temi.
Solo perché ha lavorato in questo modo, Lenin ha, ad un certo momento, la possibilità oggettiva di fare confronti, comparazioni, critiche, ecc., ossia di passare al definitivo stadio dell'elaborazione. Da tutto questo lavoro preliminare può, nel salto qualitativo della sintesi, definire l'imperialismo nella sua complessità e nella sua essenza, poiché ne ha visto e analizzato tutti i nessi economici, politici, militari ed ideologici e ne ha ricavato i caratteri fondamentali, i cinque contrassegni, che emergono da una infinità di caratteri secondari.
La realtà dell'imperialismo è una realtà composita come ogni realtà, e in essa esiste una infinità di nessi come esiste in ogni realtà materiale.
La ricerca scientifica è l'analisi di tutti i nessi esistenti ma non può fermarsi a questo stadio. Essa deve proseguire verso la scoperta scientifica, la quale, in questo senso, è quella che ipotizza e prova che nell'insieme dei nessi reciproci vi sono elementi o fattori predominanti.
Indicare cinque contrassegni della realtà imperialistica non significa cancellare, dimenticare o non considerare tutti i nessi reciproci che la compongono, ma significa che l'azione di tutti i rapporti presenti determina la predominanza di alcuni rapporti i quali possono essere definiti come caratterizzanti. Nei "Quaderni sull'imperialismo" di Lenin troviamo il laboratorio di un lavoro scientifico retto da questo procedimento di ricerca e organizzato al fine di consentire questo procedimento.
Nel laboratorio entrano tutti i rapporti sociali del modo di produzione capitalistico giunto, nel suo sviluppo, ad esprimere alcuni fenomeni che necessitano di essere definiti in modo rigoroso per ciò che hanno di specifico in confronto ad altri fenomeni costanti. Lenin analizza tutti i rapporti sociali che presiedono alla manifestazione dei fenomeni che formano l'imperialismo, ma questi rapporti sociali sono posti in relazione con i cinque contrassegni della nuova fase storica del capitalismo.
Quattro sono gli aspetti principali che emergono dalla ricerca di studio dei "Quaderni": il capitale finanziario, la politica internazionale, la questione militare e il socialimperialismo. Essi sono strettamente collegati e sono l'oggetto di studio della concezione scientifica applicata alla politica, della concezione materialistica della politica di una società capitalistica maturata imperialisticamente.
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La leninista scienza della ritirata
Nel gennaio del 1909 Lenin pubblica un articolo dal titolo "In cammino" dove svolge alcune considerazioni sul 1908, un anno duro per il movimento operaio e per il Partito: "Un anno di sbandamento, un anno di confusione ideologica e politica, un anno di smarrimento per il Partito sta dietro di noi". Ciò ha portato a "deviazione" nel campo della teoria e a "mutilazione" nel campo della tattica.
La "analisi marxista dei rapporti oggi esistenti tra le classi" è la condizione per designare il "più vicino obiettivo di lotta che il nostro Partito si pone". E qui Lenin richiama ad un grande insegnamento del materialismo storico: "... le grandi guerre della storia, i grandi problemi della rivoluzione sono stati risolti soltanto perché le classi d'avanguardia, rinnovando più volte l'assalto ed istruite dall'esperienza delle disfatte, sono giunte alla vittoria. Gli eserciti sconfitti imparano molto".
La dialettica delle lotte delle classi si svolge con una dinamica che può essere compresa solo dalla concezione materialistica della politica: l'assalto pone i grandi problemi della rivoluzione che possono essere risolti soltanto dall'esperienza delle disfatte e dei rinnovati assalti. Ciò che vale per gli eserciti vale per le classi d'avanguardia. Lenin, grande teorico militare e seguace del suo maestro Engels, fonde nella lezione del materialismo storico i due punti più alti delazione politica: la guerra e la rivoluzione.
Ebbene, né l'una né l'altra possono essere vinte con l'assalto iniziale poiché è proprio questo a creare i grandi problemi e a porre le condizioni delle disfatte e della necessità di nuovi assalti. La guerra e la rivoluzione sono, in fondo, la soluzione dei grandi problemi che la dinamica dell'assalto e della disfatta ha messo a fuoco, poiché solo questa dinamica può oggettivamente determinare i reali rapporti di forza tra gli eserciti o tra le classi e può fare risaltare concretamente i relativi punti di vantaggio o di svantaggio, di rafforzamento o di indebolimento, di capacità o di incapacità.
Solo questa dinamica porta alla formazione materialistica della coscienza e della consapevolezza dei grandi problemi, ossia all'istruzione dall'esperienza. In questo modo il fattore soggettivo (la volontà, la capacità, l'iniziativa, l'organizzazione, la previsione) viene depurato, nel fuoco della lotta, dalle inevitabili scorie soggettivistiche e si trova in organica corrispondenza con il movimento reale. I problemi non sono più quelli pensati o immaginati, ma sono i grandi problemi che la dinamica di assalti e di disfatte impone di risolvere pena l'annientamento.
Se la guerra e la rivoluzione fossero solo assalto e non disfatta non vi sarebbero i grandi problemi ma non vi sarebbero neppure le condizioni oggettive che determinano la guerra e la rivoluzione. La guerra e la rivoluzione non sono un'idea, sono un processo dove l'azione politica sorretta da una concezione materialistica trova la sua maggiore possibilità e quello di tipo soggettivistico il suo fallimento.
Nel giugno del 1920 Lenin pubblica "l'Estremismo malattia infantile del comunismo" nel quale si propone di dimostrare come alcuni tratti fondamentali della rivoluzione russa non hanno un'importanza specificamente nazionale bensì un'importanza internazionale.
Una delle condizioni principali del successo del bolscevismo, dice Lenin, è di essere sorto su una "granitica base teorica" e di avere "svolto una storia pratica di quindici anni (1903-1917), che non ha eguali al mondo per ricchezza di esperienze". "In nessun paese fu concentrata, in così breve spazio di tempo, una tale ricchezza di forme, gradazione e metodi di lotta di tutte le classi della società moderna, e inoltre di una lotta che, in conseguenza dello stato arretrato del paese e del duro giogo dello zarismo, andava maturando con una celerità particolare e si appropriava, con speciale avidità e buon successo, la corrispondente "ultima parola" dell'esperienza politica europea e americana". Per queste ragioni, l'esperienza bolscevica è una esperienza che ha una validità internazionale.
La politica, per il marxismo, è determinata oggettivamente dal movimento dell'economia e dalle conseguenti lotte di tutte le classi, ma essa assume forme, gradazioni e metodi che solo l'esperienza, poggiante su una salda teoria scientifica, può essere in grado di sistemare organicamente e razionalmente nella continuità della istituzione organizzativa.
Il partito può e deve sistematizzare in termini teorici e scientifici l'esperienza politica, ma non può esaurirla in questo necessario lavoro. L'elaborazione analitica della storia pratica sarà la "la granitica base teorica" della scienza politica del marxismo, ma la storia pratica non si ferma, ed altra si aggiungerà nel grande laboratorio vivente della concezione materialistica della politica.
L'esperienza della storia teorica e l'esperienza della storia pratica non possono essere fini a se stesse. La prima si esaurirebbe in uno sterile dottrinarismo e la seconda in un attivismo senza principi e destinato perennemente a ripetersi. Esse devono, invece, fondersi nel Partito-Scienza che opera nella storia pratica con una "granitica base teorica".
Arricchito dall'esperienza pratica Lenin può ritornare, nel 1920, quando vi sono correnti che sostengono il "primato dell'offensiva", al tema del 1909: "I partiti rivoluzionari debbono completare la loro istruzione. Essi hanno imparato a condurre l'offensiva. Ora bisogna comprendere la necessità di completare questa scienza con la scienza della ritirata in buon ordine. Bisogna comprendere - e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza - che non si può vincere senza aver appreso la scienza dell'offensiva e la scienza della ritirata.
Fra tutti i partiti d'opposizione e rivoluzionari battuti, il partito dei bolscevichi si ritirò con maggior ordine, con le minori perdite per il suo "esercito", conservando meglio il suo nucleo, con le scissioni minori (per profondità e insanabilità), con la minore demoralizzazione e con la maggiore capacità di riprendere il lavoro nel modo più ampio, giusto ed energico. E i bolscevichi ottennero questo soltanto perché smascherarono e scacciarono tutti i facitori di frasi rivoluzionarie, i quali non volevano capire che bisognava ritirarsi, che bisognava sapersi ritirare, che bisognava imparare a qualunque costo a lavorare legalmente nei Parlamenti più reazionari, nelle più reazionarie organizzazioni sindacali, cooperative, di assicurazioni e simili".
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Il principale contrassegno
politico dell'imperialismo
Lenin, nei suoi "Quaderni sull'imperialismo", analizza contemporaneamente il processo di formazione e di vita del capitalismo giunto al suo ultimo stadio storico ed il processo di formazione e di vita del conseguente fenomeno sociale e politico definito "socialimperialismo". Il fatto che questo fenomeno sia al centro della sua attenzione scientifica e che non venga, come tanti altri fenomeni analizzati, considerato come secondario dimostra quanto, nel pensiero di Lenin, sia ritenuto importante e primario.
Possiamo definirlo, fondatamente, una scoperta della scienza marxista di Lenin, un risultato dell'applicazione scientifica della concezione materialistica della politica. Così come abbiamo i cinque contrassegni dell'imperialismo nello sviluppo della formazione economico-sociale capitalistica, abbiamo nel fenomeno socialimperialista il suo principale contrassegno nella sovrastruttura politica. L’apparato statale preesiste all'imperialismo e vi si adegua.
Il fenomeno socialimperialista nasce con l'imperialismo. Ecco perché è il suo principale contrassegno politico. I "Quaderni" di Lenin ci permettono di conoscerlo nella sua infanzia, a cominciare da Karl Kautsky. Lenin scrive che il libro di Hobson sull'imperialismo è utile per scoprire "la fondamentale falsità del kautskismo su questa questione".
Infatti Kautsky, nella sua interpretazione dell'imperialismo, converge con l'interpretazione del liberale Hobson, almeno su alcuni punti fondamentali. Uno di questi riguarda il processo capitalistico stesso su scala mondiale e le forme dello sviluppo politiche conseguenti.
Se i vari momenti dello sviluppo capitalistico su scala mondiale non vengono concepiti come espressioni di spazio e di tempo dell'azione di leggi oggettive di un unico modo di produzione, è naturale che anche le manifestazioni politiche che si vengono a determinare siano viste nelle loro singolarità e vengono collegate in un modo arbitrario e soggettivo che non rispetta la loro oggettiva collocazione, appunto, nello spazio e nel tempo storico.
In questo senso, non ha rilevanza scientifica analizzare, come fa Kautsky, il capitale finanziario e la politica imperialistica; è nel collegamento che egli instaura tra un processo economico, quale il capitale finanziario, ed una manifestazione sovrastrutturale, quale la politica imperialistica, che va verificata la reale corrispondenza al movimento complessivo della società o la arbitraria e soggettivistica rappresentazione di un movimento che esiste solo nel pregiudizio ideologico.
Kautsky ha scritto molto sul capitale finanziario e sulla politica imperialistica ed è stato uno dei primi, come giustamente dice nell'articolo del settembre 1914, ad aver studiato il "nuovo imperialismo" nel saggio "Vecchia e nuova politica coloniale" sulla "Neue Zeit" del 1897-1898. Anzi, lui dice di essere stato il primo, ma ciò ha poca importanza.
Ciò che è importante considerare è il pregiudizio ideologico, il pregiudizio "democratico", che Kautsky trascina dietro ai suoi studi. Egli crede che il senso profondo di centocinquanta anni di lotte del proletariato internazionale sia quello della difesa e dell'allargamento della democrazia e che solo lungo questa via, che può subire come ha già subito momentanei arresti e arretramenti, si può giungere al socialismo, il quale non è altro che il massimo esercizio della democrazia, la democrazia politica, e la sua massima estensione e applicazione, la democrazia sociale.
Per Kautsky il proletariato può organizzarsi e prepararsi culturalmente meglio con la democrazia politica perché è questa la forma più avanzata dello sviluppo storico. Così come il proletariato eredita per il socialismo le forze produttive sviluppate dal capitalismo ne eredita pure la forma politica.
Che essa sia stata il massimo strumento della borghesia ha, per Kautsky, una importanza relativa poiché dice che la borghesia tende, ormai, ad abbandonare la democrazia nella misura in cui questa è portata avanti dal proletariato. Il parlamentarismo è, per Kautsky, la tecnica più perfezionata della democrazia ed è per questo che, mentre attacca la "democrazia primitiva" di tipo conciliare, afferma la necessità della rappresentanza parlamentare, con suffragio universale, anche nella dittatura e proletariato.
Lo sviluppo delle forze produttive conduce secondo Kautsky, e in ciò si avvicina al liberale Max Weber, alla inevitabile burocratizzazione della organizzazione della produzione, burocrátizzazione che solo una democrazia politica altamente perfezionata può controllare. Come si vede, sfugge a Kautsky la comprensione del reale meccanismo di determinazione delle forme politiche da parte dei profondi processi economici.
Se fosse vero che la forma democratica, creata e ripudiata dalla borghesia, è ormai la forma politica congeniale al presente e al futuro della lotta proletaria, resterebbe da spiegare perché da un secolo la classe che domina l'economia conviva con una sovrastruttura politica che prepara la fine del suo dominio. Inoltre, bisognerebbe spiegare come la società capitalistica possa andare avanti per un secolo con una forma politica non corrispondente al suo contenuto economico. Solo chi teorizza l'autonomia della politica può sempre concepirlo, ma mai dimostrarlo.
Kautsky, proprio perché non giunge a queste conclusioni, si aggroviglia ancor più nella contraddizione della sua analisi. Vede un capitalismo finanziario che esprime una politica imperialistica ma ad esso contrappone un capitalismo industriale che non necessita di una tale politica e con il quale il proletariato può fare un tratto di strada assieme lungo la democrazia. L’imperialismo è così ridotto ad una scelta politica e, di conseguenza, anche la democrazia si salva, in questo modo, dal divenire la forma politica della necessità imperialistica dello sviluppo capitalistico.
Scrive Lenin: "L'imperialismo produce sempre il nuovo capitalismo (dall'economia naturale delle colonie e dei paesi arretrati), produce di nuovo i passaggi dal piccolo capitalismo al grande, dallo scambio di mezzi debolmente sviluppato a quello sviluppato, ecc. ecc. I kautskiani (K. Kautsky, Spectator e soci) citano questi fenomeni di capitalismo "sano", "pacifico", fondato su "relazioni pacifiche" e li contrappongono al saccheggio finanziario, ai monopoli bancari, agli intrighi affaristici delle banche con il potere statale, all'oppressione coloniale, ecc., li contrappongono come il normale all'anormale, il desiderabile all'indesiderabile, il progressivo al reazionario, il sostanziale al casuale ecc. Questo è un nuovo proudhonismo. Il vecchio proudhonismo su nuova base e in forma nuova. Riformismo piccolo-borghese: favorevole a un capitalismo pulito, levigato, misurato e accurato".
Il capitalismo idealizzato di fronte all'imperialismo reale: ecco la variante kautskiana del socialimperialismo.
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La forma politica finalmente scoperta
Nel corso della sua battaglia contro l'imperialismo e le correnti socialimperialiste tra la fine del 1916 e i primi mesi del 1917, Lenin, a Zurigo, compie uno studio sistematico sul problema dello Stato. Raccoglie tutte le citazioni di Marx e di Engels sul tema, oltre a citazioni di Kautsky, Pannekoek e di altri autori; queste citazioni sono commentate con osservazioni, note e formulazioni in modo da poter essere pubblicate, come suggerisce lo stesso Lenin ad un compagno, in caso della sua scomparsa. Il quaderno "Il marxismo sullo Stato" servirà, poco tempo dopo, come materiale preparatorio per la redazione di "Stato e Rivoluzione" e sarà pubblicato per la prima volta nel 1930 a Mosca.
I Quaderni sull'Imperialismo e sullo Stato, assieme a quelli sulla dialettica e allo studio su Clausewitz, possono essere considerati come parti integrate ed omogenee del lavoro del laboratorio scientifico di Lenin maturato e collaudato negli anni della prima guerra mondiale imperialistica.
In pochi anni tutti gli aspetti economici, politici e militari della società capitalistica giunta alla maturazione patologica imperialistica vi sono raccolti, classificati, analizzati e definiti, con l'ausilio dello strumento della dialettica materialistica che permette di rintracciare i nessi reciproci tra le mille parti di un'unica realtà sociale. Lenin cita ampiamente il terzo capitolo de "La guerra civile in Francia" scritto da Marx nel 1871. Il capitolo è quasi interamente dedicato al problema dello Stato e in un passo si dice: "La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro". Con grande acume, Lenin annota: "N.B. La Comune "forma politica, finalmente scoperta"".
Scoperta, non inventata; scoperta per mezzo del cervello nei fatti materiali come dirà Engels nell’ "Anti-Dühring", e non inventata dal cervello. Qui sta l'essenza del marxismo sul problema delle forme politiche, sul problema dello Stato. La scoperta è il risultato scientifico della concezione materialistica della politica. Lo scienziato Marx non inventa il suo progetto di forma politica, come molti avevano fatto e faranno, ma e in grado di vedere come un nuovo movimento sociale esprima una nuova forma politica che si differenzia da quelle precedenti perché espansiva, e quindi, plurilaterale nello sviluppo delle attività di produzione e riproduzione della specie umana.
Mentre le forme politiche precedenti sono unilaterali perché reprimono, la forma politica scoperta dalla rivoluzione proletaria è espansiva perché libera ed espande tutte le potenzialità e le capacità della classe dei produttori, sino a farle divenire attività cosciente di una società di produttori non più divisa in classi.
L'emancipazione economica del lavoro, storicamente assunta dalla moderna classe dei produttori, non poteva esprimere una forma politica che riproponesse le precedenti forme di governo, assolutiste o democratiche, unilateralmente repressive. Per potersi compiere aveva bisogno di una nuova forma politica. Marx la scopre nel movimento della sovrastruttura come aveva scoperto il plusvalore nel movimento della struttura. Di più non poteva fare; così come non l'aveva inventata, non poteva inventarne la sorte contingente e il divenire sequenziale. Aveva scoperto la tendenza profonda di un fatto storico.
La tendenza espansiva è verso l'estinzione dello Stato. La scoperta della nuova forma politica della classe dei produttori è solo l'inizio, perché l'epoca delle rivoluzioni proletarie, con le sue immancabili avanzate e ritirate, è appena iniziata. La forma democratica della rivoluzione borghese ha impiegato secoli per affermarsi e definirsi. La Comune di Parigi è durata pochi giorni. Lenin lo sa bene quando restaura la scoperta di Marx, mezzo secolo dopo e pochi mesi prima che il movimento reale in Russia la riproponga all'ordine del giorno della teoria e della pratica.
In un'altra pagina, Lenin esamina una lettera del marzo 1875 di Engels a Bebel, pubblicata nella autobiografia di Bebel nel 1911, e la definisce di "una importanza straordinariamente grande" sul problema dello Stato. La fissa in otto punti che avremo occasione di riprendere. Per ora vediamo il commento: "Di solito i concetti "libertà" e "democrazia" vengono considerati identici e vengono spesso usati l'uno in sostituzione dell'altro. Molto spesso i marxisti volgari (Kautsky, Plechanov e c. alla loro testa) ragionano proprio così. In realtà la democrazia esclude la libertà. La dialettica (il processo) di sviluppo è il seguente: dall'assolutismo alla democrazia borghese; dalla democrazia borghese a quella proletaria da quella proletaria alla scomparsa della democrazia".
In questa dialettica di sviluppo delle forme politiche delle lotte tra le classi, Lenin tira la conclusione della restaurata lezione di Marx e di Engels sulla "forma politica finalmente scoperta" nella dinamica della rivoluzione proletaria.
La democrazia esclude la libertà; la tendenza verso il comunismo, che è tendenza alla libertà, non può che far scomparire la democrazia. I marxisti volgari, che identificano libertà e democrazia, diventano socialimperialisti. è inevitabile come è inevitabile il processo di sviluppo delle forme politiche. I marxisti coerenti, che identificano libertà e comunismo, con la stessa coerenza continuano la lotta contro il capitalismo divenuto imperialista.
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Potere pubblico e carattere politico
Nel Quaderno su "Il marxismo e lo Stato", Lenin ricostruisce il rapporto tra la libertà e la "forma politica finalmente scoperta" della rivoluzione proletaria seguendo il tracciato dei suoi maestri. Della lettera di Engels a Bebel, del marzo 1875, Lenin cita un lungo brano dicendo che: "Si tratta forse del più significativo e, probabilmente, del più violento passo, per così dire, "contro lo Stato", in Marx ed Engels".
Scrive Engels: "Lo Stato popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il senso grammaticale di queste parole, uno Stato libero è quello che è libero verso i suoi cittadini, cioè è uno Stato con un governo dispotico. Sarebbe ora di farla finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune, che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli anarchici ci hanno abbastanza rinfacciato lo "Stato popolare". benché già il libro di Marx contro Proudhon e in seguito il "Manifesto del Partito Comunista" dicano esplicitamente che con l'instaurazione del regime sociale socialista lo Stato si dissolve da sé e scompare.
Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tenere soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità; finché il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere. Noi proporremmo quindi di mettere dovunque invece della parola Stato la parola Gemeinwesen, una vecchia eccellente parola tedesca che corrisponde alla parola francese "Commune"".
Lenin commenta: "Gli opportunisti non hanno capito neanche uno di questi otto ricchissimi concetti!". Questi otto concetti vengono elencati scomponendo la lettera di Engels. Saranno, poi, esposti in "Stato e Rivoluzione". Nel Quaderno un concetto, indicato come quarto, è così stabilito: ""Lo Stato' si dissolve ("si scioglie") Nota bene e scompare... (cfr più tardi: "si estingue") con la instaurazione del regime sociale socialista".
Già prima, a proposito della lettera del 12 aprile 1871 di Marx a Kugelmann, ne riportava il seguente passo: "Se tu rileggi l'ultimo capitolo del mio "18 Brumaio" troverai che io affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla, e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini". Commenta Lenin: "Piccante: confrontare con Bakunin (X. 1870, pag. 113 in Steklow)" e riporta Bakunin: "... per me è evidente che dopo la distruzione di fatto della macchina amministrativa e statale solo l'azione rivoluzionaria diretta del popolo può salvare la Francia".
In un libro del 1920 il revisionista H. Cunow, uno dei teorici più seri della socialdemocrazia tedesca, critica la tesi della estinzione dello Stato come liberale-anarchica e attacca Lenin di "ricaduta nel bakuninismo" perché spezza lo Stato e sostituisce il "governo statale" con i "comitati dittatoriali eletti dal proletariato rivoluzionario (consigli)". H. Cunow non è il solo. K. Renner gli è compare di statalismo. Una buona parte della critica al marxismo di Hans Kelsen, uno dei massimi teorici democratici del diritto, è dedicata al presunto estremismo liberale e anarchismo di Marx. Impregnati di pregiudizi ideologici non sanno fare altro che applicare vecchi schemi alle nuove forme politiche.
Lenin invece, istruito dalla "forma politica finalmente scoperta" e registrata da Marx della rivoluzione dei produttori proletari, segue le indicazioni che Marx ed Engels danno nelle loro lettere e rilegge le opere che, alcuni decenni prima, quella scoperta avevano anticipato teoricamente. Il secondo capitolo di "Stato e Rivoluzione" sarà proprio dedicato alla "miseria della Filosofia", al "Manifesto", al "18 Brumaio" e alla lettera del 5 marzo 1852 di Marx a Weydemeyer.
Troviamo riportati i passi di queste opere, già trascritti nel Quaderno, dove il "ricchissimo" concetto della "dissoluzione" e "scioglimento" dello Stato è esposto chiaramente.
Nel Quaderno Lenin annota, in particolare, la formula del "Manifesto", dove lo Stato della rivoluzione proletaria è visto come "proletariato stesso organizzato in classe dominante" e dove "il potere pubblico perde il carattere politico", quando tutta la produzione è concentrata nelle mani degli individui associati. Per Marx ed Engels infatti: "Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra". Il proletariato "per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione".
Lenin vede la ricchezza scientifica di una concezione di potere pubblico che si identifica con la organizzazione del proletariato in classe dominante e che, nell'esercizio sociale del dominio attuato "per via di interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione", inizia a perdere il carattere politico. Questo potere pubblico-politico non è più il vecchio Stato e non può essere chiamato Stato. è la nuova forma politica di una nuova rivoluzione sociale. Ancora una volta la concezione materialistica della politica, che vede le forme determinate dal movimento della struttura economica, permette di individuare il nuovo fenomeno storico. Engels lo chiama "Commune", riprendendo un termine tedesco il cui significato riguarda un insieme di istituzioni e non la singola Comune francese, come fa notare Lenin.
Il problema dell'epoca storica delle guerre imperialiste e delle rivoluzioni proletarie è il processo di formazione del proletariato in classe dominante per mezzo della dittatura. Lo scontro tra Lenin e l'opportunismo è dentro a questo problema.
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L'immutata natura dello Stato dirigista
Nel 1917 Karl Renner, uno dei principali esponenti dell'austro-marxismo, pubblica il libro "Marxismo, guerra e Internazionale" che è una delle massime espressioni del socialimperialismo. Per K. Renner occorre distinguere tra Stato come "totalità organizzata del popolo" e Stato come "struttura di dominio". Il rapporto tra Stato ed economia è alla base di tale distinzione e da questo rapporto parte la valutazione sul mutamento della natura dello Stato. Il revisioniamo di K. Renner assume il rapporto tra economia e politica per sfociare in una versione dello statalismo con ideologia socialdemocratica.
Con la prima guerra mondiale imperialista aumenta l'intervento dello Stato nell'attività economica dei principali paesi belligeranti, sia in Germania e in Austria che in Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti. La mobilitazione militare e il rifornimento costante e regolare di una quantità enorme di prodotti bellici impongono ai governi, agli Stati Maggiori, ai vari poteri politici dell'imperialismo, la necessità di assicurare il rifornimento di materie prime, la produzione industriale, la mobilitazione della forza-lavoro, la domanda proveniente dai fronti bellici. Anche il credito e il finanziamento della produzione necessitano un crescente intervento dello Stato, parallelo all'aumento della spesa militare.
Ben presto l'ampiezza del circuito finanziamento-produzione-consumo bellico supera le capacità del prodotto sociale dei paesi più direttamente impegnati: Germania, Austria e Russia crolleranno, Gran Bretagna, Francia e Italia vinceranno solo grazie al fatto che gli Stati Uniti, tramite prestiti, sovvenzioneranno i loro circuiti.
Gli Stati Uniti, i grandi ereditari, saranno gli unici vincitori di fronte a perdenti e vincenti, tutti grandi debitori. Da allora l'imperialismo americano sarà il grande condizionatore dell'Europa e delle vicende politiche europee.
In definitiva il crescente intervento dello Stato, sia nel ruolo di produzione che nel ruolo di controllo, è il prodotto dello sviluppo, dell'aumento, dell'ampiezza e della maturità dell'economia mondiale. è il risultato del mercato mondiale e delle sempre più strette interdipendenze, è il prodotto della più intensa concentrazione del capitale, è il prodotto dell'imperialismo come sistema universale e unitario. Senza la concentrazione del capitale negli Stati Uniti, senza la centralizzazione finanziaria di Wall Street e senza l'eccedenza capitalistica provocata da questi processi, non sarebbe stato possibile. Lo statalismo europeo, con le sue velleità pianificatorie, senza il finanziatore americano avrebbe trovato un limite nelle sue capacità di accumulazione e, conseguentemente, di spesa pubblica e di spesa militare.
Lenin, che ha analizzato l'imperialismo armato della concezione materialistica della politica e che ha stabilito correttamente il rapporto struttura-sovrastruttura nella nuova fase del capitalismo, è in grado di affrontare scientificamente il fenomeno e di definirlo, particolarmente nel caso tedesco, come "capitalismo di Stato".
Egli ha presenti tutte le connessioni che si sono venute a determinare, in quantità e in qualità, nel mercato mondiale e in tutta la sua sovrastruttura di Stati.
Sa perfettamente, dopo aver analizzato tutti i dati economici della dinamica capitalistica, nei vari paesi e settori. che ogni fenomeno politico in singole parti del mercato mondiale e in singoli Stati non può essere il risultato dei soli fattori interni ma può essere solo la manifestazione particolare di un processo mondiale.
K. Renner, il quale si basa prevalentemente sul diritto e sulla teoria politica, pur partendo formalmente dal rapporto economia e politica di origine marxista ripreso e deformato dalla sintesi socialdemocratica, vede solo alla superficie il fenomeno che definisce di compenetrazione di Stato ed economia. Quindi, data questa compenetrazione, lo Stato gli appare sempre più come "totalità organizzata del popolo" e sempre meno come "struttura di dominio".
Infatti scrive: "Noi, con la progressiva statalizzazione dell'economia politica, dobbiamo sempre più tener conto che il destino del proletariato di un paese coincide con la sorte dello Stato. Già oggi i proletari hanno la sensazione che noi siamo il popolo, noi siamo lo Stato".
L’autore revisionista ritornerà in altri scritti, e particolarmente nel 1929 con "Economia nazionale, economia mondiale e socialismo", su questo concetto secondo il quale, data la nuova natura dello Stato, il proletariato deve conquistare il potere politico per liberare lo Stato dal dominio del capitale e dalla influenza della borghesia.
Marx, secondo Renner, ha trattato la "scienza naturale dell'economia", la "economia non statale", mentre la compenetrazione di Stato e economia richiede la "teoria statale dell'economia politica". La tesi di K. Renner, come agevolmente si può vedere, sono state in seguito patrimonio di tanti economisti.
Quaranta anni dopo, P. Togliatti, senza citarle, le pone al centro della "via italiana" all'8° Congresso. 1 suoi seguaci le riprendono facendo risalire la compenetrazione di Stato e economia alla crisi del 1929, al New Deal, a Keynes, agli anni '30!
Nel Quaderno "Il marxismo sullo Stato" Lenin riporta ampi stralci della critica di Engels nel 1891 al Programma di Erfurt. Un passo dice che: "Si pongono in prima linea questioni politiche astratte, generali, e si celano così le questioni concrete e più urgenti, quelle questioni che al primo grande avvenimento, alla prima crisi politica si pongono da sé all'ordine del giorno. Che altro può derivarne, se non il fatto che al momento decisivo il partito si trovi improvvisamente perplesso, che sui punti decisivi regnino la confusione e la discordia perché questi punti non sono mai stati discussi". Commenta Lenin: "(l'astratto in primo piano, si cela il concreto!!). Nota bene! N.B. Che meraviglia! è colto l'essenziale!".
Questo commento vale anche per il socialimperialismo che cela il concreto del processo di formazione e di sviluppo del capitalismo di Stato e che pone in prima linea la questione politica astratta e generale dell'intervento dello Stato nella struttura economica senza analizzare nel concreto il modo in cui questo avviene.
è proprio dall'analisi scientifica della realtà economica e sociale che la validità della concezione materialistica della politica può essere verificata, dato che l'intervento dirigistico crescente, lungi dal mutare la natura capitalistica dello Stato, la esalta ancor più chiaramente.
L'una riconferma l'altra. L’immutata natura dello Stato, anche nel ruolo di massimo intervento nell'economia, è la verifica della correttezza scientifica della concezione materialistica della politica che vede la sovrastruttura determinata dalla struttura.
Nello stesso tempo, solo una corretta concezione del rapporto che intercorre realmente tra il movimento dell'economia e i cambiamenti della politica può permettere di conoscere la natura dell'istituzione statale.
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La nuova unificazione rivoluzionaria
dei poteri
Lo Stato-Comune (la forma politica "Commune") è la "forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro": in questa precisa correlazione tra movimento strutturale e movimento sovrastrutturale Marx pone la "forma politica fondamentalmente espansiva" della rivoluzione proletaria.
La "emancipazione economica del lavoro" è il contenuto della rivoluzione e ne è la determinazione. Il lavoro si emancipa e si rende libero dai rapporti di produzione che lo rendono salariato perché lo hanno separato dai mezzi di produzione. L’emancipazione del lavoro significa l'unificazione delle forze produttive, energia salariata e mezzi di produzione, nel processo rivoluzionario di abolizione del capitale che le domina e le separa e della classe sociale che le detiene.
La tendenza storica all'emancipazione del lavoro determina specifiche forme politiche che hanno caratteri nuovi e differenti dalle forme politiche precedenti, ormai vecchie e tradizionali. è compito della scienza marxista scoprirle. Essa non può inventarle; può e deve individuarle come fenomeni costanti della realtà sociale e ricavarne leggi oggettive del movimento. Sono quelle che Marx e Lenin chiamano le "leggi della rivoluzione".
Nella polemica con Lenin, Kautsky sostiene che la Comune di Parigi era una forma di dittatura del proletariato che vedeva il suffragio universale e la pluralità dei partiti, mentre la dittatura in Russia è fondata dal suffragio ristretto e indiretto e sul solo partito bolscevico. Lenin, secondo Kautsky, non seguirebbe la forma politica della Comune teorizzata da Marx. La dittatura del proletariato, aveva già precisato Lenin, non è una istituzione ma un rapporto tra le classi. L’impostazione soggettivistica della politica porta inevitabilmente Kautsky a concepire il movimento della sovrastruttura in termini di istituzioni e, quindi, a criticare, prima implicitamente e poi esplicitamente, la stessa teoria di Marx che tenta di contrapporre a Lenin.
Sono molti gli aspetti dove chiaramente emergono, nel pensiero di Kautsky, i presupposti di una concezione della politica lontana da quella materialista. Vediamone uno, ma di estrema rilevanza: la divisione dei poteri, tema fondamentale di ogni teoria liberale e democratica. Kautsky cita la formula del 1891 di Engels: "La Repubblica democratica è la forma specifica per la dittatura del proletariato". Respinge l'interpretazione di Lenin secondo la quale ciò significa che la repubblica democratica è solo un passo verso la dittatura del proletariato, ma è poi costretto, nell'opera "La rivoluzione proletaria e il suo programma" del 1922, a rifiutare l'affermazione di Marx sulla unificazione del potere legislativo con quello esecutivo, definendola come un modello ispirato a quello giacobino e, comunque, non valido come teoria generale dello Stato.
Il richiamo al modello giacobino, anche se circoscritto all'aspetto dell'unificazione dei poteri, dimostra l'incapacità di Kautsky ad assimilare i nuovi concetti della scienza politica di Marx e la persistenza all'utilizzo di schemi tradizionali della concezione borghese della politica, in particolare nelle varianti liberale e democratica.
Le teorie borghesi si svilupparono nell'ascesa plurisecolare della borghesia in lotta contro le classi dominanti precapitalistiche. In alcuni casi precorsero la pratica politica, ma quasi sempre la seguirono limitandosi a nazionalizzare il reale e a codificare norme sull'accaduto. Non poteva essere altrimenti poiché il modo capitalistico di produzione si sviluppava nel contesto di un'economia feudale predominante e la borghesia conviveva, in parte, sottomessa, con le istituzioni politiche dell'aristocrazia.
Solo con la crescita del settore capitalistico si modificano i rapporti sociali nell'economia generale e, di conseguenza, le lotte politiche assumono nuovi contenuti e nuove forme. La divisione del potere legislativo, esecutivo e giudiziario è il risultato dello sviluppo economico capitalistico e della pratica sociale e politica che ne è derivata. In lotte interminabili la borghesia ascendente attua nei fatti la divisione dei poteri, la difende ogni volta che è acquisita, la riconquista ogni volta che è persa, la rivendica quando non è ancora attuata, la esperimenta per lungo tempo, la collauda nei vari momenti e nelle varie situazioni. Ne fa la sua bandiera teorica e politica dopo avere lungamente constatato che corrisponde, meglio di altre forme poi abbandonate o non universalizzate, al suo interesse generale di classe.
Della forma politica costituita dalla Comune di Parigi, Kautsky accetta il suffragio universale e la pluralità dei partiti e respinge la rottura della macchina statale borghese, l'abolizione del sistema parlamentare, la fusione dei poteri legislativo ed esecutivo e la abolizione della burocrazia. Respinge proprio quegli aspetti che portano Marx a parlare di "forma politica fondamentalmente espansiva", di nuova "forma politica finalmente scoperta".
Per Kautsky non occorre spezzare la macchina statale borghese ma solo i residui dell'assolutismo e non bisogna abolire la burocrazia, che è uno strumento di specializzazione professionale, ma controllarla con il pieno sviluppo del parlamentarismo. In altri termini, con la massima applicazione della divisione dei poteri poiché il pieno sviluppo del potere legislativo parlamentare è condizione del pieno controllo del potere esecutivo burocratico e dell'utilizzo della sua efficienza.
In questo senso, Kautsky riproduce una versione della teoria dell'equilibrio dei poteri, sostenendo che l'abolizione del parlamentarismo, basato sul suffragio universale e la pluralità dei partiti, e l'unificazione dei poteri portano al dispotismo. La forma politica che propone è quella classica della democrazia imperialistica e solo la sua piatta concezione evoluzionistica può ritenere che la forma parlamentare possa essere gradatamente riempita di contenuto socialista, espressione del dominio proletario sui rapporti sociali di produzione. A un dominio del proletariato sull'economia non corrisponderebbe una forma politica nuova espansiva superante la contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e i vecchi rapporti sociali e politici. Il potere resterebbe sempre politico e non diventerebbe mai pubblico.
In sostanza, è l'evoluzione della democrazia imperialistica e non del socialismo. Del resto Kautsky lo ammette involontariamente quando dice: "Nel periodo di transizione dal capitalismo al socialismo noi abbiamo bisogno nel modo più stringente della pace... [dove le classi]... conducano le loro lotte con i mezzi della democrazia e non con la violenza delle armi. In queste condizioni non esiste in vero il minimo motivo per unificare il potere esecutivo con quello legislativo".
Il socialimperialista, con un solo tratto, ha cancellato lo scontro delle classi, le guerre imperialiste e le rivoluzioni proletarie.
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Concentrazione politica
o varietà delle forme
Nella lettera ad Ines Armand del 25 novembre 1916 Lenin scrive: "Tutto lo spirito del marxismo, tutto il suo sistema esige che ogni situazione venga esaminata: a) soltanto storicamente; b) solo in connessione con le altre; c) soltanto in connessione l'esperienza concreta della storia". Ciò significa che la concezione materialistica della politica può esaminare ogni situazione solo se la affronta storicamente e dialetticamente. Non si possono dedurre, da tale concezione, modelli astratti e pretendere che vi si adattino situazioni concrete.
Sostenere che la politica è determinata dall'economia obbliga ad esaminare lo sviluppo delle forme politiche nella loro storia, nella loro connessione, nella connessione che hanno con le forme economiche, nella storia complessiva delle formazioni economico-sociali. Se non si procede in questo modo non si riescono ad analizzare le forme politiche del capitalismo giunto alla sua fase imperialistica; non si riescono ad analizzare, ad esempio, tutti gli aspetti della "democrazia imperialista".
Ritenere che la forma politica della "democrazia imperialista" esprima un processo di centralismo politico conseguente ad un processo di concentrazione economica è un forzare astrattamente la concezione materialistica della politica. L’esperienza concreta della storia non fornisce prove di un presunto processo di centralismo politico.
In polemica con la corrente, da lui definita di "economismo imperialistico", di Yuri Piatakov, Lenin si occupò fra l'agosto e l'ottobre 1916 di questi problemi. Scrisse: "Noi riconosciamo - e del tutto giustamente - il primato del fattore economico, ma interpretare questo primato à la P Kievski significa fare una caricatura del marxismo. Persino i trust, persino le banche, pur essendo ugualmente inevitabili in un capitalismo evoluto, assumono nell'epoca dell'imperialismo moderno forme concrete diverse nei diversi paesi. Tanto più risultano dissimili, nonostante la loro sostanziale omogeneità, le forme politiche dei paesi imperialistici progrediti, d’America, d'Inghilterra, di Francia e di Germania. Un'analoga varietà si avrà riguardo al cammino che l'umanità compirà dall'odierno imperialismo alla rivoluzione socialista di domani".
Non a caso Lenin accusa Y. Piatakov di fare una "caricatura del marxismo". Se le forme politiche sono determinate dall'economia capitalistica, occorre, appunto, conoscere quali forme diverse assumono le varie componenti della struttura per potere, infine, conoscere la varietà delle forme sovrastrutturali determinate. In altre parole, occorre analizzare ogni situazione economica e politica "in connessione con l'esperienza concreta della storia".
Questo è il compito dell'analisi scientifica del marxismo. Affrontando la varietà delle forme concrete dell'economia il marxismo è in grado di conoscere la varietà delle forme politiche e di stabilire scientificamente la strategia rivoluzionaria. Lenin lo precisa: "La legge della concentrazione economica, la vittoria della grande produzione sulla piccola è riconosciuta sia dal nostro programma che da quello di Erfurt.
P. Kievski nasconde il fatto che la legge della concentrazione politica o statale non è stata riconosciuta in nessun luogo. Ma se questa legge esiste, perché mai P. Kievski non la espone, invitandoci a integrare il nostro programma?".
è importante per Lenin accertare se esista o meno una legge della "concentrazione politica" date le conseguenze pratiche che ne derivano. Lo dice chiaramente a P. Kievski: "è corretto da parte sua lasciarci con un programma sbagliato e incompleto, dal momento che ha scoperto questa nuova legge della concentrazione statale, una legge che assume un'importanza pratica, se è vero che può emendare il nostro programma di alcune conclusioni sbagliate?". E poi, tralasciando il tono ironico, continua: "P Kievski non fornisce alcuna formulazione della legge, non ci propone di integrare il nostro programma, perché sente confusamente che si potrebbe coprire di ridicolo. Tutti sghignazzerebbero davanti a questo curioso "economismo imperialistico" se questo punto di vista affiorasse alla superficie, se parallelamente alla legge della soppressione della piccola produzione da parte della grande produzione fosse enunciata (in rapporto o accanto ad essa) la 'legge' della soppressione dei piccoli Stati da parte dei grandi Stati!".
Lenin ha tratto mirabilmente il succo di tutta la questione. Se vi fosse una legge di "concentrazione politica" si avrebbe una concentrazione di grandi Stati. Le conseguenze strategiche per il proletariato internazionale sarebbero enormi. Ma l'esperienza concreta della storia non lo ha dimostrato.
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Ultima modifica 8.1.2001