Capitolo 2

 

Il primo Dicembre 1934, un giovane comunista, Leonid Nikolayev, è entrato nello Smonly e con una pistola ha ucciso il membro del Politburò e capo del partito di Leningrado Sergei Kirov.

I particolari di questo delitto sono rimasti irrisolti. Chi era questo Nikolayev? Come è riuscito a entrare nello Smolny sempre così ben sorvegliato? Come ha fatto ad avvicinarsi a Kirov ? Quali le ragioni che lo hanno spinto a questo gesto disperato – motivi politici o personali? Tutte le circostanze del delitto restano nel più profondo mistero.

In un primo momento il governo ha comunicato che l'assassino di Kirov era una guardia bianca, penetrata in Unione Sovietica attraverso Polonia, Lettonia, Finlandia. Pochi giorni dopo i giornali sovietici hanno dato la notizia della cattura e della fucilazione, da parte della NKVD, di 104 terroristi della Guradia Bianca. I quotidiani hanno lanciato una violenta campagna di stampa contro le organizzazioni, “ben radicate in occidente”, della Guardia Bianca. In special modo contro l'Unione Militare Russa, la quale, secondo i giornali, “non è la prima volta che manda emissari armati a scopo di terrorismo”.

Queste affermazioni delle autorità inquirenti, ma sopratutto le 104 esecuzioni capitali, stabilivano con assoluta certezza la responsabilità delle organizzazioni terroristiche dell'emigrazione russa nell'omicidio di Kirov. Ma il sedicesimo giorno dopo il delitto il quadro cambia completamente. A questo punto, secondo i giornali sovietici, la responsabilità del delitto apparteneva all'opposizione di Trotzki e Zinoviev. Lo stesso giorno, come a un segno convenuto, i giornali lanciavano una feroce campagna di stampa contro l'ex opposizione del partito. Zinoviev, Kamenev e molti altri leader dell'ex opposizione venivano arrestati. Proprio in quei giorni, Karl Radek, allora vicino a Stalin scrisse sull'Izvestia: “Ogni comunista lo sa, ora il partito userà il pugno di ferro per schiacciare i residui di questa banda...saranno sconfitti, distrutti, rasi al suolo”.

L'odio di Stalin per gli ex leader dell'opposizione era ampiamente noto. Per questo, nei circoli socialisti internazionali ha iniziato a maturare una preoccupazione: che Stalin volesse usare la morte di Kirov come pretesto per regolare i conti con Zinoviev e Kamenev. Nella stampa internazionale e apparsa la notizia che Zinoviev e Kamenev erano stati giustiziati in segreto. Le Autorità sovietiche si sono sentite in dovere di smentire e la tass ha scritto che, “a causa della mancanza di prove, il caso Zinoviev-Kamenev sarà affidato al giudice ed a una commissione della NKVD.”

Così, nel giro di due settimane, le autorità sovietiche hanno dato due versioni, una diametralmente opposta all'altra, del delitto. Prima erano state le guardie bianche venute dall'estero, ora si accusava l'ex opposizione. Ovviamente i cittadini sovietici erano in attesa del processo, per sapere cosa avrebbe detto lo stesso Nikolayev.

Ma questa curiosità non venne soddisfatta. Il 28 dicembre venne pubblicata l'atto d'accusa ufficiale: Nikolayev e altri tredici complici erano i cospiratori. Il giorno dopo, i giornali scrivevano che tutti e quattordici erano stati processati a porte chiuse e condannati a morte. La sentenza eseguita immediatamente.

Il fatto che Nikolayev fosse stato giudicato in segreto rafforzava la generale incredulità nelle contraddittorie versioni ufficiali del governo. La domanda che ci si poneva era: cosa ha impedito di smentire ogni vociferazione sorta, processando pubblicamente Nikolayev. Nessuno dubitava che fosse lui il l'assassino di Kirov. Essendo stato catturato sul luogo del delitto. E allora perché tutta questa segretezza? Cosa c'era di così particolare in questo caso, da non poter essere presentato in un pubblico processo?

Non ero in Unione Sovietica in quei giorni. Tutto quello che sapevo l'avevo letto nella stampa moscovita. Ma, fin dall'inizio, ho capito che questo fatto era oscuro. Né la prima versione, quella delle guardie bianche, né la seconda, quella che accusava Zinoviev e Kamenev, erano minimamente degne di fede.

La prima versione, quella dei 104 terroristi della guardia bianca giustiziati, non la si poteva prendere sul serio. In qualità di ex capo della polizia di frontiera delle repubbliche Transcaucasiche, sapevo che un confine così rigidamente controllato come quello dell'Unione Sovietica era molto difficilmente violabile. Inoltre, con la rigida legislazione sul passaporto interno sovietico, era impossibile che 104 terroristi potessero nascondersi, contemporaneamente, a Leningrado. Ancora più sospetto mi suscitavano i giornali che, contrariamente alla consuetudine, parlavano dell'esecuzione dei terroristi, ma non riportavano alcun nome.

L'altra versione, quella della partecipazione di Zinoviev e Kamenev all'assassinio di Kirov, non era meno assurda. Sapevo, da tutta la storia del partito, che i bolscevichi si erano sempre opposti al terrore individuale, e non ricorsero ad atti di terrorismo neanche contro lo Zar e i suoi ministri. Ritenevano questi metodi inutili e dannosi per il movimento rivoluzionario. E poi, Zinoviev e Kamenev, non potevano non immaginare che l'assassinio di Kirov sarebbe stato usato da Stalin per distruggere i capi del' ex opposizione. Come è successo.

Il 23 Gennaio 1935, quasi un mese dopo l'esecuzione di Nikolayev, i giornali annunciarono la condanna al carcere, in un processo a porte chiuse, del capo della NKVD di Leningrado Filippo Medved, del suo vice e di altri 10 funzionari della NKVD, in quanto: “pur avendo avuto elementi sull'incombente minaccia che gravava su Kirov non avevano preso tutte le misure necessarie per evitare il delitto.” Questa sentenza mi colpì per la sua insolita mitezza. Solo uno degli imputati aveva ricevuto 10 anni di carcere. Tutti gli altri, tra cui Medveded e il suo vice Zaporozhets, solo condanne di due o tre anni. Tutto questo mi sembrava ancora più strano, per il fatto che Stalin aveva vissuto l'omicidio di Kirov, non solo come una minaccia alla sua politica, ma direttamente contro la sua persona. Se oggi la NKVD non era stata in grado di proteggere la vita di Kirov, domani la stessa cosa si sarebbe potuta ripetere con Stalin. Tutti coloro che conoscevano Stalin, non avevano alcun dubbio che avrebbe potuto ottenere la fucilazione del commissario del popolo per gli affari interni Jagoda e di tutti quelli che erano stati responsabili della sicurezza di Kirov. In ogni caso era un avvertimento per gli uomini della NKVD: in caso di assassinio di dirigenti, ne avrebbero risposto direttamente con la propria testa.

Ma ancora più sospetto mi era sembrato che Stalin, appena saputo dell'omicidio di Kirov, si era precipitato personalmente a Leningrado. Sapevo bene quanto curava la propria sicurezza, così questo viaggio a Leningrado in una situazione turbolenta, appariva davvero inconsueto. La straordinaria attenzione di Stalin per la propria sicurezza, la paura permanente di Stalin, può essere dimostrata da alcuni esempi. E' noto che durante le celebrazioni ufficiali sulla piazza rossa, quando Stalin appariva davanti al mausoleo di Lenin, era protetto da un contingente selezionato di militari, oltre che da numerosi agenti della NKVD. Nonostante questo, sotto i vestiti indossava un robusto giubbotto antiproiettile, costruito appositamente per lui in Germania. Pier garantirsi la sicurezza, durante i frequenti trasferimenti nella casa di campagna, faceva evacuare i tre quarti degli abitanti che vivevano lungo il percorso, e nelle oro case faceva installare personale fidato della NKVD. 1200 agenti sorvegliavano, per tre turni, giorno e notte, il percorso di 35 chilometri dal Cremlino alla sua dacia. Nemmeno all'interno del Cremlino Stalin si muoveva liberamente. Quando lasciava il suo appartamento, le guardie liberavano il suo percorso da tutti i passanti, senza guardare al loro rango e posizione. Ogni anno, quando andava in vacanza a Soci, usava un treno personale fino a Gorki, dove lo aspettava una nave speciale. In altri casi si muoveva in battello fino a Stalingrado, dove trovava un treno che lo portava a Soci. Nessuno sapeva quale delle possibili opzioni per il viaggio avrebbe preso Stalin, ne il giorno in cui sarebbe partito. Il treno e la nave speciale erano pronti da giorni, ma solo all'ultimo momento dava comunicazione della partenza agli agenti. Il treno blindato di Stalin era scortato da altri due treni zeppi di agenti, ed era predisposto affinché in caso di attacco potesse resistere per due settimane. In caso di allarme le finestre si serravano automaticamente. Si potrebbero citare tantissimi altri esempi, nei quali Stalin si dimostrava, a dir poco, previdente.

Era difficilmente credibile che Stalin fosse andato a Leningrado, dove aveva appena agito un pericoloso gruppo terrorista, e gli organi della NKVD si erano dimostrati incapaci di proteggere Kirov. Il solo fatto della visita di Stalin in città, faceva pensare che l'assassinio di Kirov era opera di un killer solitario, e che l'intera versione dei terroristi della guardia bianca, era pura invenzione.

Il mistero del delitto Kirov, mi si è chiarito solo quando sono tornato in Unione Sovietica, alla fine del 1935. Arrivato a Leningrado attraverso la Finlandia, sono andato alla sede della NKVD per telefonare a Mosca e pernottare un posto nell'espresso notturno Leningrado-Mosca. Ho incontrato uno dei nuovi dirigenti della NKVD, con cui avevo prestato servizio nell'armata rossa durante la guerra civile. Naturalmente, nella conversazione si è parlato dei mutamenti avvenuti in seguito all'omicidio di Kirov. Ho saputo che Medved e il suo vice Zaporozhets, condannati alla detenzione per il caso Kirov, non erano in prigione. Su ordine di Stalin avevano ricevuto posti direttivi nel gruppo di miniere di “Lensoloto” in Siberia, uno dei centri più importanti per l'estrazione dell'oro. “Non vivono male, anche se non stanno come a Leningrado”, diceva il mio vecchio amico. E Aggiungeva, “Medved ha una moglie capricciosa. Per tre volte è andata a trovarlo in Siberia, con l'intenzione di rimanere con lui. Ma tutt'e tre le volte e ritornata a Leningrado. Sempre viaggiando in prima classe in un vagone a lei riservato, seguita da un nugolo di servitori.”

Il mio amico mi ha anche raccontato del panico che si è impossessato di Leningrado a seguito del caso Kirov e della visita di Stalin in città. E di come ha collaborato con il commissario del popolo e capo del dipartimento economico della NKVD Mironov,e con il vice commissario del popolo per gli affari interni Agranov. Prima di ritornarsene a Mosca, Stalin Ha nominato Mironov capo della NKVD di Leningrado: in pratica dittatore della città. Quando gli ho chiesto, come ha potuto Nikolayev,entrare nel cosi ben protetto palazzo dello Smonlny, il mio amico mi ha risposto: ” Questo è il motivo per il quale erano stati licenziati Medved e Zaporozhets. Peggio ancora , pochi giorni prima dell'omicidio, Nikolayev era stato arrestato mentre tentava di entrare nello Smonly. Se fossero state prese misure adeguate, Kirov sarebbe ancora vivo”. Mi sembrava che la nostra conversazione fosse alquanto superficiale. Chiaramente, del delitto, il mio amico non voleva dire niente di concreto. Quando mi alzai per andarmene, ha mormorato confusamente: “Questo caso scotta. Per la propria sicurezza, meno se ne sa e meglio è”.

Non avevo alcun dubbio che a Mosca sarei stato in grado di sapere la verità sul “caso Kirov”. Contavo su alcuni vecchi compagni che occupavano alte posizioni nella NKVD, e senz'altro dovevano conoscere i retroscena di questo delitto. Fra di loro, era il capo del dipartimento economico della NKVD Mironov,che Stalin aveva portato con se a Leningrado per indagare sull'omicidio, nominandolo poi capo della NKVD di Leningrado, funzione equivalente a dittatore della città. Mironov era entrato nei servizi di sicurezza su mia raccomandazione. Nel 1924, in qualità di vice capo del dipartimento economico della NKVD, sono riuscito, anche se con grande difficoltà, convincere Dzerzhinsky ad affidargli la gestione di uno dei dipartimenti. Dzerzhinsky si opponeva, per ovvie ragioni, alla nomina di un uomo sconosciuto agli “organi”, a un posto di così elevata responsabilità. In seguito, quando sono stato nominato responsabile della frontiere transcaucasica, ho accettato che lui prendesse il mio posto di vice capo del dipartimento economico della OGPU. Diversi anni più tardi, per merito delle capacità dimostrate nei compiti affidatigli, divenne uno dei più stretti collaboratori di Jagoda, commissario del popolo per gli affari interni. Ero sicuro che, da Mironov, avrei saputo tutta la verità sul “caso Kirov”.

Mironov era entrato nei servizi di sicurezza su mia raccomandazione. Nel 1924, in qualità di vice capo del dipartimento economico della NKVD, sono riuscito, anche se con grande difficoltà, convincere Dzerzhinsky ad affidargli la gestione di uno dei dipartimenti. Dzerzhinsky si opponeva, per ovvie ragioni, alla nomina di un uomo sconosciuto agli “organi”, a un posto di così elevata responsabilità. In seguito, quando sono stato nominato responsabile della frontiere transcaucasica, ho accettato che lui prendesse il mio posto di vice capo del dipartimento economico della OGPU. Diversi anni più tardi, per merito delle capacità dimostrate nei compiti affidatigli, divenne uno dei più stretti collaboratori di Jagoda, commissario del popolo per gli affari interni. Ero sicuro che, da Mironov, avrei saputo tutta la verità sul “caso Kirov”.

Al mio arrivo a Mosca, fui invitato da Alessandro Shanin, capo del dipartimento trasporti della NKVD, amico intimo di Jagoda e collaboratore del membro del politburo, col quale collaborava alla riorganizzazione delle ferrovie. Dopo cena, il padrone di casa propose di ascoltare dei dischi. Shanin era un grande appassionato delle vecchie canzoni russe, e dopo qualche bicchiere era diventato particolarmente sentimentale. Mostrandomi due dischi, ha detto Shanin che li doveva spedire a Vanya a Lenzoloto. “Oh Vanya, Vanya. Che uomo era - sospirava-sta soffrendo per niente”. Poi ha aggiunto che, Pauker, capo della guardia del corpo di Stalin, aveva appena spedito a Zaporozhets una radio d'importazione.

Al mio arrivo a Mosca, fui invitato da Alessandro Shanin, capo del dipartimento trasporti della NKVD, amico intimo di Jagoda e collaboratore del membro del politburo, col quale collaborava alla riorganizzazione delle ferrovie. Dopo cena, il padrone di casa propose di ascoltare dei dischi. Shanin era un grande appassionato delle vecchie canzoni russe, e dopo qualche bicchiere era diventato particolarmente sentimentale. Mostrandomi due dischi, ha detto Shanin che li doveva spedire a Vanya a Lenzoloto. “Oh Vanya, Vanya. Che uomo era - sospirava-sta soffrendo per niente”. Poi ha aggiunto che, Pauker, capo della guardia del corpo di Stalin, aveva appena spedito a Zaporozhets una radio d'importazione.

Il fatto che Pauker e Zaporozhet inviassero regali mi colpì profondamente. Entrambi sapevano bene che qualsiasi gesto di umanità verso qualcuno condannato dal comitato centrale veniva preso come una dimostrazione di ostilità. C'era una regola non scritta, costante sotto il regime stalinista: i dignitari sovietici, rompevano immediatamente tutti i rapporti, anche con gli amici più cari, se questi erano caduti in disgrazia, figurarsi poi se venivano arrestati. Shanin e Pauker conoscevano bene questa regola fondamentale: si dovevano far regali a chi stava avendo una brillante carriera, e rompere il più presto possibile i rapporti con chi la carriera l'aveva finita. C'era una sola conclusione possibile: Shanin e Pauker sapevano che la carriera di Zaporozhet non era affatto finita, e che inviare doni non li avrebbe compromessi.

A Mosca appresi le motivazioni del “caso Kirov”, molto più velocemente di quanto ci si poteva aspettare. Successe così. Nella primavera-estate 1934, Kirov aveva avuto dei contrasti con altri membri del Politburo. In alcune riunioni del Politburo, diverse volte, aveva criticato Ordzhonikidze per la sua politica riguardante l'industrializzazione nella regione di Leningrado. Il membro candidato al Politburo Mikojan aveva accusato Kirov per le disfunzioni nella distribuzione alimentare a Leningrado. Di uno di questi conflitti con Mikojan ne ho conosciuto le ragioni nel dettaglio: Kirov, senza il permesso di Mosca, aveva prelevato il cibo dalla riserva di emergenza custodita nel distretto militare di Leningrado per distribuirlo alla popolazione. Voroscilov, all'epoca commissario del popolo alla difesa, espresse la sua disapprovazione per il comportamento di Kirov, accusandolo di essere andato oltre i limiti del proprio mandato e di essersi inserito negli affari militari. Kirov aveva risposto che si è deciso a un passo del genere quando le scorte di viveri destinate ai lavoratori si sono esaurite. E che aveva preso il cibo giusto in prestito, per poi restituirlo non appena fossero arrivate i nuovi rifornimenti. Ma Voraginoso, che sentiva di avere l'appoggio di Stalin, non era soddisfatto da questa spiegazione, e aveva rabbiosamente dichiarato che Kirov, trasferendo cibo dai magazzini militari agli spacci delle fabrice, cercava “facile popolarità tra i lavoratori”. Kirov, col volto paonazzo di rabbia, gli rispose: “Se il Politburo vuole che i lavoratori producano, deve prima garantirne la necessaria nutrizione. Ogni contadino lo sa – ha continuato iniziando a gridare – , senza mangiare i cavalli non camminano”. Mikojan ha risposto che, per quanto ne sapeva, gli operai di Leningrado erano i meglio nutriti del paese. Questo Kirov non poteva negarlo, ma aveva dimostrato che con il surplus di produzione, si poteva garantire una razione maggiore ai lavoratori. ”Ma perché i lavoratori di Leningrado devono essere nutriti meglio di tutti gli altri”? Kirov perse di nuovo le staffe e grido: “Penso che sia giunto il momento di abolire il razionamento e nutrire i lavoratori come si deve!”. Questa risposta era stata vista come un atto di slealtà nei confronti dello stesso Stalin. Da quando Stalin aveva assunto tutto il potere nelle sue mani, aveva istituito ina regola non scritta: nessun membro del Politburo poteva sollevare una questione, se prima non aveva ricevuto la benedizione dallo stesso Stalin.

Gli altri membri del Politburo iniziarono a fare la guerra a Kirov. Anche i più piccoli fraintendimenti vennero trasformati in chissà quali misfatti. Nell'estate del 1934, Ordzhonikidze, commissario del popolo per l'industria pesante e membro influente del Politburo, aveva convocato per una riunione, il presidente del comitato esecutivo di Leningrado insieme ad altri dirigenti economici. Avevano portato a Mosca gran copia di reperti, conti, dati statici. Avevano atteso per due giorni nella sala d'aspetto del commissariato del popolo per l'industria pesante. Ordzhonikidze era troppo occupato per riceverli e rimandava la riunione di giorno in giorno. Il terzo giorno, il presidente del comitato esecutivo di Leningrado aveva telefonato a Kirov facendogli presente la situazione. La reazione di Kirov non si era fatta attendere: “Se Ordzhonikidze oggi non vi riceve, prendete il treno e tornatevene a casa”. Cosa che fece il presidente del comitato esecutivo di Leningrado. Questo episodio, venne portato da Ordzhonikidze alla seguente riunione del Politburo. La decisione di Kirov era stata bollata come esempio di , “educazione dei quadri di Leningrado, allo spirito di insubordinazione e disobbedienza verso il centro”. Il suo tentativo di spiegare la situazione era fallito. A questo punto aveva sbottato: Io continuerò a portare avanti la mia politica. A Leningrado la gente ha bisogno di me. Non posso perdere tempo nella sala d'aspetto di Ordzhonikidze.

I rapporti di Kirov con il Politburo si facevano man mano più tesi, ed egli cercava di diradare il più possibile i suoi viaggia Mosca.I membri del Politburo e Stalin stesso erano particolarmente irritati per la crescente popolarità di Kirov. Nessuno di loro, nemmeno Stalin, erano grandi oratori. I loro discorsi pubblici erano pesanti e noiosi. Kirov era invece famoso per la sua brillante oratoria e sapeva avvicinarsi alle masse. Era l'unico nel Politburo che andava nelle fabbriche a dialogare con i lavoratori. Essendo stato una volta egli stesso un lavoratore, ascoltava con attenzione le richieste degli operai e, come poteva, tentava di aiutarli. Molti funzionari del partito,insieme ad alti dirigenti economici chiedevano di essere trasferiti a Leningrado, in quanto si era sparsa la voce che Kirov incoraggiava lo spirito di iniziativa dei suoi subordinati e premiava chi mostrava maggior zelo nel lavoro. La sua autorità a Leningrado era indiscussa, e i ministri di Mosca, per i dirigenti di Leningrado, erano meno influenti di Kirov.

L'enorme popolarità di Kirov, ebbe un ulteriore incremento dopo il XXII congresso del partito che si tenne nei primi mesi del 1934. Tutto era stato programmato in anticipo per il congresso. Anche l'entusiasmo che i delegati avrebbero espresso nel saluto ai vari capi. Ogni delegato alla tribuna, sarebbe stato salutato con un applauso di due minuti. Stalin invece avrebbe dovuto ricevere dieci minuti di applausi. Invece, l'apparire di Kirov sul podio ha scatenato una tempesta di applausi. Invece , l'entusiasmo della delegazione di Leningrado fu tale, da trascinarsi dietro tutto il congresso. Kirov ricevette una tale lunga ovazione, che gli altri membri del politburo potevano solo sognarsi. Dietro le quinte si sussurrava che l'omaggio tributato a Kirov poteva essere destinato soltanto a un uomo: Stalin. Preoccupato per l'indipendenza di Kirov, Stalin decise di trasferirlo da Leningrado. Così aveva annunciato che l'avrebbe trasferito a un posto di maggior responsabilità a Mosca, nell'orgiburo del comitato centrale. Ma Kirov non aveva nessuna fretta di andare a Mosca. Così, di mese in mese, temporeggiava, sostenendo che doveva portare a termine una serie di operazioni importanti,a cui egli stesso aveva dato inizio a Leningrado. Inoltre, le sue sempre più rare apparizioni alle riunioni del politburo, potevano apparire una sfida. Stalin, certamente poteva, durante uno dei viaggi di Kirov a Mosca, cercare di trattenerlo per ritardarne il ritorno a Leningrado. Ma questo poteva portare a un aperto conflitto, dopo il quale sarebbe stato molto più difficile assegnare una qualsiasi posizione a Kirov nel comitato centrale. Inoltre, trattenere Kirov a Mosca contro la sua volontà, non era così facile, a meno di non arrestarlo. Ma arrestare un membro del politburo, nel 1934, era estremamente complicato. La rimozione di un membro del politburo richiedeva complicate procedure formali. Per ottenere un simile obbiettivo, Stalin avrebbe dovuto fabbricare delle accuse contro Kirov, di antileninismo o di rifiuto della linea generale del partito, e scatenare una forte campagna di critiche contro di lui, coinvolgendo tutta l'organizzazione del partito. Ma questa era una strada difficilmente percorribile da Stalin. Dopo che era stata schiacciata l'opposizione trozkista e zinovievista, più volte, Stalin, nei discorsi e per iscritto, aveva dichiarato,che il partito, purgato dall'eresia era diventato “coeso come mai nella sua storia”. Inoltre una campagna contro Kirov avrebbe sfatto parlare di scissione nel partito, e di divisioni all'interno del Politburo. Stalin sapeva anche, che in questo modo, all'estero, sarebbe stata messa in dubbio di nuovo la saldezza del suo regime. E questo Stalin non lo voleva proprio.

Stalin giunse alla conclusione che un problema complesso come quello che si trovava davanti, fosse risolvibile in una sola maniera. Kirov doveva essere eliminato, e la colpa del suo assassinio attribuita agli ex capi dell'opposizione. Così avrebbe preso due piccioni con una fava. Insieme a Kirov. Si sarebbe liberato definitivamente dei collaboratori di Lenin, i quali, nonostante tutto l'inchiostro che Stalin gli aveva scaricato addosso, continuavano a rimanere, agli occhi della gente comune, dei simboli del partito bolscevico. Così Stalin pensò che, se fosse riuscito a dimostrare che erano stati Zinoviev, Kamenev e gli altri leader dell'ex opposizione a versare il sangue di Kirov, ”figlio fedele del nostro partito” e membro del Politburo, sarebbe stato in diritto di chiedere “sangue per sangue”. L'unica sezione dell'apparato statale che potesse aiutare Stalin nella preparazione del delitto era la NKVD, responsabile della sicurezza di Kirov a Leningrado. Ma il responsabile di questo ufficio era Filippo Medved, legato a Kirov da una profonda amicizia. Così Medved sarebbe stato rimosso, e sostituito da un uomo più affidabile. Stalin aveva già in mente un uomo del genere: Evdokimov. Da lungo tempo lavorava nell'apparato di sicurezza, e per molto anni aveva accompagnato Stalin in vacanza, non solo in qualità di guardia del corpo, ma anche di amico e compagno di bevute. Era una figura sinistra, con l'espressione pietrificata. Veniva evitato dai colleghi. In passato era stato un criminale comune. Rilasciato dal carcere grazie alla rivoluzione, si unì al partito bolscevico e si distinse nella guerra civile. Finita la guerra civile, Evdokimov venne nominato capo del dipartimento regionale della OGPU in Ucraina, dove diresse personalmente la repressione della bande ribelli antisovietiche. Su ordine di Stalin, Jagoda dispose il trasferimento di Medved da Leningrado a Minsk, e la contemporanea nomina di Evdokimov al suo posto. Kirov si infuriò quando lo seppe, e, in presenza di Medved, chiamò Jagoda, e gli chiese, senza mezzi termini, chi gli aveva dato il diritto di sostituire un capo dei lavoratori di Leningrado, senza l'autorizzazione del Comitato Regionale di Leningrado. Immediatamente telefonò anche a Stalin e protestò contro l'attività illegale di Jagoda. L'ordine di trasferimento di Medved da Leningrado venne fatto annullare. Dal momento che la nomina di Evdokimov a Leningrado si era rivelata impossibile, a Stalin non rimaneva che chiedere l'aiuto di Jagoda, per mettere a punto un piano segreto riguardante Kirov. Jagoda convocò immediatamente da Leningrado il suo protetto Ivan Zaporozhets allora vice di Medveded. Insieme hanno visto Stalin. Evitare l'incontro Stalin Zaporozhets era impossibile: quest'ultimo, non avrebbe mai accetato di portare avanti un'operazione di tale delicatezza riguardante un membro del Politburo, se l'ordine fossa stato impartito solo da Jagoda, e non autorizzato direttamente dallo stesso Stalin. Con il mandato di Stalin, Zaporozhets ritornò a Leningrado.

Proprio allora, tra le carte della NKVD di Leningrado, c'era un rapporto segreto, riguardante un giovane comunista di nome Leonida Nikolayev. Quest'ultimo, essendo stato espulso dal partito e di conseguenza non riuscendo a trovare un lavoro, era talmente amareggiato che stava meditando di uccidere il presidente della commissione di controllo del partito. Con questo gesto causasto dalla disperazione, Nikolayev intendeva protestare contro la burocrazia del partito di cui si considerava una vittima. La denuncia di Nikolayev agli “organi”, era stata fatta da un suo “amico” a cui aveva incautamente rivelato le sue intenzioni. Zaporozhets, ovviamente, avendo ricevuto il suddetto incarico da Mosca, era interessato alla personalità di Nikolayev. Parlando con questo “amico”, giunse alla conclusione che le parole di Nikolayev non andavano considerate come chiacchiere vane. Il caso prese contorni più seri, quando “l'amico” rubò il diario di Nikolayev e lo portò a Zaporozhets. Il dialogo fu fotografato e riportato la dove era stato rubato. In questo diario, Nikolayev aveva descritto nel dettaglio tutte le proprie disavventure: come era stato “epurato” dal partito senza ragione, l'atteggiamento cinico dei funzionari di partito quando aveva tentato di ottenere una riparazione, come venne licenziato dal lavoro e la miseria in cui era precipitata la sua famiglia, composta da moglie, due figli e sua madre. Le note del diario erano infarcite di odio contro la casta burocratica che dominava il partito e l'apparato dello stato. Per avere un'immagine più completa di Nikolayev, Zaporozhets decise di incontrarlo personalmente. Fu lo stesso “amico” a organizzare l'incontro apparentemente casuale con Nikolayev, presentandogli Zaporozhets come ex collega. Dopo aver parlato del più e del meno si separarono. Nikolayev aveva fatto una buona impressione a Zaporozhets. All'amico venne sfidato un nuovo compito: avvicinarsi ancora di più a Nikolayev fingendo di condividere i suoi obbiettivi, dargli qualche piccola somma di denaro, e , naturalmente, tenere costantemente informata la NKVD di ogni novità. Zaporozhets stesso si precipitò a Mosca per mettere a punto la gestione del caso. Ancora una volta fu ricevuto da Stalin. A Mosca venne deciso che Nykolayev era la persona adatta per realizzare il piano. Il principale vantaggio di questa scelta stava nel fatto che Nykolaev aveva avuto autonomamente l'idea di compiere un attentato terroristico, e non sospettava di essere indirettamente manovrato dalla NKVD.

Sostanzialmente, l'intervento di Zaporozhets aveva un solo scopo: spostare l'obbiettivo del piano terroristico di Nykolaiev, in origine diretto verso qualcuno dei membri della commissione di controllo che l'avevano espulso dal partito,sulla persona di Kirov. Già prima dell'arrivo di Zaporozhets, il piano di Nikolayev si stava trasformando in una ossessione. Il suo gesto sarebbe stato il segnale per la rivolta contro l'odiataeburocrazia del partito. Intanto, “l'amico” avvertì Zaporozhets che Nikolayev stava tentando di procurarsi un'arma da fuoco. Sentendo questo, Zaporozhets, espresse “all'amico” il timore che Nikolayev potesse, non sia mai, sparare a qualche funzionario della commissione di controllo del partito, non essendo questi dotati di scorta. Una volta Nikolayev, rivoltella in tasca, fu fermato dalla NKVD mentre tentava di entrare allo Smolny. Ora il compito “dell'amico” era uno solo: convincere Nikolayev che l'attentato a un piccolo funzionario del partito non avrebbe avuto effetti politici significativi, mentre, il colpo contro un membro del Politburo, avrebbe causato una deflagrazione in tutto il paese. Come previsto, Nikolayev afferrò il suggerimento di uccidere Kirov. Ora l'unico ostacolo per la realizzazione del piano era mancanza di un revolver. Nikolayev pensava di rubarla a qualcuno dei suoi conoscenti iscritti al partito.Ma questo non era necessario, dato che “l'amico” gli aveva dato il denaro necessario per l'aquisto. In sostanza, tutti i preparativi necessari erano stati compiuti. Con l'aiuto “dell'amico” Nikolayev riuscì a ottenere una pass per lo Smonly, e i due amici andarono fuori città per provare l'arma.

L'incidente dello Smonly fu per Zaporozhets una sorpresa spiacevole. Ne risultava che non aveva fatto del suo meglio per garantire a Nikolayev libero accesso allo Smonly. A Mosca erano in attesa della notizia dell'attentato. La responsabilità del fallimento, naturalmente, gravava tutta su Zaporozhets. Appena seppe dell'accaduto, ordinò al comandante dello Smonly di rilasciare Nikolayev e di restituirgli pistola e quaderno. C'era sempre la speranza che Nikolayev volesse ripetere il tentativo, stavolta evitando il fiasco. Tutto dipendeva da Nikolayev.

Nikolayev era molto depresso per il suo fallimento. In uno stato di depressione ascoltava le argomentazioni “dell'amico”, secondo le quali avrebbe dovuto fare un altro tentativo di... Ma non duro a lungo l'umore nero. Dieci giorni dopo Nilolayev già parlava di ripetere il tentativo di assassinio. Gli era ritornata la precedente sensazione di fiducia. “L'amico”, seguendo le indicazioni di Zaporozhets, gli consigliò, la prossima volta, di andare allo Smonly di sera.

La sera del 1 Dicenbre, Nikolayev era ancora davanti allo Smonly, Con lo stesso borsello contenente una pistola e un quaderno. Questa volta Zaporozhets aveva pianificato tutto. Dopo aver ricevuto il pass, superò tranquillamente le guardie alla porta ed entrò nel corridoio. Non c'era nessuno tranne che un uomo di mezza età, Borisov, registrato come assistente personale di Kirov. Dagli elenchi dei dipendenti dello Smonly. Risultava essere un membro speciale della NKVD, ma non aveva mai avuto a che fare niente con gli “organi”. Borisov aveva appena preparato un vassoio di panini è tazze di te da portare nella sala riunioni, dove c'era una seduta del Comitato Regionale. La riunione era presieduta da Kirov, Nikolayev aspettò pazientemente. Poco dopo Kirov si alzò dalla sedia e lasciò la sala, chiudendosi la porta alle spalle. Immediatamente si udì uno sparo. I presenti si precipitarono alla porta. Ma non riuscirono ad aprirla. Non subito. Era bloccata dalle gambe di Kirov, disteso sul pavimento in una pozza di sangue. Morto sul colpo. Poco più in là c'era un altro uomo sul pavimento, sconosciuto ai membri dell'ufficio. Era Nikolayev che aveva perso i sensi. Accanto al lui c'era la pistola e il borsello. Tranne che per la vittima e l'assassino, il corridoio era vuoto. Ci volle non poco tempo, prima che arrivasse qualcuno della NKVD per arrestare Nikolayev.

 

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Stalin e Jagoda vennero immediatamente informati del delitto Kirov. Subito dopo ha chiamato il capo della NKVD di Leningrado Medveded per annunciargli che stava partendo per Leningrado, accompagnato da Stalin. Zaporozhets aveva adempiuto agli ordini. Ma il suo lavoro non era ancora finito. Nessun dei componenti della NKVD di Leningrado, oltre a lui, poteva sapere che il piano segreto dell'attentato terroristico contro Kirov, avrebbe, inevitabilmente portato, alla messa in stato di accusa Zinoviev e Kamenev. Zaporozhets, mentre Stalin era ancora in viaggio aveva dato fondo a tutte le sue energie, per ottenere una tale confessione da Nikolayev. In realtà non si aspettava una grande resistenza dal killer. La sua esperienza nella NKVD gli aveva insegnato che, anche persone innocenti, traumatizzate dall'arresto e preoccupate per il destino dei propri cari ancora liberi, diventavano particolarmente duttili nelle mani degli investigatori, e inclini a firmare qualsiasi accusa gli venisse mossa. In questo caso il crimine era mostruoso: aveva ucciso un membro del Politburo. Era in uno stato di semicoscienza. Nella camere dove lo interrogavano, aveva gridato ai funzionari che non aveva personalmente nulla contro Kirov, e che aveva agito in un momento di disperazione. “Dall'amico”, Zaporozhets aveva saputo che Nikolayev era molto legato alla moglie e ai figli. Se si fosse riufiutato di fornire le dichiarazioni richieste, lo avrebbe minacciato che anche i suoi cari sarebbero stati colpiti. Questo sarebbe stato sufficiente affinché Nikolayev firmasse ogni addebito. Restava un piccolo problema. Due mesi prima dell'omicidio, “l'amico”, aveva fatto conoscere Nikolayev e Zaporozhets, presentando quest'ultimo come “amico e collega”. Ora, se, Nikolayev avesse identificato questo “amico e collega” nel vicecapo della polizia di Leningrado, avrebbe capito immediatamente che “l'amico” altri non era che un agente provocatore della NKVD, sarebbe stato in grado di mettere insieme gli eventi passati e comprendere di essere stato strumentalizzato. Il buonsenso avrebbe dovuto imporre a Zaporozhets di mandare qualcuno dei suoi colleghi per estorcere da Nikolayev la desiderata confessione. Ma Zaporozhets non voleva che i meriti andassero ad altri, doveva ottenere personalmente la testimonianza nella quale Nikolayev accusava Zinoviev e Kamenev, e consegnarla a Stalin. Alla, il suo incontro con Nikolayev aveva avuto l'apparenza della caualità, inoltre, sperava che Nikolayev, sconvolto dai recenti fatti non lo avrebbe riconosciuto proprio, tanto più sotto forma di agente della NKVD. Così, contando sullo stato di prostrazione in cui si trovava Nikolayev, senza indugio, chiese che gli fosse portato l'arrestato.

Proprio nell'ufficio di Zaporozhets che Nikolayev identificò il suo conoscente casuale nell'alto dirigente di polizia che si accingeva a interrogarlo, e capì di essere stato lo strumento di una provocazione politica. Zaporozhets si era ingannato nei suoi calcoli. Davanti a lui non stava un miserabile nevrotico, schiacciato dal peso di un terribile crimine, ma un fanatico, impavido e testardo. Senza mezzi termini, disse a Zaporozhets, che pur non avendo niente di personale contro Kirov, era fiero del suo atto terroristico, che avrebbe aperto la guerra contro i privilegi della casta burocratica del partito. Questa conversazione ebbe una fine tragicomica. Si sentì un grido nell'ufficio di Zaporozhets. Immediatamente si aprì la porta e si precipitò fuori Zaporozhets con Nikolayev che lo inseguiva brandendo alta una sedia. Nikolayev fu immediatamente immobilizzato e rimandato in cella. Poco dopo gli agenti anno sentito un rumore strano che proveniva dalla cella di Nikolayev. Era Nikolayev che si lanciava e colpiva la parete con la testa. Nella sua condizione non vi era altro modo per togliersi la vita. Forse pensava che così la sua famiglia sarebbe stata risparmiata e lui avrebbe evitato la tortura legata all'indagine. Dovettero legarlo e portarlo in una cella coi muri imbotiti di materassi. Da questo momento gli fu affiancato in cella un uomo di fiducia della NKVD. All'alba del giorno successivo Zaporozhets tentò di avere una conversazione con Nikolayev, ma senza successo anche questa volta: gli occhi di Nikolayev scintillavano di odio per lui. Il dialogo sarebbe stato molto dificile.

L'arrivo di Stalin a Leningrado fu altamente spettacolare. Un'intero piano dello Smonly fu requisito e una dozzina di camere nell'edificio della NkVd furono isolate dal resto degli altri uffici. Stalin si mise immediatamente al lavoro. La prima persona che volle incontrare fu Medveded, capo della polizia di Leningrado. Era una pura formalità. Stalin sapeva bene che questi, aldilà del poco che stava emergendo, nulla sapeva del delitto Kirov. Medveved fu subito congedato e Zaporozhets fatto chiamare. Stalin stette solo con lui per più di un'ora. Dopodichè si fece portare Nikolayev. Il suo interrogatorio di Nikolayev avvenne alla presenza di Jagoda, Commissario del Popolo per gli Affari Interni, Mironov, capo del dipartimento economico della NKVD, e il funzionario che aveva portato Nikolayev dalla cella. Quando Nikolayev fu dentro la stanza, indugiava vicino alla porta. Aveva la testa fasciata. Stalin gli fece cenno di avvicinarsi. Guardandolo, gli domandò, in tono quasi tenero : “Perché avete ucciso un uomo così buono?” Se non avessi avuto la testimonianza di Mironov, presente sul luogo dei fatti, non avrei mai creduto che Stalin avesse iniziato l'interrogatorio in questa maniera, talmente diverso era il suo solito stile nel tenere una conversazione. “Non ho sparato a lui. Ho sparato al partito!” Rispose Nikolayev con ostinazione. Dalla sua voce non traspariva neanche il minimo timore per Stalin. “E dove avete preso la pistola”, proseguì Stalin. “Perché lo domandate a me ? Domandatelo a Zaporozhets. Rispose in tono di sfida. Il viso di Stalin era verde di rabbia:”Portatelo via”, borbottò Vicino alla porta, Nikolayev si fermò, volgendosi verso Stalin come se volesse aggiungere qualcosa. Ma fu immediatamente spinto fuori. Appena chiusa la porta, Stalin diede un occhiata a Mironov e a Jagoda disse: “Coglione”. Non essendo richiesta la sua presenza, Mironov si avviò all'uscita. Pochi minuti dopo Jagoda socchiuse le porte per far entrare Zaporozhets. Stette con Stalin non più di quindici minuti.

L'affare Nikolayev era stato un completo fallimento. L'amico si era rivelato un agente di Zaporozhets, lo aveva incitato a entrare nello Smonly, gli aveva dato la pistola, e già emergeva che era stata la NkVD a incitarlo a uccidere Kirov. Quindi non si poteva pensare a un processo pubblica per il caso dell'omicidio Kirov. Se pure si fosse riusciti a ottenere una promessa da parte di Nikolayev, che si impegnava a testimoniare contro Zinoviev e Kamenev. In alcun modo si poteva fare affidamento su una simile promessa. Chi avrebbe potuto garantire che non sarebbe caduto ancora preda di quel sentimento di protesta fanatica che l'aveva spinto ad assassinare Kirov? Poteva mettersi a gridare all'improvviso che non erano stati Zinoviev e Kamenv, ma la stessa NKVD a spingerlo all'assassinio. Stalin non poteva permettersi di correre questo rischio. La NKVD doveva organizzare un processo segreto, dove l'imputato sarebbe stato giudicato a porte chiuse. Nello stesso tempo bisognava dare alla gente una versione sul delitto Kirov. Naturalmente, Stalin non poteva dichiarare che un giovane comunista, solo e di sua iniziativa, aveva agito per protesta contro il regime burocratico stabilitosi nel partito. Molto meglio presentarlo come un burattino che agiva per ordine delle Guardie Bianche. Così nacque il mito dei bianchi emigrati, introdottosi in Unione Sovietica attraverso Polonia, Lituania, Finlandia, per organizzare attentati terroristici. Stalin tentò naturalmente di eliminare le tracce grossolane dovute al lavoro di Zaporozhets. Prima di tutto fece fucilare “l'amico” senza neanche interrogarlo. Fece convocare i vice di Kirov per vedere quanto sapevano. Questi da persone sofisticate quali erano, capirono al volo che saperne troppo su questo caso, o mostrarsi troppo perspicaci, era semplicemente pericoloso. Tutti si erano precipitati fuori quando avevano sentito lo sparo, ma,e questo preoccupava Stalin, erano rimasti stupiti di non aver visto, dove giaceva Kirov, Borisov era scomparso da qualche parte. E non sarebbe mai più riapparso...

La scomparsa di Borisov non aveva niente di sorprendente. Fu arrestato insieme a Zaporozhets perché aveva saputo qualcosa sul ruolo giocato dalla NKVD nel delitto. Non sono in grado di sapere per certo quanto sapesse Borisov, ma questo fatto mi ha spiacevolmente sorpreso: Borisov era noto per la devozione totale nei confronti di Kirov e mi sembrava impossibile che avesse aiutato Zaporozhets a danno del suo amato capo.

Stalin sapeva che Borisov era stato arrestato e che si trovava nel palazzo grande. Dopo aver finito con i vice di Kirov, andò al palazzo e chiese di parlare con Borisov. Il loro colloquio fu molto breve. Subito dopo, su ordine di Stalin, in completa segretezza, Borisov venne eliminato. E così erano due i testimoni di cui Stalin si era immediatamente sbarazzato. Stalin prese la salma di Kirov e la portò con se a Mosca. La camera ardente venne allestita, come di consueto, nella sala delle colonne. I giornali hanno riportato che Stalin,a un cero punto, nella guardia d'onore fu sopraffatto dal dolore e dall'amore verso l'amico e collega, e che si chinò sulla bara per baciare il cadavere. Come ex studente di seminario, Stalin avrebbe dovuto rendersi conto che quel bacio, in quel momento, avrebbe evocato il bacio di Giuda sul volto di Cristo.

Il fatto che Zaporozhets avesse cosi maldestramente eseguito il compito segreto che gli era stato affidato, e che la NKVD avesse lasciato tracce del suo coinvolgimento nel delitto, costrinse Stalin, in un primo momento, ad abbandonare l'idea di coinvolgere l'ex opposizione nell'omicidio Kirov. Ma le ritirate di Stalin sono sempre state temporanee. Dopo aver fatto fucilare chiunque sapesse del ruolo avuto nel delitto dalla NKVD, riprese sicurezza e decise di tornare al piano originario. Il fatto che tutto si sia svolto così velocemente è chiaramente visibile dalla stampa ufficiale, la quale dopo aver annunciato che l'omicidio era opera della Guardia Bianca, iniziò a cambiare versione. Finchè Stalin ordinò di coinvolgere direttamente Zinoviev, Kamenev e gli altri capi della ex opposizione. Il processo a porte chiuse, tenutosi il 15 Gennaio del 1935, non fu in grado di provare la complicità di Zinoviev e Kamenev nel delitto. Tuttavia, sotto la pressione del tribunale, le molestie di Jagoda a sua volta pressato da Stalin, Zinoviev e Kamenev hanno accettato di riconoscere soltanto la loro “responsabilità morale e politica” dell'omicidio, negando però fermamente qualsiasi loro coinvolgimento diretto. Su questa base giuridica così traballante, furono riconosciuti colpevoli e condannati a 5 anni di detenzione.

 

 

 

 

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Ultima modifica 29.05.2008